In un piovoso pomeriggio d'inverno abbiamo incontrato Verano, che ha da poco concluso le registrazioni del nuovo album che ci farà ascoltare in anteprima assoluta al MI AMI Ora, il 16 febbraio in Santeria Social Club a Milano (qui trovate le prevendite). Ne abbiamo approfittato per farci svelare qualche dettaglio in anticipo.
So che non vuoi raccontarci molto del nuovo album, così proverò a girarci intorno. Quanto tempo ci hai messo a scrivere i pezzi e cos'è successo tra la pubblicazione dell'ep e oggi?
Ci ho messo tanto, o meglio, l’ho vissuto come un periodo molto molto lungo e, devo dire, a tratti anche molto provante. Ci sto lavorando più o meno da agosto di due anni fa, con una modalità assolutamente discontinua. L'ep era uscito a maggio del 2016, ma già alla fine dell'estate ho iniziato a pensare al disco. Ho fatto una scelta, come dire, di campo, nel senso che il tour del primo ep è andato molto bene, abbiamo fatto più di 50 date molto belle ma a dicembre ho deciso di fermarmi, anche se il live è la dimensione che più mi piace. Sentivo di dovermi misurare sul long play, anche per una questione di rispetto verso chi viene a sentirmi. Avere un ep di 5 brani e proporre uno spettacolo che per definizione è abbastanza contenuto non mi sembrava abbastanza, e aveva già fatto il suo tempo.
Ho cominciato a lavorare al disco vero e proprio ad aprile dell’anno scorso, quindi il vero cuore a livello di rifiniture dei pezzi e di preproduzione si concentra nell'ultimo anno.
Visto che ci è voluto del tempo, avrai cambiato spesso idea. Hai scartato molti brani?
In una fase iniziale praticamente tutti, avevo iniziato a lavorare con un'altra persona, poi da quando ho cominciato a lavorare con Lorenzo (Colapesce, ndr) non penso di avere scartato niente. Probabilmente non andrà tutto nel disco, però sono brani che in qualche modo voglio far uscire, non li considero scarti.
Secondo quale principio non finiranno nel disco? C'è un tema che lega le canzoni?
Il tema non voglio svelarlo ma c'è, si ritrova in tutti i brani tranne in uno, il soggetto del disco è sempre lo stesso. In realtà i brani che non ho tenuto sono perfettamente a tema, si tratta più di una questione di produzione. Ci siamo resi conto che non erano nel contesto adatto per questo disco.
Nel precedente ep la produzione era stata affidata a Paletti che in un brano cantava anche. In questo disco avrai ospiti?
No, non ci saranno, avrei voluto tantissimo che ci fosse una persona che stimo veramente tanto ma non siamo riusciti per questioni di tempo. Qualche giorno fa gli ho fatto ascoltare il brano e mi ha detto una cosa bellissima: “Ho sentito il brano e non avrei saputo fare di meglio, vedrai che insomma è giusto così” (ride). Lorenzo suona e fa qualche coro però.
Qual è stato l'apporto di Colapesce all'album come produttore?
Con Lorenzo abbiamo lavorato tendenzialmente in due modalità: da una parte c’è stato un momento di co-scrittura, ma non su tutti i brani. Ci sono dei brani che sono nati da me e lui ha prodotto, e ci sono dei brani che invece sono nati da questo scambio continuo di email in cui ognuno aggiungeva un pezzo. Per me è stato molto bello e stimolante e anche molto formativo. Sento di essere cresciuta tanto a livello di scrittura, sono molto felice di quello che ho scritto e Lorenzo in questo ha avuto un ruolo fondamentale. Penso che sia una degli autori più bravi e profondi degli ultimi anni, e mi ha trasmesso anche un modo di affrontare la scrittura e i beat delle melodie. È stato molto generoso nei miei confronti. È poi subentrato in fase di produzione e pre-produzione assieme a Giacomo Fiorenza di 42 records, che ha contribuito anche lui in modo fondante e ha suonato tanto nel disco.
In studio avete fatto tutto tu, Lorenzo e Giacomo?
Quasi tutto, c’è stato l’intervento di Mattia Boscolo, il batterista di Cosmo, e poi ho avuto il grande onore di avere Lorenzo Corti, un chitarrista che ha suonato con la Donà e tanti altri. È un chitarrista che io adoro, l’ho invitato ed è venuto e mi ha fatto un grande regalo.
Per quanto riguarda poi quello che ci farai ascoltare in anteprima al MI AMI Ora il 16 febbraio, come sarà la formazione live?
Ci sarà la band che mi ha accompagnato finora, quindi batteria, basso, synth e io chitarra e voce. Devo dire che stiamo provando molto, perché è molto strano passare dallo studio in cui ero con altre due persone che non sono le stesse che suoneranno con me dal vivo. Gli altri ragazzi della band chiaramente erano aggiornati sui progressi del disco, però è questo il vero momento in cui devo prendere il mio lavoro e farlo diventare collettivo.
Da 42 ci sei arrivata con le canzoni già a buon punto o c’era stato un contatto prima?
