Non è poi così fondamentale – come scrive Marco Villa nella recensione di "Cara maestra abbiamo perso" - trovare una definizione per questa nuova schiera di cantautori che guarda tanto al passato quanto al nostro presente. Il siciliano Antonio Di Martino è sicuramente un personaggio da approfondire: prima nei Famelica, poi, con alcuni fedeli compagni di viaggio e una lunga serie di ospiti illustri capeggiata da Cesare Basile, continua come solista. Il suo album d'esordio mette insieme tante belle canzoni, tutte incentrate sul tema della sconfitta; secondo lui il migliore punto di vista per capire gli anni che stiamo vivendo. Ester Apa l'ha intervistato.
Per un decennio la tua esperienza musicale ha gravitato intorno ad una band: i Famelika, scrittura urgente di tipo autorale e attitudine profondamente rock. Due album, partecipazioni a concorsi importanti e una buona attività live. Nel 2010 lo stand by. Riassumere undici anni è un'operazione titanica, proviamo comunque a raccontarla?
In effetti sono stati undici anni tutti in salita. Ho messo su la band quando avevo circa diciassette anni e a quel tempo i nomi che gravitavano nel mainstream del rock italiano finivano tutti con la lettera "A", allora ci siamo detti: Perché non usure famelikA? Band che poi nell'ultimo anno si chiamò famelica con la "C". Insieme a me c'era Giusto Correnti compagno di una vita, l'attuale batterista e nel 2008 arrivò anche Simona Norato, una grande cantautrice e un'ottima musicista che da tempo inseguivo. Nel 2009 avevamo vinto le selzioni di Italia Wave e avevamo suonato al primo maggio di piazza San Giovanni, fu in quel periodo però che entrammo in crisi. Il mio modo di scrivere canzoni era cambiato da un pezzo, di "Maschere felici", il disco del 2006, rimaneva pochissimo. Ci siamo fatti tremila domande sul nostro percorso fino a lì, sull'adeguatezza dei nostri suoni, degli arrangiamenti e abbiamo deciso di rimanere in tre e di imbarcarci in un percorso quasi totalmente nuovo. Per un po' siamo andati avanti chiamandoci Famelica ma poi abbiamo capito che era un'altra cosa.
Quando decidi di metterti in proprio, in un progetto che ha certamente le fattezze del cantautorato italiano, ma conserva l'impianto nella scrittura non del singolo ma del progetto collettivo?
In realtà non ho ancora deciso di mettermi in proprio, gli ho solo messo il mio cognome ma "Cara maestra abbiamo perso" è il lavoro di un gruppo, mi piace il confronto con gli altri musicisti non riuscirei a farne a meno. Giusto e Simona portano se stessi e il loro modo di comporre nelle mie canzoni.
Napoleone e la sconfitta di Waterloo a simboleggiare la disfatta dopo vittorie gloriose. "Cara maestra abbiamo perso" è un album che passa al setaccio i fallimenti politici del '77 italiano e dei decenni che arrivarono dopo, per arrivare a spiegare l'inadeguatezza genetica dell'oggi, nonostante l'entrata in scena dell'età adulta. Perchè si parte da lì?
L'ammissione di una sconfitta per me è la più grande affermazione di libertà, in fondo sono stati i perdenti a fare la storia. Napoleone dopo Waterloo nel memoriale di S. Elena, da esiliato, guarda con più lucidità alle battaglie, sia perse che vinte. Alla fine degli anni 70 si assiste alla Sconfitta Sociale per eccellenza, è lì che iniziamo a perdere una serie di pezzi che oggi ci mancano, ed è lì che vanno cercati. Per me gli anni 70 sono un pretesto per parlare dell'oggi, senza soluzioni precofezionate si intende.
Un esordio che si muove su un concept tematico, quello della sconfitta generazionale. Gli amori precari, divorare la felicità come cani d'appartamento, le anime perse negli archivi comunali, la necessità della partenza, le conversazioni in cui si fa fatica a smascherare il silenzio. Il filo d'Arianna che si ritrova in quasi tutti i brani è una scelta ponderata o una ricostruzione a posteriori?
