La pandemia è un coltello affilato che sta facendo a fette la nostra società. Questo taglio netto fra prima e dopo riguarda anche le carriere degli artisti. Così è accaduto a Venerus (il suo vero cognome, il suo “cognome d'arte”). Neanche paio di anni fa Andrea era solo un giovane musicista in cerca d'autore. Da Londra si trasferisce a Roma, infine torna nella sua città natale, Milano. Inizia a farsi notare con una serie di brani interessanti, in bilico fra soul, jazz, elettronica e pop.
Collabora con Franco126, Gemitaiz e Ghali; condivide lo studio con il produttore Mace. Debutta live con la sua orchestra al MI AMI 2019, prima di Mahmood, e chiude il tour con il sold out ai Magazzini Generali. C'è hype, potremmo dire. Il nuovo disco sarebbe dovuto uscire a maggio, e invece... niente, rinviato, c'è il Coronavirus. Ma Venerus non sa e non può stare fermo. Out of the blue arriva una canzone che non doveva esserci, dedicata ad un amico, fuori il 23 aprile. Lo raggiungo al telefono per parlarne.
Dove sei?
Nel mio cortiletto, in mezzo al cemento e ad alcune piccole palme. Palazzi brutti, verde spento. Questo è diventato il mio eden. La mattina faccio esercizi: metto il tappetino fuori, tipo in carcere, faccio flessioni, addominali e yoga. Il weekend diventa una sorta di parco, mettiamo il tela per terra e ci beviamo un Prosecco. Basta che chiudi gli occhi e potresti essere ovunque.
In questo periodo anche bere ha un altro sapore.
Io sono sempre positivo. Ho sviluppato negli anni questo modo di fare... hai presente in Alice nel Paese delle Meraviglie, il cappellaio matto che festeggia il non compleanno? Ho cambiato mentalità quando abitavo a Londra e mi hanno rubato il computer in casa. Invece di piangerci addosso, con il mio coinquilino abbiamo deciso di andare a festeggiare al ristorante.
Sei proprio un fottuto hippie.
(ride) In quegli anni ho sviluppato questa filosofia. Io e quel mio coinquilino che ora fa il produttore e vive a Los Angeles (Filippo Cimatti, con cui ha prodotto e composto il suo primo brano in italiano Non ti conosco, ndr) abbiamo fatto un patto: vogliamo entrambi raggiungere grandi traguardi e dunque dobbiamo avere la mentalità che ci può permettere di farlo.
Partiamo dal mondo di prima. Cosa stavi combinando prima che scoppiasse la pandemia? Quali erano i tuoi piani?
Stavo lavorando da un anno a questa parte al mio disco. Stavo scrivendo tanto. Ero pronto a suonare in giro, volevo fare un bel tour a partire dall'estate. Ovviamente tutta la parte dei concerti è saltata. Stavo scrivendo molta musica per suonarla dal vivo, è tutto rinviato a data da destinarsi.
Hai presente quella famosa citazione di John Lennon che dice: “la vita è ciò che ti succede mentre stai facendo altri progetti”? Eri lì che stavi preparando il tuo futuro radioso, e ti sei trovato solo nello studio a dedicare una canzone intima ad un tuo amico.
Assolutamente. Quella frase di Lennon è perfetta. Interpreto le cose che succedono nella mia con un approccio profetico a ritroso. Le leggo al contrario e mi accorgo di quanto fosse necessario che accadessero. Mi è capitato più volte di dirmi d'esser pronto, ma poi succedevano cose che me impedissero di partire. Anche questa volta è successo: sono carico, faccio un tour della madonna, raccolgo i frutti del lavoro, ma la vita mi dice il contrario. Questa cosa di scrivere una canzone per un mio amico non l'avrei fatta se non fossi stato riportato con i piedi per terra. Ok i tour grandiosi, ma hai sempre bisogno delle persone che sono sempre state con te.
Raccontaci meglio com'è nata Canzone per un amico.
Nasce con Mace, il produttore con cui sto lavorando contemporaneamente al mio disco e anche al suo. Inizialmente voleva fare per sé un brano un po' soul. Fra noi funziona così: io suono e lui monta, produce. Abbiamo abbozzato questo brano nato per lui e salvato il progetto con un titolo tipo “brother we're gonna make it”. La mattina dopo sono arrivato in studio e ho riascoltato quel che avevamo fatto. Quel loop insieme alla parola “brother”, fratello, mi ha subito messo una pulce nell'orecchio e spinto a scriverci sopra. Le cose scritte nella canzone sono molto semplici e un po' gliele avevo già dette, come sussurrargli un segreto.
