Ha fatto passi da gigante con il suo ultimo "The Halfduck Mystery" e dopo soli due album si è ritagliato un'ottima attenzione da parte di pubblico e stampa musicale. Ester Apa lo sorprende mentre guarda la Melevisione, e la tv continua a rimanere accesa durante tutta l'intervista. Si dimostra maturo, ben cosciente del suo percorso e di che direzioni prenderà in futuro - se non riesce a far diventare la musica il suo lavoro, tra tre anni smette - e soprattutto consapevole di portare dentro un'inquietudine con cui deve fare i conti. Meglio a ventiquattro che a quarant'anni, dice.
Mezzipaperi, Bobby Bunny e scheletri in copertina. Espedienti narrativi o pura finzione per i personaggi che racconti in "The Halfduck Mystery"?
Il mezzopapero non esiste purtroppo nemmeno come personaggio fantastico, esiste solo come parola e lo stesso vale per Bobby Bunny. Infine per quanto riguarda il teschio in copertina, posso dirti che in realtà quella è una mia foto, opportunamente rimodellata da una macchina analogica che gli ha dato una bella grana. E' un tributo al rock'n roll alla vecchia maniera. Un atto dovuto.
Fin dall'uscita di "Beach Party" avevi sottolineato - e non di poco - che l'omaggio ai padri del blues potesse essere non un sodalizio ma un incontro. A meno che uno non cresca cibandosi di pane e di Buddy Guy, è difficile trovare l'approccio alle blue note in un esordio. Perchè sei partito da lì?
Non lo so neanch'io. In realtà a me fa letteralmente schifo il blues elettrico. Credo che onestamente quella scelta sia stata figlia di un approccio emotivo. Mi piacciono davvero tanto i primissimi bluesman, tutte quelle sonorità che partono dagli anni 30 e arrivano fino ai 40, perchè poi quando il blues inizia ad essere elettrificato, smette di piacermi. Non sono mai stato un gran fanatico del blues, però nel periodo di gestazione di "Beach Party" avevo appena scoperto quel suono e inevitabilmente è entrato a far parte delle composizioni. Ad oggi, in realtà, credo che questi atteggiamenti mi siano rimasti dentro, probabilmente non lo si sente nei nuovi brani ma sono presenti nel mio approccio sul palco, le vocalità pescano dritti in quell'universo musicale. La voce intensa e non grattata, le atmosfere. Una delle figure di ispirazione principale però, se posso essere sincero, fu all'epoca John Cale, anche se magari non si sente per nulla in "Beach Party", quanto magari lo si ritrova in "The Halfduck Mystery". E' difficile dire cosa esattamente c'era prima e cosa oggi, è una roba strana da definire.
I nuovi brani arrivano un anno e mezzo dopo il tuo lavoro d'esordio. Hai lasciato decantare bene queste canzoni e poi ci hai rimesso opportunamente mano. Qual era la completezza che cercavi?
Ho lavorato in maniera molto diversa per "The Halfduck Mistery", un elemento questo, di non poco conto, che ha determinato enormi balzi in avanti dal punto di vista qualitativo. Per "Beach Party" sentivo che c'era parecchia fretta nel dover pubblicare questo disco e dunque i tempi di composizione e gestazione dei brani sono stati del tutto differenti. Sentivo la responsabilità, dopo aver vinto il Rock Contest nel 2006, di investire il prima possibile la vincita del concorso in studio, far fruttare velocemente la fiducia che gli organizzatori avevano riposto nel mio progetto musicale, pur non avendomi mai imposto nessun limite di tempo. In sei, sette mesi ho messo su i pezzi, perchè in realtà quando ho partecipato al Rock Contest avevo solo una manciata di brani miei, i primi che avevo scritto e che avevo suonato. Sono arrivato a scrivere le ultime canzoni un mese prima di registrare, per cui sentivo dopo l'uscita di "Beach Party" di aver pensato troppo poco alle cose scritte. Ho preso tempo per lavorare bene e meglio di quanto avevo fatto. Mi sono detto: stavolta metto giù i pezzi, li lascio tutti fermi, e poi li riascolto, li scarto, aggiungo qualcosa dopo. E' vero che il nucleo dell'album era pronto da un bel pò di mesi, ma volevo riprenderli, rimaneggiarli, prendere tutto con la giusta calma e così ho fatto.