C’era stato un contatto prima, tant’è che il disco è stato interamente registrato all’Alphadeath, lo studio di 42. È uno studio molto molto bello e quando abbiamo iniziato a parlare del disco ero nella fase in cui stavo buttando via tutto, quindi non c’era tantissimo, ma era molto forte la volontà di voler lavorare assieme, e quindi ci siamo un po’ buttati. Devo dire che li ho fatti un po’ impazzire (ride) però penso ne sia valsa la pena.
Ti sei accorta che ad esclusione degli WOW che sono una band con una cantante, sei la prima donna che pubblica un disco per 42 records?
Me ne sono accorta e sono contenta, anche se non mi piace mai stressare questo aspetto. Forse dovremmo in primis noi cambiare il paradigma per non doversi sentire ogni volta “come sei figa con la chitarra elettrica”. Sto esagerando chiaramente, però mi fa molto piacere, e penso che sia un bel traguardo in generale uscire per un’etichetta che stimo da sempre. Con Giacomo Fiorenza c’è un rapporto decennale, è una persona che davvero stimo tanto. Penso che 42 abbia contribuito a creare il solco di un certo tipo di musica e di un certo modo di fare musica.
Ti sei fatta un'idea, hai raccolto qualche aspettativa sul tuo disco? Proprio perché esci con un'etichetta da cui tutti si aspettano grandi cose.
È sempre molto difficile essere sereni perché è chiaro che il dubbio ce l'hai sempre. Penso che ci si aspetti una continuità con l’ep, quindi quella parte un po’ più elettronica mixata con elementi pop. Ma, sorpresa! non sarà così, sarà un disco abbastanza diverso dall’ep, sarà molto più suonato. Ho voluto togliermi anche tutta una serie di filtri che mi ero creata e ho voluto fare le cose per come le sentivo e per come in quel momento sentivo di volerle fare, e devo dire che in questo Lorenzo mi ha molto aiutata. Da un certo punto di vista non lo so come verrà preso, però penso e spero che vincano le canzoni e quello che ho provato a dire.
Io ho avuto l'opportunità di ascoltare in anteprima il tuo singolo e ho apprezzato molto il suono di basso e la presenza delle chitarre, queste grandi assenti (almeno a sentire l'internet) della musica italiana contemporanea.
Nel 2017 si diceva: ah questo è l’anno delle chitarre! Ma poi... comunque io sono proprio una chitarrista, ho iniziato a suonare da quando avevo otto anni, ho passato tutta la mia infanzia a guardare filmati di Hendrix e cose varie, nell’Officina della Camomilla arrangiavo e suonavo proprio la chitarra. A dire il vero faccio anche fatica a riconoscermi come cantante, fermo restando che mi piace tantissimo scrivere. Ho fatto in modo anche di poter suonare un pochino di più rispetto agli accordi senza farmi distrarre dal cantato, e sono molta contenta, mi mancava quella dimensione.
Qualche mese fa sul New York Times è uscito un articolo bellissimo che titola: "Women are making the best rock music today" e contiene una carrellata di tanti gruppi femminili americani veramente fichissimi. Guardando in piccolo all'Italia mi sento di fare questa considerazione: quello che adesso chiamano Itpop ha una rappresentanza per lo più maschile; la trap e il rap sono gli altri grandi generi dominati dagli uomini, mentre musiciste come Giorgieness, Alteria, Cara, Adele Nigro, stanno tornando a suonare il rock. Pensi che si possa iniziare fare un bilancio in questo senso in Italia?
Se ci sia un ritorno vero e proprio, o un arrivo, non lo so, ma le donne che suonano sono sicuramente molte. Non mi voglio inquadrare in un genere, se la mettiamo così hai ragione, però ti posso dire che esistono Sequoyah Tiger, o Giungla, o la stessa Adele che effettivamente sì, fanno parte di questo grande mondo, però mi auguro che ci siano donne anche nel rap e trap prima o poi.
Qualcuna c’è, ma per qualche meccanismo che mi è oscuro non riescono mai a raggiungere i numeri dei colleghi maschi. Prendi una Priestess, che comunque è uscita per Tanta Roba, non mi sembra che abbia fatto gli stessi numeri di qualsiasi suo collega maschio della stessa etichetta.
Sai forse, azzardo un'analisi, potrei sbagliarmi. Forse è anche una questione legata al modo di esprimersi. Se pensi alla trap, uno dei motivi per cui proprio non la amo è che ci sono sempre questo cliché molto spinti: il pusher, le canne, la rissa, i soldi. Forse per animo una donna tende ad affrontare altri temi che non sono necessariamente più aulici, perché abbiamo degli esempi scandalosi di musica femminile. Però ci sono dei generi che presuppongono dei topic che non si legano tanto all'universo femminile.
Prima hai nominato Cristina Donà. Ho letto alcune tue vecchie interviste in cui ti si chiedeva cosa ti piace, chi ascolti etc. Mi sono segnata tre nomi: Donà appunto; poi Ani Di Franco e Neil Young. Se ti chiedessi una cosa che hai imparato da loro?
