Gli anni '70 folk, punk e rock di Edoardo Bennato

A 45 anni da "La torre di Babele", il cantautore napoletano ripubblica il disco con un live inedito che documenta gli assalti degli autoriduttori ai suoi concerti, le contestazioni e la violenza che sarebbe poi sfociata negli Anni di Piombo. Le storie di quel tempo ce le ha raccontate lui stesso

Un'elaborazione grafica da una foto degli anni Settanta di Edoardo Bennato
Un'elaborazione grafica da una foto degli anni Settanta di Edoardo Bennato

Sono passati 45 anni dall'uscita de La torre di Babele, un concept album iconico per la carriera di Edoardo Bennato, che arrivava dopo l'insuccesso commerciale di Non farti cadere le braccia del 1973 e la messa a fuoco del suo percorso provocatorio con I buoni e i cattivi del 1974 e il disco a tratti sperimentale Io che non sono l'imperatore del 1975. La torre di Babele è un album cult, un punto di riferimento dell'anticonformismo musicale e ideologico del tempo, per il cantautore che solo pochi anni prima era stato definito dalla Rai "sgradevole e sgraziato" e che nel 1977 avrebbe battuto i record di vendite con Burattino senza fili, arrivando primo in classifica sopra Lucio Battisti.

Riascoltandolo oggi, La torre di Babele sembra scritto per il 2021 e i suoi pezzi antimilitaristi, contro il potere costituito, che si prendono gioco della politica (destra o sinistra che sia) e delle "brave persone" che fanno il loro gioco, sono quanto mai attuali. Nel disco c'è anche Cantautore, che prende di mira se stesso e tutti quelli che fanno il suo mestiere, per come sono visti dall'esterno: infallibili, potenti, esseri superiori, e Venderò, un magnifico pezzo folk che è anche nella colonna sonora del documentario Sanpa su Netflix. 

Per l'occasione, è uscito un cofanetto con La torre di Babele rimasterizzato dai nastri originali, ma la vera chicca è un inedito album live con i concerti realizzati tra il 1976 e il 1977 da solo o insieme a Roberto Ciotti e Tony Esposito, registrazioni importanti che vanno oltre l'aspetto puramente musicale, perché per la prima volta documentano il clima che si respirava durante i concerti degli anni Settanta, tra i movimenti studenteschi e gli autoriduttori che contestavano i cantautori e le rock band dell'epoca perché, secondo loro, essendo legati alla sinistra guadagnavano eccessivamente. Al grido di "La musica deve essere gratis", gli autoriduttori mettevano a ferro e fuoco i palchi e processavano gli artisti (De Gregori, Venditti, Dalla e lo stesso Bennato tra gli altri), assecondando quel clima di violenza che sarebbe sfociato presto negli Anni di Piombo.

Ho avuto modo di parlare di quel periodo storico e del nostro tempo con Edoardo, che mi ha raccontato con dovizia di particolari storie che, viste con gli occhi di oggi, sembrano una sceneggiatura di Black Mirror. È stata una chiacchierata molto interessante e pure emozionante: non capita tutti i giorni di avere dall'altro capo del telefono un artista che recita i testi delle sue canzoni, che hanno fatto da percorso di formazione per milioni di italiani, me compreso, che aspetto ancora di conoscere le risposte "quando sarò grande". Iniziamo.

Edoardo Bennato live
Edoardo Bennato live

Era una festa e sembrava una guerra, come dice una tua canzone. Era un bel problema fare concerti in quegli anni a causa delle contestazioni. Ti va di parlarne?