Sinceramente è una ricostruzione a posteriori, "Cercasi Anima" così come "Parto" sono canzoni scritte nel 2006, non avevo idea che quattro anni dopo avrei fatto un disco sulla sconfitta, le avevo scritte per me. Poi ascoltando le altre che avevamo selezionato per il disco ci siamo resi conto che in realtà erano tante micro storie di fallimenti e che avevano una loro logica ascoltate una dopo l'altra. Mi è piaciuta l'idea di dare un senso a tutto il disco dopo averlo registrato, come farebbe un ascoltatore esterno.
Poi arrivano due pezzi che hanno un peso specifico differente: "La lavagna è sporca" e "Ho sparato a Vinicio Capossela", puro divertissement o c'è dell'altro?
"La lavagna è sporca" è nata per caso, un riff di sinth che aveva scritto Simona in un periodo in cui eravamo in campagna a registrare un pò di tutto, da lì ci siamo detti che al centro del disco ci stava un pezzo del genere e lo abbiamo sviluppato. "Ho sparato a Vinicio Capossela" nasce invece in un momento un pò strano, ero in macchina con una mia amica a cui stavo facendo sentire l'ultimo disco di Capossela (e non solo) a quel punto dopo la quarta strofa del primo pezzo lei mi dice: "Minchia Capossella!!! Ma perché scrive le canzoni così lunghe gli sparerei" (detto in siciliano stretto, NdA), e allora ho ripensato a una mia storia con una fan sfegatata di Capossella che di continuo mi metteva a confronto con i successi del cantautore sminuendomi del tutto. Premetto che a me piace Capossela e mi era piaciuta molto "Orfani ora" del disco "Da solo", decisi di farne una mia interpretazione ipotizzando l'omicidio del cantante che poi è l'omicidio di quella storia quasi d'amore.
Quando arriva Cesare Basile?
Eravamo Famelica con la "c" e ci avevano ingaggiato per suonare in Olanda a Groningen in un postaccio molto accogliente gestito da nostri amici trapanesi trapiantati lì. Il locale era deserto avremmo fatto si e no 6 paganti tra cui un gruppo di amici nostri venuti apposta dalla Sicilia. Tra i rimanenti c'èra Cesare Basile, di cui noi avevamo già visto diversi concerti e ascoltato parecchi dischi. Si avvicinò dopo il concerto, comunicandoci la sua approvazione, come fa lui, con piccoli gesti, senza sbilanciarsi tantissimo, sapevamo che poteva aiutarci a registrare come volevamo, il suo gusto era molto vicino al nostro e da li è partito tutto. Ci siamo rivisti due mesi dopo a Catania allo Zen Arcade e abbiamo iniziato a volerci bene. Dopo neanche un anno dal nostro incontro è partita una macchina che si chiama L'Arsenale: federazione siciliana della musica a cui stiamo lavorando insieme ad altri artisti siciliani e di cui presto sentirete parlare.
Alessandro Fiori, Enrico Gabrielli e Vasco Brondi a dare ulteriore sostanza all'intero lavoro. Collaborazioni cercate, pensate, o fortunatamente capitate?
Direi capitate. In realtà ho incontrato Vasco per la prima volta nel 2008 a Provvidenti per le selezioni del Premio Tenco. Mi trovavo li come bassista di un gruppo di amici miei (le Cordepazze). Avevo sentito parlare de Le luci della centrale elettrica ma non avevo ascoltato molto, quando lo vidi dal vivo insieme a Giorgio Canali devo dire che rimasi molto colpito. Avevo scritto l'anno prima un pezzo che si chiamava "Parto" in cui riconoscevo tantissime affinità col suo modo di scrivere, così la sera gli lasciai una demo davanti la porta della sua stanza d'albergo accompagnata da un pezzo di carta igienica con su scritto non mi ricordo cosa. Di li a poco ci siamo scambiati un paio di mail e gli proposi di cantare insieme e lui accettò subito. Con Gabrielli e Fiori in realtà ci siamo visti una sola volta, ossia il giorno in cui hanno registrato le parti, ci tengo a precisarlo, rigorosamente inventate sul momento. Ricordo che Alessandro stava davanti la porta dello studio C delle Officine Meccaniche, a Milano, e ascoltava il suo collega intento a registrare un tripudio di marimbe e sassofoni seri su "La lavagna è sporca", lo invitai ad entrare, lui si sedette senza dire una parola e mi chiese: "Come si chiama questo pezzo?". Gli dissi: "La lavagna è sporca" e lui: "Ok montatemi un microfono dentro voglio fare una cosa". Aveva imparato il pezzo a memoria e aveva deciso che in quei punti ci stava una voce che diceva semplicemente "La lavagna è sporca, la lavagna è sporca". Ci siamo guardati con Cesare, Simona e Giusto e abbiamo detto: "Il pezzo è questo passiamo avanti". Tra le altre collaborazioni non dobbiamo dimenticare che c'è anche Lorenzo Corti in "Ho sparato a Vinicio Capossela".
