La Camera Migliore - telefono, 14-09-2005

Parlare con Georgia Costanzo è un po’ farsi Gulliver nell’avventura del paese degli Houyhnhmn, i cavalli che non sanno dire bugie. La voce dei La Camera migliore, infatti, è di una vivacità - e di una schiettezza - impensabile: parti dal disco, “Cari miei”, uscito lo scorso ottobre per la Due Parole e finisci a Calvino. Passando per i disegni di Georgia, per Jimmy Fontana e per tutto quello che può significare fare - cercando di schivare i tignosi ostacoli del caso - musica pop, oggi, nel 2005. Quando tutto è pop. La modulazione della voce di Georgia, poi, fa il resto. Finendo col farti innamorare di una cornetta telefonica e dei sussurri, delle parole, della semplicità che ci hai trovato dentro.



Georgia, ma quando ti dicono: “Qualche consolismo in meno”, come reagisci?
Sono tanti anni che canto, e non c’era neanche, Carmen, quando iniziavo. Cioè: c’era di sicuro ma io non conoscevo lei e lei non conosceva me. Dovrei mettere in giro delle registrazioni del 1994 ma me ne vergogno un po’.

Sai cos’è: è che Carmen è un po’ il manifesto della musica rock al femminile, e forse anche della musica rock in generale - almeno di quella che arriva alla massa. Noi in quella cornice vogliamo stare. E quindi credo sia normale che scattino gli accostamenti.

Però, ti dirò un aneddoto che si commenta da solo: mi ricordo quando la Tatangelo è andata a Sanremo la prima volta. I critici le dissero: “Certo eh, sembri proprio Carmen Consoli”. Quindi.

Il rapporto con la Due Parole e con Carmen Consoli com’è stato e com'è? S’è vista, non s’è vista, fa pesare i suoi consigli, se ne frega?
L’etichetta è molto pulita, autonoma. Ed è una indie. Si lavora in grande semplicità. Certo: alla fine è Carmen che ci ha scoperti, e i suoi consigli - spesso ci siamo trovati in studio assieme - hanno pesato.

Ora basta Consoli, lasciamola da parte. Passiamo decisamente a “Cari miei”, il secondo lavoro de La Camera migliore. Che sta andando benissimo. Per me è uno dei dischi dell’anno, sebbene sia un lavoro di quelli che “o li ami o li odi”.
Grazie. Siamo molto contenti. L’abbiamo curato molto, davvero a lungo. Anche perché sono una maniaca, e dal disco precedente abbiamo imparato molto.

I testi sono meno ermetici, meno chiusi. L’impianto è più solido. Non mi aspettavo davvero un’accoglienza del genere: c’abbiamo messo tutto il cuore. La preproduzione è stata infinita. Fra due mesi magari ci troveremo un sacco di difetti, e già adesso ne trovo. Ma per noi è stato il massimo. E i riscontri per fortuna lo confermano.

Ecco. L’impianto è assolutamente la cifra del disco: un susseguirsi di quadri scenici che costruiscono una specie di poliedrico e colorato microcosmo. Quasi, in senso lato, un concept-album. Com’è venuta fuori l’idea?
Parte tutto da “Il condominio”, che ha dato l’input al disco - e che corrisponde ad un luogo vero, la mia abitazione precedente, circondata da persone "eccezionali" e sopra le righe.

Da lì ho sviluppato una serie di personaggi che ho innestato nei testi. Testi che ho cercato anche di rendere più accessibili rispetto al passato. Alla fine ci siamo resi conti che in ogni testo, quasi come in un piccolo paesello, spiccava da sé un personaggio.

Ma dietro dev’esserci un retaggio letterario rispetto a questo incorniciamento ricorsivo: a me vengono in mente Swift e Borges.
Si, è vero. Ma Io, devo confessarlo, sono malata per Calvino. Per me lui è il massimo. Guardo a lui e, per il lavoro che faccio - scrivere canzoni - credo sia un riferimento fondamentale.

Quando finisco un libro mi sento triste perché vorrei non averlo letto per poter avere il gusto di leggerlo da capo.

Ma Calvino è pop? E per voi cos’è il pop, visto che con “Cari miei” si candida a baluardo del nuovo pop intelligente?
E’ per forza pop. Lo è più di tutti. Anni fa in radio dissi pure che era rock, ma oggi rischerei di far la fine di Celentano.

Sul pop musicale ti rispondo con un altro aneddoto: anni fa Pasolini fu tacciato di elitarismo per i suoi lavori. Per lui élite, in realtà, voleva dire tutt’altro che il solito cliché.

Stesso discorso per la musica pop: se il termine popolare è “musica che arriva a gente come me” allora ci sto. Se deve essere un vuoto insulto, non ci sto. E’ per tutti.

Da che ambito vieni, Georgia? E l’attuale giungla musicale ti smuove?
Ho ballato per tanti anni. Poi ho smesso per qualche problema. Ed ho iniziato a cantare. Prima sulla spiaggia. Poi, spinta dal primo chitarrista del gruppo, ho cominciato a prenderla un po’ più sul serio.

So tutto della musica nostrana dal 1950 al 1979. Poi non tanto. Adoro Manuel Agnelli, che è sempre avanti. Ma non ho contatti approfonditi con l’ambito italiano. Ascolto ma non avrei riferimenti specifici.

Nelle compilation che ci portiamo in viaggio c’è quasi solo Rino Gaetano. Poi Grandaddy, dEUS, Sparklehorse.

Il tuo modo di sfruttare la voce è estremamente arguto, ponderato concettualmente sui testi. Basta sentire “Panico”. Il cerchio, poi, si chiude con i tuoi disegni che accompagnano il booklet.
In effetti non mi piace fare la canDande. Un po’ di narcisismo salta fuori, ogni tanto.

Pensa che “Panico” mi vergognavo di cantarla, l’avevo scritta per altri anni fa. Ma amo lavorare sulla voce in maniera intelligente. E i disegni sono “utili”.

Utili?
Si. Attraverso il disegno ti si aprono prospettive nuove rispetto all’interpretazione del mondo. La semplicità dei miei disegni è terapeutica, mi piace parecchio.

Senti ma ti piacciono parecchio anche le filastrocche, mi pare. Il disco è segnato da un andamento quasi giullaresco e trobadorico confezionato pop. Di finta semplicità, che è la cosa più difficile da rendere.
Sai, qui in Toscana – ma anche a Roma – si compongono stornelli per tutto e su tutto. Per scherzo, anche col mio babbo, si giocava a parlare in rima da piccola e a tirar fuori piccoli componimenti scherzosi, magari anche volgarotti.

Per cui il mio amore per la miniatura viene da questa cosa qui.

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L'articolo La Camera Migliore - telefono, 14-09-2005 di Pseudo è apparso su Rockit.it il 2005-12-15 00:00:00

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