Da Cristina Donà ho imparato la profondità della scrittura, penso che lei abbia una poetica pazzesca, riesce a creare dei mondi, delle figure davvero molto profonde. Ani Di Franco la ascoltavo quando ero molto piccola, e mi ha insegnato che c’era un modo del tutto nuovo di suonare la chitarr. Io ai tempi ero fanatica dei chitarrismo, cosa che sono ancora ma in modo un po’ più moderato, e può piacere o no ha cambiato un paradigma nel modo di suonare la chitarra. E Neil Young mi ha insegnato che ci sono sicuramente delle persone che hanno qualcosa di più del semplice saper scrivere una canzone. L’ho rivisto l’estate scorsa a Milano, e vedere questa persona con tutta una serie di fisse, di fobie, ma che suona due ore e mezza in quel modo... ho detto solo wow!
Nei Young è uno strenuo sostenitore della necessità di tornare ad un ascolto più calmo, più analogico e si è scagliato più volte contro i social. A proposito di tecnologia, tu nella "vita vera" lavori molto a contatto con i social, e in un'intervista con Tiziano Ferro qualche tempo fa lui mi diceva che secondo lui degli artisti come Freddie Mercury o Bob Dylan non avrebbero mai potuto sopportare il rapporto coi social.
Sicuramente i social in generale hanno aiutato e continuano ad aiutare tutta una serie di piccole o grandi realtà che possono essere nella musica, nell’arte e nel cinema e che hanno voglia di affermarsi. Lì trovano un canale che è sfruttabile da tutti a più livelli, e questo è un bene; dall'altro lato è veramente stressante per il tuo cervello vivere in questo micromondo dove la conversazione tende sempre a essere polarizzata. Questo ti crea uno stress molto forte e anche una sorta di compulsione a voler continuamente tornare e vedere solo quegli argomenti, e magari non capire che là fuori c’è un mondo più ampio. Ti faccio un esempio stupido, ma spesso mi capita di fare considerazioni con amici che mi scrivono e mi dicono: “Ma hai visto questo che… quanto se la mena… sta facendo i sold out ma fa schifo”. Alla fine non ci rendiamo conto che siamo noi che lo vediamo perché siamo in due microcontesti, ma forse c’è qualcosa di più ampio.
Secondo te distraggono l'ascoltatore dal concentrarsi solo sulla musica?
Forse è uno degli svantaggi, ma potrebbe anche essere un vantaggio, dipende da come lo vedi. Sui social la personalità tende a essere più ingombrante del talento o dell'arte, ma questo è palese, lo stiamo vedendo in tutte le salse, tutti i giorni dell settimana; dall’altro lato si potrebbe dire, con una visione più positiva, che finalmente un artista riesce a esprimersi a 360 gradi. Io non sono d’accordo, anzi, penso che come dici tu distolgano molto l’attenzione da quello che uno fa.
Anche perché mi chiedo se sia proprio necessario che un artista si esponga sempre così tanto. Il bello di essere artista è che puoi mostrare di te solo ciò che vuoi e costruirti un altro io, magari quello che vorresti davvero essere e trasmettere di te, non trovi?
Sì, è un piccolo grande fratello costante e io non sono, anche per carattere, di quelli che si fanno le Igstories mentre parlano, come fossero il Pippo Baudo dell’internet. Chiaramente massima democrazia e libertà nell'usare il mezzo però spesso c’è una deriva che alla fine crea solo noia.
Ho un'ultima curiosità, di solito non si chiede perché è una cosa privata, ma i tuoi tatuaggi sono troppo particolari per non chiederti cosa rappresentano.
In realtà io tendo a non voler dare dei significati ai tatuaggi, poi è chiaro che se uno lo fa e lo pensa in qualche modo ci deve una ratio. Ho un tortellino di cui sono molto orgogliosa. Me lo sono tatuato una sera, forse per restare un po’ legata alle mie radici. Ho un quadro di Fornasetti, o meglio, un suo piatto. Ho un David Bowie in bicicletta, disegnato da un artista colombiano. Insomma il braccio destro è dedicato ai personaggi, ti sembrerò pazza (ride). L'altro braccio è quello degli animali: un alce, perché mi piacciono un casino, un gatto, e infine una balena che metaforicamente mi entra nelle vene, volevo rappresentare l’idea di esplorarsi costantemente. L'ultimo tatuaggio che ho fatto è dedicato al nuovo disco, è una specie di carta dei tarocchi con la scritta "Le piante".
Si chiamerà così?
No, avrà un altro titolo, ma "Le piante" è una delle canzoni contenute nel disco. L'ho scritta insieme a Lorenzo e penso che abbia un testo meraviglioso davvero. Il suo contributo è stato fondamentale, è un brano magnetico, ce ne sono due tre nel disco che ho difficoltà a suonare senza mettermi a piangere, e questo è uno di quelli. Per me è un mantra.
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L'articolo Verano, la ragazza con la chitarra di Chiara Longo è apparso su Rockit.it il 2018-02-09 11:00:00
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