Esistono molte persone, come il sottoscritto e Massimo Martellotta, che il calcio se lo guardano volentieri ogni 4 anni, se l’Italia ha la decenza di qualificarsi ai Mondiali. "Riunirsi tutti davanti alla TV per guardare gli azzurri è un rito familiare", mi racconta al telefono il polistrumentista romano che, dopo Scacco al maestro, un disco insieme ai suoi Calibro 35 dedicato a Morricone, ha firmato la colonna sonora di Italia 1982 - Una Storia Azzurra.
Diretto da Coralla Ciccolini, Italia 1982 - Una Storia Azzurra è il documentario che proprio in questi giorni (11, 12 e 13 luglio al cinema) ripercorre a 40 anni esatti di distanza le gesta leggendarie di Zoff, Rossi, Bergomi e banda in quella calda estate spagnola: dalla temutissima partita degli azzurri contro l’Argentina di Maradona al famosissimo urlo in lacrime di Tardelli dopo la finale contro la Germania Ovest. Tanti synth, tanti anni Ottanta, in una soundtrack che non poteva capitare in mani migliori.
E tu che facevi in quel luglio 1982?
Nel luglio ‘82 avevo 4 anni, per cui o stavo mangiando oppure stavo facendo un pisolino. Probabilmente non mi avrà svegliato manco il boato di quando abbiamo vinto. Poi, non so tu, ma io i primi ricordi che ho del Mondiale sono legati al Topolino. C’era un episodio in cui c’erano Bearzot, Pertini, tutto il gruppo diventato fumetto. Quando poi ho rivisto Bearzot nel documentario, con tutte quelle storie, ho avuto davvero un flashback. Mettici pure che negli anni Ottanta ci sono cresciuto, nell’88 avevo 10 anni, ma questo mondiale ‘82 è così epico che sembra abbia una sceneggiatura scritta. Questi ragazzi contro tutto e tutti, questo allenatore che punta tutto su quello su cui non punta proprio nessuno, i primi scandali della stampa a cui rispondono a muso duro. In un’epoca in cui i giornalisti erano davvero amici, erano tempi romantici. Sembra un film.
Tu non sei un appassionato di calcio, vero?
Non proprio, non lo seguo molto. Però i mondiali sono un’altra cosa, dai. È l’unico momento in cui mi vedo una partita molto volentieri perché è proprio un rituale familiare. Quindi, questa storia io la tratteggiavo da lontano, conoscevo gli eroi: sapevo di Bearzot contro tutti e tutto, Pertini che nel famoso aereo di ritorno giocando a carte s’incazza come una bestia. Ma la storia in sé, le aspettative dei giocatori e come l’hanno vissuta, mi ha colpito con una certa freschezza. Come se per la prima volta ti raccontassero una storia meravigliosa, intensa. Il taglio del documentario è molto emozionale. Quando mi ha contattato Bob Corsi, che è un music supervisor e DJ davvero molto bravo nel suo lavoro, mi ha proposto una cosa molto nelle mie corde. E quando ci siamo poi incontrati col regista, ci siamo trovati subito.
Si percepisce comunque il pathos nella colonna sonora. Come ci hai lavorato?
In ogni caso è un documentario, ha un suo lato tecnico: la musica deve dare colore ma non può prendere troppa attenzione. Poi però ci sono anche le sberle. Quando loro incontrano Maradona, quello è un titano e la musica non può essere da meno. Ci sono delle immagini pazzesche, la produzione ha fatto un lavoro di ricerca assurdo. C’è Maradona al rallentatore, in pellicola da 35 mm, da angolazioni che non avevo mai visto prima d’ora. Per Italia-Argentina ho usato un brano che si chiama Ritmo, che sulla fine ha questi tamburi che devono incutere timore, come quello che avranno provato i giocatori entrando in campo tra il boato della folla e del tifo. Però la nostra nazionale era un gruppo estremamente carico, unitissimo, che a una certa si è chiuso al suo interno contro tutto e tutti, ma che appunto ha creato una coesione di ferro determinante. Queste partite le percepivano come scontri tra titani, come delle gigantesche sberle in faccia.
Ci sono alcune partite talmente leggendarie che portano nomi davvero pesanti. Come Italia-Brasile, La Tragedia del Sarriá. Sembrano delle battaglie.