Quel periodo era complicato anche perché c'erano dei dogmi politici o pseudo tali per cui si arrivava ai concerti con l'obiettivo di spaccare tutto: i contestatori arrivarono al Vigorelli dai Led Zeppelin al grido di "Mettiamo a ferro e fuoco il palco", con Santana bruciarono il palco e portarono via tutti gli strumenti e la stessa cosa successe con Lou Reed. Stiamo parlando sempre di quegli anni, '76 -'77. Le fasce giovanili pilotate che si allenavano a quella che poi sarebbe stata la lotta armata degli Anni di Piombo. Arrivavano al concerto con gli slogan e con la scusa dell'autoriduzione, ma con noi era ridicolo. Io non avevo un manager ufficiale, non avevo un impresario, ero circondato dagli amici del quartiere, da ragazzi come me, smaliziati che erano cresciuti nel cortile multirazziale e multietnico di Bagnoli. Non eravamo disposti ad accettare provocazioni. Francesco De Gregori che stimo moltissimo, forse più mite, insensatamente e ingenuamente accettava il dialogo, ma il dialogo non era prevedibile. L'accusa era che lui si metteva sul palco rispetto agli altri che erano sotto, in una posizione di soggezione. Praticamente i contestatori negavano il meccanismo del teatro, arrivavano e si divertivano a bloccare il concerto.

 

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Nel cofanetto per i 45 anni de La torre di Babele c'è un disco live molto interessante in questo senso, in cui si avverte la sensazione di tensione e pericolo per gli artisti in quegli anni.

Peccato dell'episodio di cui parli non ci sono le immagini, se ci fossero sarebbe una cosa spettacolare. Detto così sembra quasi fantascientifico. È l'estate del '77, in cui Burattino senza fili ha battuto tutti i record di Battisti, io mi tolsi il gesso perché ero stato ingessato tutta l'estate, mi ero fatto male giocando a pallone. Partimmo col furgoncino io, mio fratello e il mio manager (che era quello che abitava al piano sotto di me e si era improvvisato manager). Gli amici del cortile. Arrivammo a Modena in cui c'era la serata finale della Festa dell'Unità. Parlò Enrico Berlinguer e poi arrivai sul palco io, one man band con il tamburello a pedale, la chitarra 12 corde e l'armonica (come del resto ho fatto un mese fa a Santa Maria Annunziata a Firenze). Poi andammo al Palasport di Pesaro - se avete un filmato fatevi avanti - e inizio a suonare. Il biglietto l'avevamo imposto noi, 500 lire. Nelle discoteche intorno c'erano persone degne di stima e di rispetto come Riccardo Cocciante o i Pooh a 10.000 lire, ma gli autoriduttori non andavano nelle discoteche perché sarebbero stati accolti a sprangate. Venivano da me, De Gregori, Finardi, anche De André.

Edoardo Bennato live
Edoardo Bennato live

Come avete accolto i contestatori?

La mia squadra non era disposta a subire violenza, perché questi arrivavano, forzavano le entrate, spaccavano, buttavano giù le piantane, l'atteggiamento era molto arrogante. Entrarono con lo slogan "Bennato, Bennato il sistema ti ha comprato" e io incominciai col tamburello a seguire il loro ritmo, a sfotterli e provocarli, perché l'unica arma che avevo are quella di denunciare la loro stupidità, anche perché c'erano 3-4000 persone e dovevo stare attento a quello che dicevo o facevo. Avevo visto con Lou Reed al Palalido a Milano che bastavano una decina per tenere in scacco 5000 persone quindi dissi a Giorgio, mio fratello, di accendere le luci per identificare i 10 o 15 che avevano i bavagli, proprio come adesso. Avevamo messo il mixer dietro il palco invece che davanti proprio per evitare di essere accerchiati. Con la coda dell'occhio vidi Giorgio, il mio cosiddetto manager e un altro amico del cortile che si proiettarono verso i contestatori e iniziò una scazzottata da film western, mazzate senza esclusione di colpi. A un certo punto intuii che potevo fare qualcosa di più che stare sul palco: loro pensavano di incontrare il divo con i suoi impresari e invece intercettarono un pazzo scalmanato. Mi tolsi gli occhiali scuri, la chitarra e l'armonica e mi catapultai dal palco direttamente su di loro. L'effetto fu dirompente, riuscii a non prendere nessun pugno in faccia ma alla fine avevo una specie di camicia di jeans con una ferita da coltello sul dorso. A questo punto però il pubblico pagante incominciò a urlare "Buffoni, Bennato ammazzali", questi furono costretti a scappare e noi terminammo il concerto. Alla fine ci fu pure un episodio divertente: arrivò nei camerini Bob Fix, il sassofonista di origine americana che ha fatto gli assoli ne Il gatto e la volpe. Col suo accento mezzo americano mezzo napoletano disse: "È stat belissimo, pareva nu incontr' e puggilato grandioso!". C'era stato lo spettacolo nello spettacolo. Questo succedeva nel 1977 in Italia. 

