Beast Must Regret Nothing è il terzo disco del duo napoletano The Devils: Gianni Blacula e Switchblade Erika, dopo anni di concerti, furgone, tournée, si sono regalati un terzo album “da grandi”, con canzoni potenti, arrangiamenti curati – per la prima volta, a detta loro – e due presenze fondamentali: quella di Alain Johannes alla produzione, già al lavoro con No Doubt, Queens Of The Stone Age, Chris Cornell, Jimmy Eats World e mille altri e quella proprio della – tra le altre cose – ex voce dei QOTSA, Mark Lanegan, che impreziosisce il disco con un featuring da sogno nel brano Devil Whistle Don’t Sing.
C’è però anche una terza presenza, invisibile, che si nasconde dietro le infernali fiamme che i Devils fanno divampare nel loro disco: si tratta della amata e odiata Napoli, città d’origine del duo. Gianni Blacula e Switchblade Erika sfasciano l’immagine stereotipata che il capoluogo campano si trascina dietro, trasformandola nel set cinematografico di un horror di serie b. Il fascino del male supera il credo cattolico – “È soffocante, la cristianità di Napoli”, secondo Erika – e ci avvolge in una tetra nube stoner, in cui convivono una perversa attrazione per l’estetica nazista e per l’esoterismo.
Beast Must Regret Nothing è stato registrato nel 2019 ed è uscito nel 2021, in questi due anni cosa è successo a questo disco?
Gianni Blacula: L’abbiamo registrato a Napoli nell’Ottobre 2019, per due settimane, poi siamo andati in tour e siamo tornati per Natale. Il produttore Alain Johannes è tornato in America, ma si è ammalato e dopo un paio di mesi a letto, l’ha mixato tra febbraio e marzo, ha fatto il mastering ad Aprile ed era già scoppiato tutto il casino. Ci siamo chiesti se aspettare, finché non ci siamo rotti le palle, quindi lo scorso autunno abbiamo deciso di farlo uscire. È inutile aspettare… Cosa? Aspetti che tutto torni come prima? Non tornerà nulla come prima. Non volevamo aspettare troppo e rischiare che fosse un disco postumo. Ci suona ancora giusto, suona ancora bene. Lo sentiamo ancora nostro, non ce ne siamo ancora stufati.
Switchblade Erika: Cosa che invece è accaduta agli altri dischi. Poco fa stavamo suonando, abbiamo provato qualche pezzo dei primi dischi e ci sono venuti due coglioni così. Abbiamo detto basta, i pezzi vecchi ci hanno rotto le palle proprio a suonarli. Ma penso sia normale, perché quelle canzoni le abbiamo suonate tantissimo, quasi cinque anni.
GB: Poi quelli erano pezzi più veloci, sarà la vecchiaia…
Negli altri dischi l’approccio era più istintivo, mentre questo mi sembra molto più elaborato.
GB: Abbiamo trovato un’etichetta nuova perché eravamo un po’ stufi, come ci eravamo stufati di lavorare sempre con lo stesso produttore, di fare i dischi sempre allo stesso modo, in due o tre giorni. Stavolta abbiamo cambiato tutto: registrato in due settimane. C’è sempre un approccio da one take ma più costruito.
SE: Sugli arrangiamenti abbiamo lavorato molto di più, cosa che prima non facevamo per niente.
Anche io sono di Napoli come voi, e mi ha fatto riflettere la differenza tra la componente esoterica della vostra musica e la cristianità che è parte integrante della nostra città, è un meccanismo di reazione o è un caposaldo del vostro genere, che cercate di portare avanti?
SE: Io nel rock ‘n’ roll non vedo il tema dell’antireligiosità, c’è la religione ma il sesso, la droga… più nel metal, forse.
GB: I metallari sono ancora più religiosi! Loro credono a Satana, lo spauracchio che hanno inventato comunque i cristiani! Il rock ‘n’ roll comunque viene dal rhythm & blues, dal blues che è molto religioso, però noi siamo nati così, e tra le nostre passioni comuni c’era l’anticristianesimo. L’anticristianità doveva uscire fuori, eravamo noi i prescelti.
Quanta immagine c’è nella vostra musica? Quanto la si può guardare?
SE: Sono sempre delusa, infatti, perché la canzone non è nemmeno il 5% delle immagini che avevo in mente, sono una eterna insoddisfatta.
GB: I film sono fondamentali, perché noi rubiamo dai film. Sentiamo frasi, suoni, colonne sonore, scene, racconti, e prendiamo ispirazione da là. Quando abbiamo iniziato a suonare ci ha ispirato The Devils di Ken Russell del 1971, da cui abbiamo preso il nome.
