Orgoglio regionale ed eccellenze musicali italiane si fondono nella quinta edizione di L'Umbria che spacca, il festival che invade il centro storico di Perugia dal 30 giugno al 2 luglio 2017. Il nuovo appuntamento promette alcune sfiziose novità e il cartellone più variegato di sempre, condito da workshop e incontri rigorosamente a tema musica. Tra i fondatori del festival c'è Aimone Romizi, che smette momentaneamente i panni del frontman dei Fast Animals and Slow Kids per dedicarsi anima e corpo alla celebrazione della scena umbra. Gli abbiamo fatto quache domanda per sapere qualcosa di più sull'organizzazione dell'evento.
L'Umbria che spacca nasce dal lavoro di una piccola associazione. Quali sono stati i vostri primi passi nel mondo dell'organizzazione di eventi?
Da anni l'associazione dei Roghers crede nella musica umbra e organizza questa serata, ormai giunta alla nona stagione, che si chiama Mercoledì Rock. Ci abbiamo fatto suonare tutti, dalle band nazionali e molte band umbre. Ogni serata aveva il suo specifico format e tra queste c'era proprio Umbria che spacca. Lo scopo era quello di premiare e mettere la musica suonata al primo posto, soprattutto quella locale. Le serate erano molto seguite, perché evidentemente la gente aveva voglia di conoscere le band della propria regione, magari scoprendo che a due passi di distanza c'è una band incredibile che non aveva mai sentito. Quello che abbiamo fatto è stato intercettare questa voglia di scoprire la propria regione. A un certo punto ci siamo guardati e ci siamo chiesti: "Perché non parliamo con tutti e non diamo un palco con una voce più ampia a questo slancio?". Da lì è nata l'idea di fare l'Umbria che spacca Festival. La serata che gestivamo dentro al Mercoledì Rock doveva espandersi e finire in una delle piazze più belle di Perugia che è Piazza San Francesco. Siamo partiti dal bassissimo, eravamo e siamo ancora circa una ventina di ragazzi, e abbiamo iniziato cinque anni fa con una serata one shot, un solo giorno. Dalle 18 a mezzanotte si alternavano dieci band e in una sola giornata sono arrivate una roba tipo 5000 persone, solo per le band umbre. Da qui ci siamo detti che qualcosa si stava muovendo davvero, esiste e c'è dell'interesse, proviamo a espanderlo. Di anno in anno abbiamo quindi cercato di ampliarci, abbiamo contattato il Comune per un contributo, parlato con sponsor privati e tentato in ogni modo di finanziare il Festival. Una cosa a cui teniamo molto è infatti il mantenimento dell'ingresso gratuito, che è sempre più difficile.
(Una foto dell'edizione 2016)
Mi hai proprio bruciato la domanda successiva. Quanto è difficile finanziare l'Umbria che spacca senza far pagare il pubblico?
Difficilissimo, ma vogliamo dare la possibilità di vedere delle band anche alla gente che magari è distratta o che magari viene lì semplicemente per l'evento. Mettere davanti anche a questa gente della qualità può fare la differenza, perché siamo convinti che se qualcosa è di qualità ed è bello vieni comunque toccato. Magari non ne sapevi niente, ma se qualcosa ti muove e lo senti sentimentalmente allora ti colpisce. La gratuità serve proprio a spronare all'ascolto, senza snobbare niente di quello che hai intorno. Gran parte del merito, comunque, deriva dal fatto che siamo tutti volontari. Nessuno di noi ha mai preso una lira per questa roba qua e la maggior parte delle mansioni cerchiamo di svolgerle da soli. Non abbiamo i soldi per la sicurezza notturna? Dormiamo sul prato di San Francesco fino alle 7 del mattino. Cerchiamo quindi di avere un controllo quasi folle sui costi, dove possiamo risparmiare risparmiamo. Gli allestimenti li facciamo noi, andiamo a prendere delle tavole di legno e passiamo una settimana a creare un tavolo. Sotto questo punto di vista cerchiamo di evidenziare proprio l'essenziale, che sono in pratica autorizzazioni e cachet artistici. Per tutto ciò che non richiede un finanziamento specifico ci rimbocchiamo le maniche e lo portiamo avanti.
Qui rasentiamo l'artigianato.
Sì, è una cosa fondamentale. Ci vorrebbe un attimo a trasformarlo in un evento a pagamento, magari con tre euro a testa, ma è una questione di principio. Spesso la gente non riesce a dare un valore reale a quello che vede, quindi abbiamo paura che l'indeciso non ci venga e invece proprio lui vogliamo colpire. Puntiamo a quelle persone che non riescono a capire che nel giardino dietro casa ci può essere dell'arte, qualcosa che emozionalmente ti può smuovere. Non è necessario l'artista lontano, con quest'idea sbagliata che l'arte dev'esser fatta sempre da qualcuno così diverso da te. Stiamo ragionando anche sulla possibilità di andare su una roba con il biglietto, ma finché ce la facciamo vogliamo provare a tenerlo gratuito.