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Non hai mai avuto paura di suonare in quegli anni?

Non potevo avere paura perché avrei dato forza ai nemici, perché erano veri nemici. A Palermo, nell'altra registrazione del live di La torre di Babele, arrivammo nel gennaio del 1977. Dovevamo fare tre concerti al Teatro Biondo ma ci dissero che era tutto esaurito e che molti ragazzi non erano potuti entrare quindi ci furono degli assalti in strada, macchine incendiate, vennero arrestati dei compagni. Il Movimento Studentesco mi invitò a fare un concerto all'interno dell'Università per raccogliere fondi per i compagni arrestati. Io accettai, chiesi solo che mettessero l'impianto perché sarebbe potuto essere pericoloso. Facemmo un concerto a Catania coi soliti assalti, la polizia, gli arrestati e tutto quello che prevedeva il cerimoniale di quegli anni, poi tornammo a Palermo ma si fermò la macchina di Giorgio, una vecchia Mercedes alla quale lui teneva molto quindi facemmo l'autostop per l'Università. Nonostante fosse gennaio c'era molto spazio anche all'aperto e alla fine era un evento con almeno 3000 ragazzi. La sottoscrizione era praticamente obbligatoria, per i compagni arrestati. Io suono gratis per la causa ma sono ancora sotto accusa. Il capo d'accusa è questo: "Bennato viene qua però lui non è andato al commissariato personalmente". C'era un cordone del movimento studentesco intorno a questo palco improvvisato che aveva il compito di difendermi dagli assalti di questi di Lotta Continua con le spranghe. Era una scena surreale, ci vorrebbero delle immagini, detto così sembra assurdo. Era violenza per la violenza. A un certo punto mentre stavo suonando dissi: "Io mi considero tutto sommato un fortunato oltre che un privilegiato, perché se io fossi vissuto 30 anni fa, nel mezzo di un mio concerto sarebbero arrivati degli esagitati con delle camicie nere che mi avrebbero impedito di suonare. Questi che vedete intorno a me con le spranghe di ferro non hanno le camicie nere ma sono della stessa pasta". 

Incredibilmente ho avuto a che fare col ritorno degli autoriduttori nel 2019 durante il concerto di Vinicio Capossela a Pisa.

Vedi, andavano da Vinicio Capossela ma non dai Modà. Vanno dove ci sono i loro beniamini, quelli che in teoria e in pratica fanno musica e cultura. È un meccanismo perverso. Non si parla di buonsenso o logica, in questo caso c'è sopraffazione, non c'è niente su cui ragionare o ponderare. Sono sedicenti difensori dei deboli e degli oppressi, in realtà i peggiori nemici dei deboli e degli oppressi. 

Edoardo Bennato mentre monta la strumentazione
Edoardo Bennato mentre monta la strumentazione

Tra il rock e la musica leggera, tu hai sempre saputo dove schierarti.

Quello era un momento particolare in cui le masse giovanili venivano portate in modo istintivo a seguire un tipo di musica che si chiama rock, diverso dalla musica leggera. La musica leggera ha un suo compito e lo assolve bene, serve a distrati, a non pensare, a evadere, a distaccarti dalle tensioni e le schizofrenie del mondo. La musica rock si ciba di queste contraddizioni e schizofrenie, quindi i temi del rock sono sempre quelli: I can't get no satisfaction o comunque tutto quello che trovi nei testi dei R.E.M., dei Green Day o dei Doors, per citarne tre famosi di periodi storici diversi. Il rock attinge linfa dalle contraddizioni dei singoli individui e delle collettività. In quel periodo i giovani seguivano gli eventi del rock, i grandi raduni collettivi. Durante la metà degli anni '70, il Festival di Sanremo che è un po' l'emblema del baraccone rutilante apparentemente dorato della musica leggera, era ridotto a una recita parrocchiale, la Rai non si collegava neanche. Erano anni in cui i ragazzi snobbavano Sanremo perché lo ritenevano un contenitore di musica vacua, per anziani, per gente che non crede più in niente e si ciba di canzonette. Io ho la presunzione o l'illusione di fare un tipo di musica che si chiama rock, laddove per rock s'intende provocare, invitare al dubbio, al confronto con gli altri, per innestare un meccanismo di propositività. In questo momento sembra che nessuno abbia dubbi, che siano tutti omologati, proiettati verso la catastrofe.