SE: Il film è ispirato al romanzo I diavoli di Loudun di Huxley, lo stesso che ha scritto Le porte della percezione che ha ispirato i Doors. Noi due ci siamo attirati perché scherzavamo sulla chiesa insieme, e così è nata la band, poi il film ha dato la spinta finale.
GB: Parla di fatti del ‘600 che sono ancora attuali, però ci siamo rotti le palle anche di questo e ci siamo tolti i costumi di prete e suora, siamo diventati saggi.
SE: I costumi sono stati percepiti come qualcosa di divertente, mentre voleva essere una cosa seria, voleva sottolineare la nostra musica, non dissacrarla.
GB: Ci siamo tolti i costumi perché la chiesa è fallita di suo, le chiese, soprattutto all’estero, stanno chiudendo. Dove abito c’erano tre chiese, tre parroci, mentre ora invece c’è una chiesa con un parroco che fa le messe anche negli altri paesi. A me dispiace, perché una volta finito con la musica volevo mettermi a fare il prete, ma non prendono più gente, anzi, licenziano…
E questo disco che film è?
SE: Nazisploitation.
GB: Nel periodo in cui abbiamo scritto il film, eravamo in fissa con questi film erotici sui nazisti, di produzione italiana: La svastica nel ventre è uno dei nostri preferiti.
Erika sei delusa anche stavolta da come quelle immagini sono finite nel disco?
SE: Penso sempre che ogni cosa si possa fare diecimila volte meglio. Io ricerco la perfezione! Infatti lavorare con un produttore esterno serve a questo: avere una persona terza che dica: “È buono ragazzi, adesso basta, passiamo avanti”.
Qual è il rapporto tra la vostra musica e quella che girava a Napoli quando vi stavate formando?
SE: A Napoli non ci sono posti dove si suona rock ‘n’ roll, non ci sono persone che ascoltano rock ‘n’ roll, ci sono altre scene, ma non quella rock. Noi siamo lupi solitari, non frequentiamo le scene, lo troviamo limitante. Tendiamo a stare per i fatti nostri, non ci siamo mai sentiti parte di nessuna scena perché la nostra musica è completamente diversa da tutto il resto che c’è nelle nostre zone.
GB: Siamo un po’ orsi, due che se vedono la folla vanno dall’altra parte. Nella musica, nei social, qualsiasi cosa. Diffidenza verso il prossimo, il cuore, la morale, l’umanità. La folla ci allontana, ci dà il rigetto. A parte i concerti, l’unico scambio che abbiamo con gli altri, che ci piace. Ma anche tra di noi, l’unico tipo di scambio che abbiamo è sul palco, solo là riusciamo a sopportarci, a scoparci quasi.
Nonostante Napoli non sia una città rock, mi ha stupito leggere nei crediti che è stato registrato proprio qui. Merito dello studio e del produttore?
GB: Abbiamo fatto di necessità virtù: quando abbiamo proposto ad Alain di lavorare con noi, lui era a Milano e gli abbiamo chiesto di restare altri 15 giorni in Italia. Gli abbiamo mandato le demo e schede tecniche anche di altri studi, anche del Nord, ma lui era affascinato da Napoli e dallo studio.
SE: L’Auditorium Novecento è uno studio fantastico…
GB: Alain essendo appassionato di strumenti a corde voleva comprare dei mandolini. Ovvio che registrare a Napoli per noi è tutta un’altra cosa…
SE: Poi Napoli, anche se non c’è il rock ‘n’ roll, è rock ‘n’ roll di suo, è selvaggia, il rock è nell’aria.
Com’è stato costruito il disco in studio con Alain Johannes?
GB: Abbiamo fatto una cosa che non abbiamo mai fatto prima: tre giorni di preproduzione in sala con lui, e ci aiutava a provare soluzioni nuove. Non ha stravolto molto, ma non l’avevamo mai fatto con nessun produttore. Con Alain ci cagavamo un po’ sotto, siamo cresciuti con i suoi dischi, ma lui è un artista fantastico oltre che una persona straordinaria, quindi già dalla prima sera passata a parlare, a bere, ti fa scordare tutto quello che si porta dietro, le grandi rockstar con cui ha lavorato, te lo fa dimenticare. Siamo entrati molto in sintonia, tanto che l’ultimo giorno abbiamo anche fatto un pezzo insieme ed è stata la prima volta in vita mia che mi sono sentito un vero musicista.