(Il pubblico dell'edizione 2016)
Abbiamo già iniziato a sottolineare quanto sia importante l'impronta regionale nell'Umbria che spacca, ma come convive questa anima umbra con la successiva introduzione di artisti dal respiro decisamente più nazionale?
L'idea è sempre stata, in realtà, quella di fare un festival che non solo premiasse delle eccellenze musicali umbre, ma che facesse anche confrontare queste band con un contesto professionale di concerti. Molto spesso si pensa che dietro a un concerto di band locali ci sia una sagra, ma qui non è assolutamente gestito così. L'idea è quella di introdurre in questo mondo anche musicisti che non si trovano spesso in situazioni professionali, con load in a una certa ora, un preciso tempo di line check, scaletta concordata, uno stage manager. Una produzione dove in sostanza hai un tuo spazio e un ruolo che professionalmente ti arricchisce. L'espansione verso band più ampie ci ha quindi permesso di mettere a fine giornata degli headliner che vivono di musica, che fanno queste cose costantemente, in modo che tu possa rubare con gli occhi. Puoi vedere per una band grossa come funziona la gestione del palco ed è estremamente pedagogico. L'ottica del festival non si limita quindi alla tecnica e al palco, ma ti mette in contatto con chi porta la musica in tutta Italia e con la vastissima gamma di competenze che ci sta dietro.
La diversificazione sembra quindi un elemento cardine. Marcia in questa direzione anche la scelta di inserire nel Festival workshop ed eventi collaterali?
Questa è una prova che stiamo facendo dall'anno scorso. Essendo tutta gente appassionata di musica, che va ai concerti, ci siamo resi conto che una parte interessante del festival è che te lo strutturi come vuoi. Parlo del cosiddetto campus musicale all'europea, dove non c'è soltanto il concerto, ma anche una serie di attività di cui puoi usufruire e che ti arricchiscono come utente. Puoi scegliere cosa fare, se anche non ti va di sentire una band può esserci una tematica musicale che ti attira. In quest'ottica abbiamo cominciato a inserire dei workshop a tema musica. L'anno scorso per esempio abbiamo collaborato con una serie di liutai, professione che ha radici molto tradizionali in Umbria, e abbiamo impostato dei piccoli corsi su come gestirsi la propria chitarra. Quindi se sei un chitarrista e sei all'Umbria che spacca puoi ritagliarti un'ora per imparare anche semplicemente a rifarti le ottave. Il concetto è stimolante, perché da una visione più ampia di quella che è la musica, che non è soltanto salgo sul palco e suono, è come salgo sul palco, dove suono e soprattutto come suono.
L'anno scorso abbiamo coinvolto anche delle etichette indipendenti, che magari ti permettono di scoprire la differenza tra una produzione mainstream e una indipendente, o meglio ancora in cosa consiste un'etichetta indipendente. Capire che l'etichetta indipendente puoi essere te crea uno slancio fortissimo e ti apre la prospettiva del "posso fare musica in tanti modi". Non è necessario essere un musicista, ma posso essere uno che ama la musica a tal punto da aprire un'etichetta discografica e investire sui miei musicisti preferiti vicino casa. Cito un personaggio irrinunciabile per l'ambiente Umbria che spacca che è Luca Benni di To Lose La Track. Per il tessuto umbro è un po' un punto di riferimento ed è l'esempio perfetto dell'appassionato di musica che sceglie di investirci e aprire un'etichetta. Ancora oggi produce, aiuta e diffonde musicisti e io per primo avrei saputo molto meno della musica se non l'avessi conosciuto. (Luca Benni ha raccontato a Rockit come funziona un'etichetta indipendente, qui trovate l'intervista, ndr)
Parlando di esempi, qual è il festival internazionale che più vi ha ispirato nell'organizzazione dell'Umbria che spacca?
Se dovessi fare il volo pindarico, il festival a cui in assoluto vorremmo avvicinarci è il Primavera, perché nella sua composizione è incredibile. A parte la lineup, ma anche proprio il concetto. Comunque ce ne sarebbero tantissimi, perché non si tratta di puntare a essere simili a qualcosa e il punto importante è dare la possibilità di scegliere. Un festival non è televisione, dove arrivi e ti becchi per forza quello che ti devo dire, perché la programmazione sei te e te scegli. Questo è importante e ho paura che nel tempo si perda questa componente, andando a creare solo un flusso continuo di informazioni, quella che capita capita. Scegliere la propria musica crea anche un senso di appartenenza, che è ciò che ti guida anche nel percorso da musicista alla fine.