 

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La torre di Babele e le sue canzoni sembrano scritte oggi per quanto sono profetiche. Penso a Quante brave persone, se sostituiamo la tv col social è attualissima...

È un concept album, come I Buoni e i cattivi, come quelli delle favole, come Non c'è, l'ultimo album in cui in copertina ho messo la prima pagina di un quotidiano che esce domani in cui gli strilli degli articoli sono le canzoni, come Bravi ragazzi del '74.

 "Una di notte, c'è il coprifuoco, e pensare che all'inizio sembrava quasi un gioco. Ora non c'è più tempo per pensare, tutti dentro, chiusi ad aspettare. Per fronteggiare la situazione c'è stato un programma alla televisione. Hanno parlato tutti gli avvocati di tutte le bandiere, di tutti i partiti. Ed è stato proprio commovente vedere tutti quei grandi sacrificare le proprie idee in nome del bene della gente. Poi hanno dato severe istruzioni di stare calmi e stare buoni. Buoni, su, buoni ragazzi, ma non è il caso di agitarsi. Bravi, su, fate i bravi ragazzi, vedrete che poi sistemeremo tutto".

Questo è del '74 e si complementarizza coi brani recenti come Signore e signori, Maskerate, L'uomo nero con ClementinoTornando a La torre di Babele, Viva la guerra è un'ironia, Franz è il mio nome parla di questo barrocciaio collodiano che ti porta dall'altra parte della città. Lui dice: "State male, non vi piace Berlino Est? Non vi preoccupate, io vi porto dall'altra parte della città come nel Paese dei Balocchi. A Berlino Ovest troverete tutto quello che cercate, potrete realizzare tutti i sogni, nelle vetrine c'è tutto quello che desiderate, ci sono anche le donne in vetrina a Berlino Ovest. Potrete trovare tutto quello che volete, tutti i sogni proibiti, però attenzione perché quando finirete i soldi sarete voi stessi messi in vetrina". È una provocazione al di sopra delle parti, delle fazioni, al di sopra delle filosofie politiche o pseudo tali. Io non posso e non devo permettermi il lusso di parteggiare per una fazione a danno di un'altra, perché il rock non può essere asservito a una fazione politica. Oltretutto il termine politico viene costantemente mistificato.

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Puoi spiegare meglio questo concetto?

Quando si parla di sport, si parla di un'attività sana, nobile, costruttiva, in cui ti migliori fisicamente e moralmente attraverso il confronto con l'avversario. L'avversario è degno di rispetto e tu gli stringi la mano se t'ha superato o se superi lui. Il tifo è esattamente il contrario dello sport. Io stesso sono tifoso e lo giudico un vizio, perché è antitetico allo sport. Lo stesso rapporto c'è tra fare politica e essere militante di una fazione politica. Fare politica dovrebbe essere il tuo confronto costante col mondo che ti circonda, il dialogo costante con gli altri con l'obiettivo di migliorare. Quando qualcuno ti dice che non fa politica, ha fatto una dichiarazione politica ben precisa. Ogni nostro movimento, atteggiamento o pensiero è politica. Ognuno di noi la fa senza rendersene conto. Parteggiare, essere militante o attivista di una fazione politica è esattamente il contrario. Noi spesso siamo equivoci e la paghiamo cara, quello che stiamo vivendo è il risultato di questa schizofrenia totale a livello singolo e di collettività, come la caccia alle streghe nel Medioevo o la Santa Inquisizione in cui i responsabili sono quelle "brave persone", come avevi ipotizzato tu. Sicuramente non i dieci, cento o mille al potere, quelli che hanno il ruolo ufficiale nella vita politica, perché quelli attingono linfa dalla stupidità di quelle "brave persone". Bisogna leggersi il testo e sentire il ritmo del blues, che è provocazione, è la musica del diavolo non a caso. Io mi sento in questo momento di rappresentare più il diavolo che non l'avversario del diavolo.