Polifonie vocali, psichedelia, una nervatura spiccatamente sixties. La faccia della Luna di quegli anni che esplori non è certo l'happiness della Summer Of Love ma piuttosto i viaggi lisergici di Barrett...
Nessuna scelta preventiva. Se sentissi le canzoni soltanto chitarra e voce saresti indirizzata altrove, ne sono sicuro. Penso che siano stati soprattutto gli arrangiamenti a dare i colori di cui parli tu, non tanto il nocciolo compositivo. In ogni caso non sono stato lì a pensare quale parte del decennio sixties facesse al caso mio e metterla così dentro al disco. Ci sono cose che mi affascinano musicalmente davvero tanto di quegli anni e che entrano poi inevitabilmente nei miei lavori, ma senza un'intenzione precisa. Barrett lo ritrovo anch'io nella filigrana di alcuni pezzi, è vero, ma per il resto è stato tutto davvero inconsapevole. Solo in fase di arrangiamento, abbiamo sentito che una direzione possibile poteva essere quella. Poi d'altronde soprattutto il biennio '67-'69 è stato secondo me un periodo bellissimo. Ci sono state fra le migliori cose che la musica abbia prodotto, un pò come il '91-'93, per cui non poteva farmi che bene andare a pescare in quel periodo lì.
Il modo che hai però di manipolare la materia sonora è puro pastiche postmoderno. Non dai l'idea di un alchimista inconsapevole di suoni ma di uno che potrebbe stare in laboratorio a mischiare le provette per ore, cercando la miscela giusta…
E' vero. Concettualmente questi nuovi pezzi sono stati molto pensati. Questo non significa toglierli l'intenzione emotiva di cui si nutrono, perchè alla fine questa è quella che più conta, ma è innegabile che in alcuni brani ci sia un approccio postmoderno. In "I'm the Musonator" in particolare, mischio insieme linee vocali che fanno pensare ai Beatles con una base quasi industrial, atonale, in cui ho preso e assemblato campioni di ogni tipo: da Ravi Shankar a Battiato. E' stato divertente.
Come sono i Beach Boys declinati da Samuel Katarro, sei uno di quelli che vede la pioggia dopo il sole di "Good Vibrations"?
Si assolutamente. Io sono profondamente convinto seguendo e leggendo quella che è stata la loro storia, i rapporti che li hanno caratterizzati e che hanno avuto con le persone che li circondavano, che i Beach Boys siano senza ombra di dubbio un gruppo malinconico e molto disadattato. Mi rendo conto di poter essere impopolare, che se ci si sofferma solo sull'ascolto delle canzoncine più pop che furono costretti a scrivere per logiche manageriali è difficile crederlo, per cui l'immagine a cui sono legati è molto diversa a quella che io invece credo fosse la loro attitudine personale. C'è qualcosa di marcio dentro i Beach Boys che non saprei descriverti ma che mi piace un sacco. Gli impasti vocali poi allo stesso tempo mi danno un senso di pace, di serenità, mi fanno stare bene ma non in maniera illusoria, è quel piacere velato di sana inquietudine.
Ci racconti l'incontro con la tua Tragic Band?
A pezzetti sono arrivati tutti e due. Francesco D'Elia è fiorentino, l'ho conosciuto perchè era un mio fan (ride, NdR). Veniva ai miei concerti, chiacchieravamo e una sera lo becco in un postaccio a Firenze, lui mi dà il suo cd, iniziamo a parlare di musica e mi dice che suona il violino. Io intanto dovevo registrare l'ultimo pezzo di "Beach Party": "This Garlic Cake" e così gli ho detto: và mettici un violino. Da lì in poi, visto che insieme lavoravamo bene e velocemente, ci siamo ripromessi che dal vivo sarebbe venuto qualche volta a fare il pezzo, poi in realtà non ha fatto solo quello e provando fra un soundcheck e l'altro mi ha accompagnato in tutta la seconda parte del tour di "Beach Party". Per questo disco mi sembrava naturale una volta scritta la base dei pezzi affidarglieli e discuterne insieme, e così è stato. E' stato lui a fare l'80% degli arrangiamenti. Simone invece suonava con Francesco da diverso tempo. Quando ci è servita la batteria abbiamo chiamato lui, mi sembrava sensato, vista l'affinità e la conoscenza che li legava. In quattro, cinque mesi di prova abbiamo così arrangiato il disco e l'abbiamo registrato. A febbraio infine abbiamo cominciato ad andare in giro in tre.