La vostra lineup come viene scelta? Quali sono i vostri parametri?
Per la lineup in principio c'è questo: abbiamo una quantità limitata di fondi, quindi inizia tutto in termini meramente economici. Una volta individuato il budget andiamo indietro a trovare band che possano venirci incontro. Ovviamente lo slancio iniziale deriva dalla nostra passione, quindi spesso andiamo a sceglierci delle band italiane che ci piacciono. Tutte le decisioni vengono comunque tendenzialmente prese in maniera collegiale. Tutti propongono qualcosa e finisce nel calderone, perché l'intento è quello di non fare il festival di una persona, ma fare il festival dell'Umbria. Dove tutti i vari pubblici possono partecipare. Quest'anno è palese e infatti per la prima volta inseriremo una serata completamente hip-hop. Prima dell'headliner avremo aperture di collettivi hip-hop che vengono da tutta l'Umbria, avremo un contest che si chiama 60 Sec, principalmente di spit, dove 10 mc umbri si insulteranno in rima. Sarà tutto insomma dedicato all'hip-hop culture, dal beat making alla beatbox, un sottobosco culturale enorme anche in Umbria.
Sogno nel cassetto: quale band vorreste portare a Perugia se aveste un budget illimitato?
A budget illimitato? Una band che volevamo portare anche quest'anno erano gli Slowdive, ma non avevamo abbastanza soldi. Comunque ci sarebbero tantissimi esempi, anche nel medio budget. Penso agli Swans e infatti molte delle band che ogni anno non possiamo permetterci sono fuori dall'Italia.
(San Francesco al Prato durante L'Umbria che spacca)
Il festival si vive meglio da musicista o da organizzatore?
Da musicista sicuro. Fa schifo organizzare eventi! Nel senso che è uno stress dalla mattina alla sera. È un lavoro complessissimo che ci capita di organizzare una volta l'anno a questi livelli e arriviamo alla fine del festival che siamo devastati. Anche solo per la burocrazia, che è opprimente e per le responsabilità che cadono tutte sulla tua testa. Devi gestire un'ansia che da musicista non hai mai.
Raccontaci l'aneddoto più divertente della carriera dell'Umbria che spacca.
Due anni fa c'eravamo dimenticati di mandare l'ordinanza per spegnere gli schizzettini (irrigatori ndr). Noi ovviamente stavamo dormendo sul prato alle cinque del mattino, quando si sono attivati ventisettemila schizzettini. Subito tutti a scappare, uno che si lancia su uno di questi per proteggere il palco, tutti completamente molli in piena notte. Un momento incredibile.
E un momento di panico?
2016, un momento prima che iniziasse l'headliner il gruppo elettrogeno ha iniziato a sfarfallare. Abbiamo risolto alle undici e mezzo chiamando un amico che ha una specie di mini-tir con sopra un gruppo elettrogeno alternativo e l'abbiamo cambiato al volo. Lì per lì abbiamo smaltito malissimo, anche se abbiamo iniziato il live perfettamente in tempo.
Per concludere, vorremmo chiederti quali sono secondo te gli elementi indispensabili per organizzare un festival di successo.
Primo su tutti una squadra gestionale forte, avere intorno a te delle persone che siano estremamente professionali. Parlo del direttore di produzione, qualcuno che sappia veramente di cosa si stia parlando, un comparto grafico serio, un comparto video serio, social media manager che spingono, in pratica gente che sa che questo è un lavoro. Molto spesso succede che, in festival organizzati da associazioni culturali, si faccia tutto un po' all'acqua di rose e invece dietro a un festival c'è un lavoro incredibile, un vero lavoro.
Subito dopo c'è il tempo. C'è bisogno di molto tempo e di progettazione. Bisogna avere un'idea chiara di quello che si vuole andare a fare, mesi e mesi prima. L'Umbria che spacca è un festival su cui iniziamo a lavorare da novembre, perché dietro c'è da compilare i bandi che scadono entro dicembre, c'è da parlare con gli sponsor e sviluppare per loro un piano di marketing. Tutto questo porta via tempo, quindi la pianificazione è fondamentale.
Poi mi verrebbe da dire che ci vuole gusto, ma questo è anche opinabile. Il gusto è qualcosa di estremamente personale, ma io penso che se fai un festival che ti piace lavori meglio. Se anche uno spettatore non condivide le tue scelte magari capirà comunque che a te piace e rispetterà ciò che hai fatto. Forse ti vorrà anche bene per questo. Molte persone vengono anche soltanto perché è organizzato da noi, che siamo un gruppo di ragazzi presi bene. La motivazione e la passione sono immancabili, così come il coinvolgimento emotivo.
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L'articolo Come si organizza un festival che spacca: ce lo spiega Aimone dei FASK di Eva Cabras è apparso su Rockit.it il 2017-06-19 11:23:00
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