Sì, quello della battaglia è un rimando inevitabile. Pensa che il primo pezzo, quello che inizia nel prologo, è l’unico che ha una nota jazz. Questo perché Bearzot aveva la passione del jazz, era una persona colta, e ha sempre paragonato i ruoli dei giocatori a quelli dei musicisti nelle session. Al regista questa cosa era piaciuta, però non volevo fare un completo commento jazz. Quindi ho cercato un connubio tra questo mondo epico, che ha degli echi anni Ottanta, e i vari caratteri dei personaggi. Poi, vabbè, questi echi sono più spudorati, come nel pezzo Luglio 1982.
Sì, quello è palesemente moroderiano.
Esatto. Serviva anche una roba di commento, ma ce l’ho messa perché queste cose mi divertono. Quindi, vabbè, nel primo pezzo hai questi colori jazz tuffati nel racconto emotivo che poi ricorre in tutta la colonna.
Tra i Calibro 35 e tutta la strumentazione vintage che hai, non avrai neanche dovuto studiare molto per calarti nei primi anni Ottanta.
No, infatti. Il regista è arrivato al Martellotta che suona i vecchi synth su Instagram. C’è stata subito chimica, anche grazie al ponte fatto da Bob Corsi. La chimica è fondamentale, anche perché tu entri in un progetto he è già in lavorazione da anni. Devi entrare in punta di piedi e sperare che ci sia un’intesa, un feeling immediato. Se non la trovi il risultato non è assicurato. Per fortuna non è stato un nostro problema, anzi.
Come si compone per immagini? Ti arrivavano script con le descrizioni delle scene su cui tu poi inventavi un tema?
Se c’è una cosa che ho imparato, anche firmando la serie TV Blanca insieme ai Calibro, più altre cose che usciranno quest’anno, è che ogni progetto è sempre molto diverso dall’altro. In questo caso, Coralla Ciccolini alla regia e Beppe Tufarulo alla direzione artistica mi mandavano idee molto chiare di narrazione, con esempi di foto. E la prima idea sonora che ho mandato è proprio il primo minuto e mezzo che senti nel film. Da lì è nata una situazione ideale, perché ho scritto tantissimo materiale su diversi registri: quello emozionale che è quello dei titoli, poi quello di Bass Mood, più utile per le sequenze di tensione delle interviste con la stampa, poi c’erano dei movimenti per ogni partita. Italia-Argentina è quasi una lotta affascinante, quasi sexy, con al centro un ritmo molto seduttivo.
Da lì come si sviluppava il lavoro?
Io proponevo questi macro-temi per macro-aree e piano piano aggiustavamo il tiro. Tipo: “OK, bello il registro emotivo ma adesso ci servono le sberle, i pezzi potenti”. Prendi Heroes or Nothing, o anche il pezzo della finale, che è quasi un trailer. Ha questo ritmo che accelera come i tamburoni della folla. C’è poi Il Circolo dei Giusti, sempre sulla sfera emotiva, che è un brano che abbiamo usato spesso nelle sequenze con Bearzot. Lui era quella via di mezzo tra l’eleganza, la responsabilità dell’allenatore, il dubbio sulle scelte ma anche una grande benevolenza. Lo hanno baciato tutti in diretta, è famosissimo il bacio di Zoff.
Per la sequenza della finale c’era molta aspettativa, immagino. Come hai fatto a rendere quell'emozione?
Be', sicuramente. C’è quell’urlo famosissimo di Tardelli, che abbiamo visto in mille salse, che qui però è declinato in maniera inedita. L’unica parte della colonna sonora dove non c’è un breve pezzo non originale è proprio qui, dove c’è un mio pezzo che è preso da un mio disco intitolato One Man Orchestra. L’ha scelto il regista per via delle parti orchestrali: voleva dare un sapore kubrickiano quando nel secondo tempo gli azzurri iniziano a stravincere. Perché con la Germania c’è stata tensione all’inizio ma poi il tempo è volato. Non li ha fermati più nessuno.
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L'articolo L'urlo di Tardelli ora ha la sua musica di ClaudioBiazzetti è apparso su Rockit.it il 2022-07-12 14:03:00
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