La forma canzone all'italiana mescolata sapientemente alla migliore tradizione rock del Belpaese. L'intenzione antiaccedemica del primo Lucio Dalla, la patria canzone di Ciampi, le melodie da buon artigiano di De Gregori. L'altra metà della mela in termini di ispirazioni e debiti formativi come si compone?
Devo dire che tutti e tre i cantautori che hai citato mi vanno molto bene. Sono un appassionato di canzoni minori quelle che si mettono alla 9 o alla 13, perché forse è in quelle che ci trovo il sangue. Della tradizione cantautoriale italiana non mi piacciono però diverse cose, c'è stata sempre una strafottenza nei confronti degli arrangiamenti. Ci si è sempre concentrati sulla melodia e sul testo, eccetto che in Ciampi in cui gli arrangiamenti sono ricercatissimi. Penso a certi pezzi ad esempio di Califano che con un arrangiatore migliore sarebbero stati veramente all'altezza dell'autore. Io ho sempre suonato il basso nelle più svariate formazioni, è da li che parto per scrivere, il basso mi ha dato molto non riuscirei a cantare senza che "tutto nasca dal basso" (citazione di Lorenzo Cherubini, NdR).
Poi arriva l'omaggio a Tenco, un ritmo marziale e solenne accompagna come un abito nuovo di zecca "La ballata della moda"...
Diciamo che sono molti i riferimenti a Tenco a partire dal titolo "Cara maestra". "La ballata della moda" negli anni sessanta era pura avanguardia, il pezzo esprime in maniera semplicissima la tragedia dell'epoca contemporanea attraverso la tragedia del cameriere Antonio sopraffatto dalle mode. Da qui la scelta del tono cavernoso che, secondo me, si addice perfettamente al senso che Tenco aveva dato alla canzone. E' come se chi racconta si trovasse in uno dei gironi dell'inferno, e non poteva che cantarla Cesare Basile.
L'isola come concentrato di perdita dell'innocenza, infanzia da ritrovare, partenze necessarie, il centro del mondo costruito intorno alla propria casa. La Sicilia è una terra amara, aspra, piena di contraddizioni eppure bellissima. Quanto si fa fatica a liberarsi da questo concentrato emotivo?
Non ti so rispondere perché probabilmente io non ho mai provato a liberarmene. Io credo nel cambiamento che detto così potrebbe sembrare uno slogan del PD, ma in realtà ci credo davvero e lo vedo che le cose non sono come dieci anni fa, stiamo migliorando. Forse è un'altra Italia che oggi deve guardare alle sue contraddizioni.
Quando arriva e quanto conta la Pippola Music per "Cara maestra abbiamo perso"?
Avevo sentito parlare di un'etichetta interessata alle canzoni, il giorno prima di partire per un viaggio, a luglio, mandai il disco a Matteo (Zanobini proprietario dell'etichetta, NdR) che mi telefonò un'ora dopo dicendomi che gli era piaciuto molto. Parlammo un po', a Settembre lo andai a trovare a Firenze col treno ed è nata la collaborazione. Mi piace l'ambiente familiare di Pippola.
Pensi davvero che esista una nuova scena cantautorale che chiede non solo ribalta ma autorevolezza negli ultimi anni in Italia?
Che ci siano dei nuovi cantautori che riempiono i teatri è innegabile e questo presuppone che c'è anche un pubblico che ha voglia di ascoltarli. Credo però che per consolidarsi definitivamente occorra ancora un pò, è anche questa un'opera di ricostruzione dopo decenni di battaglie perse.
---
L'articolo Dimartino - Telefonica, 26-12-2010 di Ester Apa è apparso su Rockit.it il 2011-01-03 00:00:00
COMMENTI (1)
bellissima intervista, davvero complimenti!