Chi suona il sax nella canzone?
Vittorio Gervasi, che suona nella mia band. Ha ventidue anni, viene da Roma. Stavo facendo la colonna sonora del film di un mio amico, e mi hanno suggerito lui. Mi faceva piacere coinvolgere una persona giovane. All'inizio la band era composta soltanto da me e lui. Me lo son portato dietro fino ad adesso.
Canzone per un amico fa parte di quelle canzoni in cui il destinatario pur essendo così preciso e diretto potrebbe essere chiunque.
Certamente. Questa è la magia della trasfigurazione, della narrazione, che ti coinvolge emotivamente. Ho voluto chiamarla “Canzone per UN amico” e non “IL mio amico” per permettere a chiunque di immedesimarsi.
Si apre con te che canti “Forse è normale sentirsi soli in un momento così”.
Viene da una nostra telefonata. Stava a casa a guardare il soffitto e non riusciva nemmeno a disegnare.
C'è una frase di questa canzone che è molto significativa per me: “Quando ti ho incontrato, guardavo i tuoi modi, volevo anche io esser così”. Racconta bene di cosa possa essere l'amicizia fra maschi adolescenti. Mimesi, ispirazione, tensione emotiva aspirazionale.
Quella frase caratterizza molto la persona per cui l'ho scritta. Quando l'ho conosciuto ero affascinato da lui, che è più grande di me: “che modo strano che ha di fare”, ho pensato. La cosa interessante è che a un certo punto forse si sono invertiti i ruoli, perché forse sono un pelo più avanti a livello di percorso personale. Come se ora fosse lui il mio fratellino. Volevo riallineare la nostra 'gerarchia' iniziale, ricordargli che è stato la mia ispirazione.
E poi c'è questo passaggio “Sto spiccando il volo / voglio tu sia con me”. Il momento in cui si prendono direzioni diverse, in cui bisogna affermare se stessi, ed è inevitabile uno strappo.
Noi eravamo sempre insieme. Ultimamente, essendo concentrato sulle mie cose, mi sembrava si fosse allentata la nostra amicizia. Il messaggio è: "sto facendo cose importanti per me e voglio che ci sia anche tu".
Che cosa vuol dire amicizia per te?
Sono una persona che vive molto intensamente pochi rapporti. Per quanto sia un animale sociale – mi piace stare con le persone, in mezzo alla gente – capita di avere massimo due o tre persone che prendono un po' tutto di me. Un paio di anni fa mi chiedevo quando avrei incontrato qualcuno di nuovo che potesse fare così tanto parte della mia vita. Sono solitario, ma devo condividere tutto.
Tu sei sempre stato un po' fluido, in te convivono più elementi. Questa pandemia ha messo in secondo piano il discorso che la nostra società stava facendo su questi temi.
Non andando al bar la mattina, dove leggo il giornale e ascolto gli anziani parlare, stando solo a casa, in questo momento non c'è nient'altro se non la pandemia. Le storie individuali sono scomparse, così anche questo discorso.
Spiegati meglio.
Dal mio punto di vista non l'ho mai vista come una battaglia etica-sociale, ma di libertà individuale. Non mi sono mai esposto politicamente su questioni come sessualità e look, ma cerco di professare la libertà estrema. Deve essere una battaglia individuale in cui ognuno possa essere qualsiasi cosa in qualsiasi modo voglia. Ognuno deve essere libero di essere ciò che vuole. Se un giorno mi sveglio e voglio vestirmi da donna, lo faccio (ride).
Nell'intervista a Nessuno da solo mi hai detto che la quarantena ti ha fatto riscoprire il rapporto con i genitori.
Ho un buon rapporto con loro, ma mi ci ha fatto pensare molto. Mio padre ha più di settant'anni, e non volevo minimamente pensare di essere una causa di contagio. Sarà toccante quando la gente potrà rivedere le persone che ha lasciato.
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L'articolo Venerus: "Professo la condivisione e la libertà estrema" di Carlo Pastore è apparso su Rockit.it il 2020-04-21 15:03:00
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