"Come mi guardi tu": come i Tre Allegri Ragazzi Morti sono finiti al museo

È pronta a inaugurare al Museo Nazionale della Fotografia di Brescia la mostra dedicata alla band di Pordenone. Le curatrici ci raccontano come hanno scelto i 40 fotografi chiamati a raccontare questi 30 anni di carriera

© Fabio Cussigh
© Fabio Cussigh

Come m’hai visto tu / Non m’hai mai visto nessuna – ed è per questo, in fondo, che oggi il tuo sguardo diventa un grande racconto di me. È questa una delle prospettive per percorrere la grande retrospettiva “COME MI GUARDI TU. Tre Allegri Ragazzi Morti negli occhi di 40 fotografi”, ospitata dal 14 luglio all’8 settembre al Museo Nazionale della Fotografia di Brescia: curata daLuisa Bondoni e Paola Bristot in occasione dei trent’anni di carriera di una delle band più importanti per la musica indipendente italiana, la mostra raccoglie 60 scatti ai Tre Allegri Ragazzi Morti realizzati da fotografi professionisti e non, per ripercorrere la storia del gruppo, i suoi retroscena, l’allegria senza fine e i cambiamenti dal 1994 al 2024. Ma anche per entrare in contatto con gli stili e gli sguardi di alcuni dei fotografi e delle fotografe, non solo italiani, che hanno contribuito a cogliere e rappresentare l’immaginario della band, fissando in fotografia l’identità collettiva aperta dalla sua maschera.

In attesa dell’inaugurazione di domenica 14 luglio, abbiamo rivolto qualche domanda alle curatrici Luisa Bondoni e Paola Bristot, per approfondire come si costruisca un viaggio visivo capace di attraversare tre decenni di musica e cosa significhi provare a ripercorrere la storia di una band che da trent’anni danza mascherata sopra l’incredibile spetaculo de la vida.

(© Cecilia Ibañez, Tre Allegri Ragazzi Morti, Malibè, Pubblicata nel disco “Primitivi del Futuro”, Valvasone, 2010)

Com’è nata l’idea della mostra?

Luisa Bondoni: La mostra nasce dall'incontro fortuito e fortunato tra il Museo della Fotografia e i Tre Allegri Ragazzi Morti. La band ha infatti un legame particolare con Brescia, città sede del museo e riferimento a livello nazionale per la cultura fotografica.
Paola Bristot: In occasione del trentennale, oltre alle attività legate ai concerti, è emersa anche un’attenzione specifica sulla possibilità di raccontare questa occasione attraverso una dimensione espositiva. Durante una visita al museo insieme alla fotografa Elena Tubaro, è stata subito evidente la sua dimensione di spazio ospitante di grande levatura, adatto alla mostra sia per la rilevanza della sede museale che appunto per il rapporto della band con la città, spesso visitata dai Tre Allegri durante i tour.

Come avete scelto i 40 fotografi coinvolti all'interno della mostra?

I Tre Allegri Ragazzi Morti nascono fin dalle origini con una comunicazione mediata da una maschera. A partire dal 1997, esistono moltissime loro foto, sia per la diffusione crescente di apparecchi fotografici e in seguito smartphone che per l’estensione dei loro tour, che offriva molteplici occasioni per fotografarli. Effettuare una selezione non è stato facile a causa dell’elevata mole dei materiali: siamo partite dall’esplorazione del vasto archivio che hanno sempre tenuto come band, essendo da sempre molto attenti alla propria comunicazione.

(© Annapaola Martin, TARM, Garage Pordenone, Milano, 2024)

A che anno risale la prima foto esposta e a quale l’ultima?

Il primo scatto è del 2001, è stato realizzato dalla fotografa Alice Pedroletti e costituisce la prima foto ufficiale della band. L’ultimo è di pochi giorni fa ed è stato realizzato a Udine da Elena Tubaro. In alcuni casi, abbiamo pensato di includere almeno due o tre scatti per fotografo, per cercare di dare una voce a ciascuno. Abbiamo scelto di coinvolgere sia fotografi professionisti, che spesso hanno seguito il gruppo anche per anni, che collaboratori della band, per offrire sfaccettature differenti e diversificare la mostra con più livelli: accanto alle immagini dei professionisti, l'esposizione offre così anche lo sguardo di altri musicisti o dello staff del gruppo. Un esempio è quello di Luigi Galmozzi, fonico del gruppo recentemente scomparso: abbiamo incluso una foto che realizzò allo Stadio Olimpico di Roma nel 2013, in occasione di una data del “Backup tour negli stadi” con cui la band aprì i concerti di Jovanotti. Ci sembrava giusto restituire una rappresentazione del gruppo aperta, come loro stessi vogliono. Laddove molte band giocano molto sulla spettacolarizzazione del proprio volto, la scelta dei Tre Allegri Ragazzi Morti è sempre stata quella di nasconderlo: una volontà di aprirsi, partendo da un'identità collettiva. Al Museo è presente anche un video prodotto per la mostra, che raccoglie oltre 2.000 foto, inviate dai fan nell'ambito di un progetto lanciato dal gruppo, montate da Nahuel Martinez: un segno tangibile di come la maschera possa funzionare per raccogliere e coinvolgere chi va ai loro concerti e speriamo anche chi verrà a vedere la mostra.