Il lavoro fatto sulla voce è notevole. Ti è piaciuto modularla così tanto?
Assolutamente si. Sono riuscito ad avere così tante dinamiche semplicemente perchè ho studiato. Oggi ho un'impostazione che prima non avevo, il che non vuol dire utilizzare il bel canto ma realizzare la tua scelta artistica con consapevolezza. Sapere cosa fare, come fare e se è possibile non strapparsi le corde vocali. Ho attinto da varie timbriche, ho modulato veramente tanto la voce. Ci sono pezzi cantati in falsetto, pezzi cantati in modo più classico, altri alla David Thomas. Posso dirti che la voce è la cosa che al momento mi soddisfa al 100%, anche nei live in cui solitamente si trova sempre qualcosina che non va. Se non altro su questo posso dire oggi di poter contare.
Dove nasce la scelta della presa diretta nella registrazione di questo secondo lavoro?
Principalmente dal fatto che stavolta ero con una band. L'esperienza di una registrazione multitraccia è per me sempre stata deludente e quindi non è stata una scelta ma un processo naturale. Le sovraincisioni però ci sono state e sono state numerose, solo lo scheletro dei pezzi è stato fatto in presa diretta. E' stato un lavoro molto preciso, anche troppo forse.
Sentirsi fuori luogo e fuori tempo massimo. C'è tutta una generazione che si guarda allo specchio in questi brani?
Ho notato a posteriori che fra i testi ci fosse un legame forte che hai ben individuato. L'inquietudine è un sentimento che mi è congeniale, compare sempre sullo sfondo non solo di "The Halfduck Mistery", ma anche in "Beach party" perchè fa parte di me. Non pensavo però che avrei scritto delle canzoni che richiamassero così esplicitamente questi sentimenti. Devo dire che i brani si distinguono per storie e atmosfere diverse, ma i personaggi che li attraversano sono veramente tutti estremi, sono figure che vivono ai margini, non tanto a livello sociale ma direi mentale. Per cui si, credo che questo sia un sentimento condivisibile da chi ha oggi la mia stessa età.
Anche tu fai parte per una questione anagrafica della prima vera generazione di precari in Italia. Hai un piano b se non riuscissi a fare della musica un mestiere?
In realtà mi sono detto che se fra tre anni non riesco a vivere di musica smetto. Non posso sempre stare in casa a sentire mia sorella che urla. Finchè lo faccio, cerco di farlo il più seriamente possibile. Poi vedremo. Per quanto riguarda l'opzione b, ho qualche risorsa intellettiva, credo di avere un pò di astuzia ma magari poi muoio e il problema è risolto (ride, NdR).
Quanto è stata terapeutica l'uscita di questo album?
Tanto. Mi ha aiutato molto a liberarmi da uno stereotipo, da un'idea, un'impressione che era quella del nuovo bluesman italiano che "Beach Party" portava con sè. Mi ha permesso di togliermi di dosso un'etichetta che mi era stata data, anche giustamente forse, visto il materiale del mio primo lavoro. Mi sono detto: ora faccio questo album, se questo disco in cui c'è praticamente tutto va bene, poi posso fare quello che cazzo mi pare.
Dai l'idea nonostante i tuoi ventiquattro anni di avere molti fantasmi da esorcizzare. E' un'immagine di te che corrisponde al vero?
Si si. Li ho eccome. Ho sovra e sottopensieri, soprattutto. Mi dico sempre che se uno pensa molto magari i vecchi fantasmi li affronta meglio o magari ne fa nascere di nuovi, non so. Poi mi dico che sciogliere i nodi a ventiquattro anni è molto meglio che farlo rispetto a quando ne avrai quaranta, perchè dovrai pensare a molte più cose e sarà ancora più complicato, quindi se te li levi dai coglioni subito è meglio. Magari dopo i trenta mi rilasso, ma per il momento dell'inquietudine non riesco a farne a meno.
---
L'articolo Samuel Katarro - Telefonica, 30-04-2010 di Ester Apa è apparso su Rockit.it il 2010-05-03 00:00:00
COMMENTI (3)
Bel live il Primo Maggio a Leno (BS)...!!!
(Messaggio editato da boohooking il 05/05/2010 21:38:01)
grande alberto, punto e basta.
(Messaggio editato da boohooking il 05/05/2010 21:35:09)