Amatissimo in tour e capace di fare breccia negli ascolti anche di insospettabili, Umberto Maria Giardini torna a essere per un po' nuovamente Moltheni. È la realizzazione di quel che sembrava essere soltanto l'ennesimo sogno inattuabile per il giornalista/fan medio. Si tratta di uno degli autori di canzoni indie-rock più atipico, geniale, eclettico e soprattutto evocativo degli ultimi vent'anni. Le domande da porgli sarebbero centinaia e almeno la metà potrebbero riguardare solo I segreti del corallo, uno di quei titoli che magari non hanno propriamente segnato una generazione, ma che ben fa capire il livello di una carriera sempre alt(r)a.
Quando, come nel caso di Umberto, l'artista coincide con la sua arte, non essendo mai stato icona, personaggio o tendenza, ma solo sostanzialmente autore, per di più schivo e un po' turbolento – chi vi parla venne quasi cacciato nel 2006 dai camerini del Circolo degli Artisti dopo una domanda ritenuta oltremodo irrispettosa –, la faccenda si potrebbe complicare. Ecco perché non vi nascondo un certo malcelato stupore nel trovare un interlocutore calmo, posato, teso solo in parte teso alla sfacciata promozione di Senza eredità, disco di inediti a nome Moltheni in uscita l'11 dicembre per La Tempesta, solo a tratti avaro di parole o prodigo di ampollose rifiniture su alcuni dei concetti estetico-formali su cui si regge la sua musica.
Come ti sei ritrovato in un songwriting legato ai tuoi trent'anni? Quanto c'è di rivisitato e corretto alla luce del (tuo stesso) presente?
In questo nuovo e definitivo lavoro di brani ripescati e mai incisi a firma Moltheni, per forza di cose, mi sono dovuto immergere nuovamente nelle sensazioni di quegli anni. È stato un processo “in rewind” molto naturale: di ogni singolo brano, se pur lontane nel tempo, avevo nitide tracce lasciate, alle quali mi sono aggrappato. Poi è riaffiorata la memoria che a braccetto con l'entusiasmo di chiudere un cerchio, forse lasciato aperto, mi ha aiutato notevolmente.
Io resto stupito dell'esistenza di inediti così belli rimasti taciuti per tutti questi anni. Perché pubblicarli ora? Cipiglio narcisista o volontà di non lasciare nulla di inedito, ovvero nessuna eredità, su cui lucrare?
Né l'uno né l'altro. Non ho mai praticamente chiesto nulla alla mia musica, non ne ho avvertito mai la necessità ne avuto la reale possibilità di farlo. Senza eredità è un disco che si nutre della consapevolezza che il tempo passa e trascina con se tutto, anche le cose belle. Nell'arte e nelle sue molteplici rappresentazioni, ognuno di noi è unico, e ognuno di noi non lascia nessuna eredità. Tutto è conservato e tutto è perso allo stesso modo.
Dai titoli ai testi c'è sempre un rimando a un passato più o meno palese e più o meno remoto. Ti avevo lasciato a Le colpe dell'adolescenza come Umberto, oggi com'è il tuo rapporto con la nostalgia e al tempo andato?
Il passato è parte integrante della mia vita e della mia personalità. Io vivo di passato, che mischio per ovvi motivi al presente, ma l'aspetto che riguarda il concetto di "non c'è più" mi ha sempre e affascinato. Oggi poi, la consapevolezza e la certezza oggettiva, che tutto ciò che eravamo era più appagante di ciò che siamo, mi accarezza ogni giorno. Tutto ciò non è il risultato del tempo che passa e del mio invecchiamento, poiché provavo le stesse identiche sensazioni anche da ragazzino. È il mio DNA, è ciò che sono, è lo specchio in cui mi vedo, e la luce in cui mi rifletto.
Cosa cancelleresti e di cosa hai nostalgia del tuo periodo come Moltheni?
Cancellerei praticamente tutto, perché lo considero discretamente scadente, soprattutto da un punto di vista tecnico. La nostalgia chiama gli anni e ciò che vivevo, non di certo la giovinezza fisica che non ho mai considerato un valore aggiunto. Sono strafelice di essere un cinquantenne, se fossi giovane, soprattutto oggi, sarei uno sfigato, in perfetta linea con ciò che mi circonda.
Ultimamente è tutto un pullulare di gente che si sgomita per prendersi la paternità dell'indie italiano. Dente, Max Collini, Bianconi, Agnelli. Tu come ti rapporti alla scena attuale?
Io non so nemmeno cosa sia la scena attuale. Forse per il fatto che di fatto non esiste; se mi avessero affibbiato, e in realtà è già successo, una parte di paternità della musica indie italiana ci avrei sofferto tantissimo. Sono sempre stato un cane sciolto, e non vorrei mai far parte di qualcosa che non mi appartiene.
Ma sei un "possibilista" come Vinico Capossela o un "integralista" come Ferrari dei Verdena?
Tra Vinicio Capossela e Alberto Ferrari non faccio nemmeno azzardati paragoni. Sul primo non voglio nemmeno perdere un minuto della mia vita, conosco troppi aneddoti, anche vissuti personalmente, che mi stimolano a non dire nulla. Sul secondo, che conosco e con il quale ho collaborato, posso dire ugualmente poco. Lo considero straordinario e professionalmente raro, se pur umanamente distante anni luce da me. Detto questo, mi sento molto più vicino all'integralismo di Ferrari, ma chi mi conosce lo sa: io sono molto più severo e pignolo di lui.