 

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Parlando strettamente di musica, io sono innamorato del suono della 12 corde e vorrei sapere quando hai deciso di comprare la prima. Quando in La torre di Babele inizia Venderò, mi emoziono ogni volta come la prima volta.

Ero in una strada di Napoli, via san Sebastiano e c'era un amico di mio padre che mi voleva fare un regalo. Mi disse: quale scegli? Che è il testo di quel brano che si chiama La chitarra.

"Io l'ho vista all'improvviso e ho avuto un tuffo al cuore, silenziosa e luccicante come una visione, così vera e provocante dietro la vetrina, non l'avevo vista mai così vicina. Lei, la chitarra".

Ecco, vidi questa chitarra e mi colpì, ed era una chitarra 12 corde ma la comprai che era usata e aveva solamente 6 corde. Immaginai che qualcuno l'avesse comprata e poi un po' deluso dal fatto che 12 corde fossero un po' troppe, ne avesse lasciate solo 6. Aggiunsi quelle che mancavano e mi affezionai a questo tipo di suono, che è folk. Del resto il folk, il rock e il blues sono parenti e cugini. I pezzi di Bob Dylan o quelli dei Doors in alcune circostanze sono folk o blues o rock, è quella la genìa. Il rock è fatto di tensione ritmica e testi provocatori, anche nei confronti di noi stessi, non è un caso che ne La torre di Babele ci sia Cantautore che è uno sfottò a me stesso, su quello che è il mio ruolo o su quello che gli altri presumono debba essere il mio ruolo. Un cantautore è un qualunque musicista che scriva le proprie canzoni, Bono degli U2 è un cantautore, solo che in Italia questa definizione viene vista come un periodo storico. Meglio non fare parte dell'elenco dei cantautori. 

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Una canzone importante sulla mistificazione del ruolo del cantautore.

Noi umani siamo destinati a mistificare tutto, la nostra sensazione di disagio si ripercuote a livello collettivo. Veniamo iscritti a questo gioco bellissimo che è il gioco della vita e questo è il testo di una canzone che si chiama Quando sarai grandeNon l'abbiamo chiesto ma ci dicono: "Guarda che la vita è bella, non sei contento che ti abbiamo fatto nascere? Sii contento, goditi la vita!", e noi magari facciamo delle domande, a volte imbarazzanti ai più grandi per cercare di capire come funziona questo gioco. Veniamo trattati con sufficienza: "Osserva gli altri, vai a scuola, leggi più libri che puoi, quando diventerai grande avrai tutte le risposte che cerchi.", ma noi queste risposte non le abbiamo mai. Rimane latente questa nostra insoddisfazione e a un certo punto la paura della morte. Latente, costante. In effetti più è alto il livello di istruzione e più ogni essere umano è schizofrenico. Gli abitanti del Terzo Mondo, con tutti i problemi che ci sono - perché è inaccettabile che ci siano parti del mondo in cui non si riesce a sopravvivere - sono persone sono meno schizofreniche perché non hanno quella serie di dati e di informazioni che le rendono paradossalmente più insicure. Non è un caso che nelle aree dove la qualità della vita a livello culturale e sociale è più alta come la Scandinavia, ci siano più suicidi. Questa tensione ti porta all'autodistruzione in una società in cui non c'è più buonsenso, torto o ragione, ma si salvi chi può, soprattutto in questo ottobre del 2021. 

 

Quando dicevamo che saremo usciti migliori dalla pandemia era una falsità, ne siamo usciti tutti contro tutti a livello sociale, no?