Dalla vostra prospettiva di curatrici, che cosa emerge dell'impatto che hanno avuto i Tre Allegri sulla musica italiana negli scatti che avete selezionato?

Paola Bristot: Dal mio punto di vista, l'originalità della loro estetica è un chiaro riflesso anche di alcune scelte musicali. I Tre Allegri Ragazzi Morti sono stati e sono uno dei gruppi più longevi e soprattutto più rappresentativi della musica indipendente italiana: con la fondazione della loro etichetta, La Tempesta Dischi, hanno rivendicato di essere i motori della propria musica. Questa libertà emerge anche nelle foto: nell’immagine che propongono non sono condizionati dalle scelte altrui, ma solo dalle proprie. In più, nelle foto emergono anche alcuni tratti unici che li contraddistinguono: un esempio è l'abbinamento tra musica e disegno determinato da Davide Toffolo, che emerge anche nei costumi di scena, nei fondali e più ampiamente nella relazione con il pubblico. Sono tutti aspetti a cui come band hanno sempre tenuto, che per il fotografo costituiscono un gancio visivo importante e molto distintivo. 

(© Olga Litvinova, Latteria Molloy Brescia, Marzo, 2019)

Voi siete anche fan della band o vi siete rapportate a questo lavoro e alla selezione degli scatti da un punto di vista esclusivamente professionale?

Paola Bristot: Io sono di Pordenone e con questo ho già detto tutto (ride, ndr).
Luisa Bondoni: Io sono di Brescia ma li seguo da molto tempo, quindi, oltre a essere un evento importante per il Museo della Fotografia, lo è anche a livello personale. Ricollegandomi a quanto diceva Paola prima, trovo che tutta la mostra restituisca in modo preponderante la vicinanza e il legame della band con il pubblico: è come se, attraverso gli sguardi di questi fotografi, si percepisse questa non-distanza tra il gruppo e chi partecipa ai loro concerti e alle loro vite, che credo sia anche conseguenza del loro approccio alla musica e della libertà di cui parlavamo prima. Dal mio punto di vista, la mostra è un viaggio bellissimo attraverso questi trent’anni. Lo abbiamo suddiviso in sezioni tematiche: dalla preparazione prima del concerto al rapporto con il pubblico, fino ai ritratti veri e propri e alla vita sul palco. Volevamo che il visitatore venisse proprio gettato in mezzo alla loro vita e alla loro musica.

Che valore credete abbia includere un genere come quello della fotografia di musica, a cui è spesso data meno centralità di altri, all’interno di un contesto come il Museo Nazionale della Fotografia?

Luisa Bondoni: Purtroppo si vedono ancora poche mostre legate a questo settore. Viviamo in un’epoca caratterizzata da tantissime distinzioni di genere: anche in fotografia si tende a catalogare ogni ambito, dalla fotografia street al ritratto, credendo che alcuni generi siano un po’ di secondo ordine. Io credo non sia assolutamente vero e non lo è neanche per il Museo, che cerca di esprimere la fotografia a trecentosessanta gradi. A mio parere, la fotografia di musica non può nemmeno essere incasellata in un determinato genere: solo in questa mostra, ad esempio, si passa dal ritratto in studio allo scatto di reportage rubato durante un concerto, mescolando e unendo tantissime prospettive diverse. A diventare importante non è tanto il genere, ma gli sguardi dei fotografi, che sono riusciti a rendere protagonista ciò che volevano raccontare. Come Museo, crediamo che debba avere voce anche quello che altrove è forse un po’ meno trattato. Siamo liberi, come i Tre Allegri Ragazzi Morti.

Fotografi in mostra: Matias Altbach, Alessandro Astegiano, Carole Basile, Dorothy Bhawl, Daniele Bianchi, Andrea Calabrese, Alessandra Campolin, Margherita Caprilli, Roberto Cavalli, Simone Cecchetti, Stefano Cioffi, Paolo Ciot, Lorenzo Commisso, Fabio Cussigh, Danilo D’Auria, Marcella De Gregoriis, Marcoantonio Di Giulian, Elia Falaschi, Jacopo Farina, Luigi Galmozzi, Cecilia Ibañez, Olga Litvinova, Ilaria Magliocchetti Lombi, Fabio Marchioro, Annapaola Martin, Demis Martinelli, Franco Moret, Elisa Moro, Alice Pedroletti, Stefano Pinci, Paolo Proserpio, Massimo Spadotto, Laura Stramacchia, Sebastiano Tomà, Vanessa Tomasin, Elena Tubaro, Fabio Valente, Alessandro Venier, Antonio Viscido, Mattia Zoppellaro, Paulonia Zumo.

La mostra, patrocinata dal Comune di Brescia e realizzata in collaborazione con Galleria FIAF, Radio Onda d’Urto e Petite Photo Brescia, inaugurerà domenica 14 luglio alle 18:00 alla presenza della Sindaca di Brescia Laura Castelletti, degli artisti Luca Masseroni e Davide Toffolo e di molti dei fotografi coinvolti e sarà aperta al pubblico fino all'8 settembre / Chiusa dal 12 al 26 agosto. Ingresso libero.

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L'articolo "Come mi guardi tu": come i Tre Allegri Ragazzi Morti sono finiti al museo di Giulia Callino è apparso su Rockit.it il 2024-07-09 23:45:00

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