SE: Siamo rimasti amici, ci sentiamo quasi tutti i giorni, ed è cosa rara per noi rimanere in buoni rapporti con altri musicisti.
Addirittura? Non sentite la comunanza con altri musicisti?
SE: Con gli italiani no, con qualche gruppo straniero si, siamo rimasti in buoni rapporti.
GB: Fin dagli inizi, non abbiamo capito perché, ma stiamo sul cazzo a tutti, e a questa cosa noi teniamo molto. Non ci dispiace affatto. Proprio gli esordi, ci trovavano bravi e carini, poi appena abbiamo iniziato a fare i dischi siamo andati sul cazzo a tutti, quindi forse siamo sulla buona strada. Non credo abbiano paura di noi, paura di che? Non siamo famosi, non siamo ricchi, che gli rubiamo, la miseria?
Anche Mark Lanegan lo sentite tutti i giorni?
SE: Lanegan è ancora più lupo solitario di noi e di chiunque altro.
GB: Anche quello è stato un regalo di Alain. Ma già quando abbiamo scritto il pezzo e abbiamo capito che la nostra voce non ci andava bene, scherzando abbiamo detto: “Su questo pezzo ci vorrebbe la voce di Mark Lanegan”, ma non avremmo mai pensato potesse accadere. Invece mentre registravamo, Alain passava le registrazioni a Mark e gli siamo piaciuti. Quando è tornato a Los Angeles per mixare il disco, era in studio con Mark per lavorare al suo audiolibro, e ci ha chiesto: “Facciamo fare un pezzo a Mark?”. Potevamo mai rifiutare?
SE: Io ho riso due o tre ore quando ho sentito il pezzo finito.
Non avete avuto paura della delusione del proprio mito? Che la traccia non andasse bene?
GB: Ciò che Mark ha di unico è la voce, il timbro, eravamo certi fosse perfetto, come fa a deluderti? Noi dicevamo ad Alain: “Ma fagli fare un rutto”, pure quello basta e avanza!
Come vedete questa narrazione della rinascita del rock, come è stata raccontata quest’anno?
SE: Non mi tocca, non mi accende questa curiosità di capire cosa viene raccontato in giro, l’unica cosa che posso fare è augurare alle persone di ascoltare veramente più rock ‘n’ roll possibile e di farsi una cultura a riguardo. Auguro alle persone di avere la passione e l’interesse per comprenderlo.
GB: Noi poi non siamo per niente social, quindi non ci accorgiamo proprio delle polemiche. Tra l’altro, un programma televisivo “molto rock ’n’ roll” (ride, ndr) ci ha cercato nelle ultime settimane e ci voleva comprare, però abbiamo rimandato la proposta al mittente. Ma come gli viene in mente? Sono proprio venuti a bussare alla porta del nemico. Non sanno chi siamo, che facciamo, lo fanno a caso.
SE: Non si sono resi conto, non sono nemmeno andati a vedere quello che facciamo.
A guardarvi, a chiacchierare con voi, tutto si direbbe tranne che siate due diavoli: voi che il diavolo lo frequentate e lo cantate, per voi quali cos’è demoniaco? Dove si nasconde il diavolo nel 2021?
GB: Per noi il diavolo è uno spaventapasseri, è uno spauracchio. Il vero diavolo è il bene umano, la pietà. Il disco si intitola La bestia non deve rimpiangere nulla perché l’umano non è in grado di vedere le cose così come sono, mentre la bestia esce dall’umano, è qualcosa che abbiamo dentro di noi, l’umano è l’alieno che tiene a bada la bestia. Il diavolo è l’uomo e tutte le idee create dall’uomo: Dio, i sentimenti, la morale, il lavoro, i figli, tutte ‘ste cazzate che non hanno nulla a che fare con il motivo per cui siamo qua. Noi siamo qua solo perché l’ha deciso la natura e siamo destinati ad essere inorganici. L’uomo ha preso una direzione opposta: il nemico dell’uomo non è il peccato, non è il male, il nemico dell’uomo è la morte, e l’uomo non vuole morire! L’uomo ha inventato tutto questo per non morire, ma è stato creato per morire.
SE: Il diavolo siamo noi, Il diavolo è l’umano che pensa di potersi mettere al di sopra del resto della natura, quando in realtà regna il caos. È come nel film: “Ricordati che devi morire!”
GB: “Sì, sì, mo’ me lo segno”
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L'articolo The Devils: Napoli è la capitale del rock, anche se nessuno lo suona di Marco Mm Mennillo è apparso su Rockit.it il 2021-05-25 10:00:00
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