A proposito di pignoleria, ci sono canzoni che non hanno bisogno di durare un'infinità per colpire. Per esempio, Sai mantenere un segreto? non arriva a due minuti. Com’è nata?
La genesi è pressoché identica a brani apparentemente più importanti o comunque di maggior durata. Sai mantenere un segreto? è un giro di arpeggi che avevo scritto nel 2006 e al quale avevo solo iniziato ad adattare un testo. Ricordavo poco niente delle parole, ma ricordavo a chi era dedicata. Il lavoro di recupero della memoria è inevitabilmente passato anche attraverso il tempo occorso nel ricucire tutto. Ho lavorato moltissimo ai testi durante le lunghe e interminabili giornate al mare del 2019, poi quando tutto si è rivelato concluso, sono dovuto passare all'aspetto sonoro, dove l'aiuto di Nica Lepira, mamma del mio primo produttore Francesco Virlinzi, e Massimo Roccaforte sono stati determinanti.
Il quinto malumore potrebbe, in altro contesto e a un'altra velocità, essere un pezzo di scuola FBYC/Verme. Quanto c'entra la rabbia con ciò che scrivi, e quanto la frustrazione?
Non sono una persona rabbiosa, né frustrata, tuttavia dubito fortemente che se lo fossi riuscirei a trasportarlo in ciò che compongo. Sono una persona cresciuta con un certo tipo di educazione, molto rigida dalla parte materna e molto dolce e permissiva da quella paterna. Caratterialmente assomiglio molto a quello che fu il carattere dei miei genitori; ho uno spiccato senso della giustizia e da buon marchigiano giudico senza filtri ciò che vedo, evitando le scorciatoie ed analizzando gli oggettivi e reali aspetti della realtà. Fin da quando ero bambino sono un attento osservatore di quello che mi circonda, e come un animale selvatico diffido di tutti.
Tenco rispondeva alla domanda sul perché scrivesse solo storie tristi "perché quando sono felice esco": vale lo stesso?
Tenco era una persona fuori da ogni tempo, la sua grandezza sta anche in questo aspetto della sua introspettiva personalità. Io riesco ad essere felice anche quando scrivo cose malinconiche, a patto che sia da solo.
Le registrazioni sono state terminate praticamente prima del lockdown, posticipando l'uscita del disco. Questo è molto in linea con la figura dello sfigato che andava per la maggiore nella scena indipendente degli anni '90, da cui il disco prende a piene mani. Tu come l'hai vista?
Secondo me mi sopravvaluti, questa è la cosa più divertente. Io non mi considero uno sfigato, ho vissuto musicalmente anni fantastici: prima come spettatore di concerti internazionali, dal 1996 al 2018 come musicista con un pubblico reale. Gli sfigati sono altri e, alla luce degli eventi, sono decisamente contemporanei. Quando ero più giovane non esistevano i talent e internet era solo agli inizi, quindi più che sfigato sono stato un privilegiato degli eventi, baciato dal tempo. Come me tantissimi altri musicisti ancora attivi, alcuni anche milionari. In riferimento all'uscita dell'album, non ho assolutamente collegato le due cose, che sarebbero state spontanee e conseguenziali, se non ci fosse stato questo disastro che ha bloccato tutto.
Quindi come ti sei rapportato alle cose che sono successe?
Il ragionamento che assieme alla mia etichetta abbiamo fatto è stato molto più semplice e diretto: mantenere la promessa fatta agli affezionati al progetto, indipendentemente dal discorso in stand-by dei live, che domani potrà materializzarsi, come anche no. Nonostante sia un messaggio deviato e figlio dei giorni nostri, la musica non si produce solo ed esclusivamente per un obbiettivo. Molti musicisti ne danno per fortuna la prova, tuttavia il piacere di comporre, scrivere, suonare, registrare scavalca la promozione e l'attività live. Quando tornerà la possibilità di farlo, felici, torneremo a farlo.
Ci sono molte collaborazioni all'interno del disco, tra cui quella di Carmelo Pipitone dei Marta sui Tubi e Riccardo Tesio dei Marlene Kuntz. È stato un lavoro di gruppo o avevi l’esigenza di avere "turnisti di spessore"?
Prima di tutto, è stata per me priorità ricontattare tutti coloro che avevano lasciato il loro segno nel progetto Moltheni, sia chi aveva suonato nei dischi, che chi mi aveva accompagnato nei tantissimi tour tra il 1997 e il 2010. Fortunatamente, c'è stata anche l'occasione di avere degli ospiti non preventivati per questo disco: Emanuele Alosi, ex batterista di Stella Maris, lo stesso Riccardo che hai citato, nonché Paolo Narduzzo, mio bassista fisso degli ultimi anni. Moltheni più che uno pseudonimo che rappresentava me, è stato un contenitore di condivisione dove è passata tantissima gente anche musicisti di scarsa tecnica. La musica è un filo che lega tante vite, anche quando involontariamente non lo si vuole.
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L'articolo Umberto Maria Giardini: "Cancellerei tutto di Moltheni, eppure torno a essere lui" di giorgiomoltisanti è apparso su Rockit.it il 2020-12-10 10:50:00
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