Queste sono affermazioni che dipendono dai punti di vista, qualcuno potrebbe condannarti subito per quello che hai detto e ti potrebbe accusare di eversione. L'interesse della collettività passa in secondo piano rispetto agli interessi delle due fazioni. Quindi quelle "brave persone" di cui parlo de La torre di Babele sono quelle ligie, osservanti, quelle che fanno il gioco del potere.

C'è un passo della tua biografia musicale che mi piace molto, in cui dopo il primo album che non ha avuto il successo sperato, ti piazzi davanti alla sede Rai con chitarra, armonica e tamburello a pedale per fare un set molto forte per l'epoca. Me ne vuoi parlare?

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Il mio primo album, Non farti cadere le braccia del 1973 non è che non è stato ascoltato, è stato proprio eliminato perché quando uscì, dopo qualche settimana il direttore della Ricordi mi disse: "Senti Edoardo, devi capire che la legge fondamentale di questo mestiere è la promozione, l'esposizione. Noi non abbiamo niente da rimproverarci, il tuo disco l'abbiamo messo negli scaffali dei negozi ma nessuno se lo va a cercare perché i media non trasmettono le tue canzoni, perché la Rai pensa tu abbia la voce sgraziata e sgradevole, quindi non c'è niente da fare. Anzi, fammi un piacere, tu fai l'Università, laureati in architettura e levati dai piedi". Fui semplicemente bocciato. A Londra mi ero costruito un tamburello a pedale osservando gli one man band che suonavano in metropolitana e un fabbro mi costruì questo catafalco, questo apparecchio che mi consentiva di suonare l'armonica e contemporaneamente la chitarra (perché allora non li vendevano in Italia) e poi avevo dei pezzi punk, tipo Salviamo il salvabile, Ma che bella città, Arrivano i buoni, un pezzo contro il Presidente della Repubblica di allora (Uno buono), un pezzo che sfotteva il Papa (Affacciati affacciati), cose eversive.

Tu sei stato il primo cantante italiano a cui è stato affibbiato l'appellativo "punk" da Ciao 2001 nel 1974...

Io senza rendermene conto nel 1973 facevo pezzi punk, isterici. È un atteggiamento forsennato e provocatorio nei confronti di una società che si autodefinisce, si proclama consapevole, lucida e assennata, e invece è completamente schizofrenica. Feci questi pezzi per strada in un posto strategico a Roma, sapevo che di là passavano giornalisti e addetti ai lavori, infatti passarono dei ragazzi di un settimanale che per quei tempi era il vangelo, Ciao 2001, grazia a cui suonai in un festival a Civitanova Marche dove c'era tutta l'intellighenzia del periodo. Quel giorno suonai insieme a Franco Battiato, Claudio Lolli e Claudio Rocchi. Salii sul palco e feci questi pezzi punk, mi guardai bene dal fare Campi Flegrei, Un giorno credi o Una settimana un giorno o comunque i brani di Non farti cadere le braccia, sia perché era stato bocciato, sia perché non avrebbero avuto nessun effetto. Feci pezzi punk, da battaglione, da forsennato, da eversivo, da provocatore, da iconoclasta. Mi resi conto quando scesi dal palco che finalmente avevo avuto la patente, quella che mi era stata negata dal mondo ufficiale della canzone. Avevo ricevuto la patente dal mondo politicizzato della musica, e quell'estate feci tutti i concerti possibili e immaginabili: Lotta Continua, Avanguardia Operaia e chi più ne ha più ne metta. A ottobre il direttore della Ricordi mi chiamò e mi disse: "Caspita, sei diventato una leggenda, come hai fatto? Facciamo un 45 giri con Ma che bella città e Salviamo il salvabile". Nel febbraio del 1974 uscì l'album I buoni e i cattivi in cui ci sono questi pezzi punk. Non è un caso che in copertina ci sia l'immagine emblematica della schizofrenia, due carabinieri ammanettati fra loro. 

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C'è qualche artista di oggi che ha ripreso la tua provocazione?

Magari ci sono anche, ma sono costretti a suonare nelle cantine perché le radio trasmettono altro.

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L'articolo Gli anni '70 folk, punk e rock di Edoardo Bennato di Simone Stefanini è apparso su Rockit.it il 2021-10-13 11:13:00

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