Ventenni che vivono in provincia di Udine e tifano Oasis manco fossero ultras inglesi. E potrebbe bastare per accantonare i Charlestones come uno tanti gruppi di ragazzini che vedono ancora l'NME come punto d'arrivo ma poi passa la sbornia e, raggiunta l'età adulta, non ricordano nemmeno come si guida un furgone. In realtà c'è di più: anche solo quella solarità nello scrivere canzoni leggere che sono fulmini a ciel sereno. Melodie che sembrano scritte in un istante qualsiasi sul divano. Ed è proprio così. Una bella scoperta. L'intervista di Letizia Bognanni.
Partiamo dalla copertina del cd, già un bel colpo per l'immaginario dei brit-addicted. A parte il look, la cosa che colpisce sono le facce, incredibilmente inglesi. Come vi siete trovati?
Mattia: Ci conosciamo dall'università, dalle aule studio insomma, e dalle serate a Trieste… Il terzo a sinistra (Gian Marco Crevatin, Ndr) è stato l'ultimo acquisto, da pochi mesi... Io (il secondo un po' inclinato avanti) e il resto della band suoniamo assieme da un due annetti più o meno… Il look è il look di ogni giorno, ci siamo incontrati probabilmente anche per questo... Sai quei giochi di sguardi che di solito si fanno con le ragazze?
Quanti anni avete?
Matteo: Io e Mattia ne abbiamo 23, Gian Marco 24 e Federico invece è il più giovane, 20 anni.
Ancora solo guardando la copertina, i nomi che vengono in mente sono (quante milionate di volte l'avrete sentito?) Kooks, Arctic Monkeys, Kaiser Chiefs etc... qualche gruppo che uno non si aspetta, fra le ispirazioni?
Federico: No, in definitiva tutto nasce da una passione. C'è chi ha la passione per il calcio, chi per qualsiasi altra cosa, noi per gli Oasis! I nomi sono quelli, ma c'è anche altro… Penso che sia più una questione di atmosfera che di ispirazione. Insomma, è un modo di vivere e fare le cose.
Qualche italiano? Ultimamente mi sembra che ce ne siano, di gruppi nostrani con un'attitudine internazionale, al volo mi vengono in mente i Sorry Ok Yes. È nato, sta nascendo, nascerà, l'it-pop?
Federico: Sinceramente non saprei fare nomi di artisti italiani che siano stati un riferimento per noi, anche se qualcosa che ci piace c'è. Coi Sorry Ok Yes ci abbiamo anche fatto una serata insieme, molto bravi, davvero. Mi vengono in mente anche gli Hacienda. Una scena It-pop? Non lo so, certo qualcosa si sta muovendo, e sarebbe anche ora...
Ma a parte l'indie-rock, c'è qualche gruppo italiano a cui siete particolarmente affezzionati?
Mattia: La musica italiana non la seguiamo molto, anzi, diciamo pure che le nostre conoscenze sono piuttosto scarse. Ti ripeto, abbiamo suonato con i Sorry Ok Yes, e anche gli Heike Has The Giggles. Diciamo così: al momento molti gruppi che potremmo per facilità definire "underground" sono decisamente più interessanti di quelli che escono dai programmi televisivi. Uno nome che va citato è quello dei Tre Allegri Ragazzi Morti, è il gruppo in cui avrei sempre voluto suonare.
Inghilterra, Italia… e Parigi, in tutto questo, come rientra in quello che fate?
Mattia: A Parigi ci sono nato, ho fatto un sacco di esperienze, sono entrato in contatto con un ambiente che qui non avrei potuto mai trovare. "Made in Paris" sarebbe potuto essere il titolo del disco. L'album è stato scritto tornando dalle vacanze. Giusto il tempo di far sedimentare un po' le sensazioni, poi scrivevo tutto ciò che veniva.
Si sente un po' l'aria di vacanza, infatti. Per esempio "Upon the sand", la mia preferita, è una canzone molto solare, avrebbe potuto essere una hit estiva.
Federico: Mi fa piacere. L'intento è quello. C'è bisogno di un po' di positività no? Qualche pezzo è abbastanza malinconico, ma una malinconia tutto sommato positiva. Scrivo delle cose che mi mancano, ma di solito sono cose belle. "Upon the sand" è la nostra prima vera canzone. Anche noi ci siamo affezionati. È tra l'altro l'unica rimasta invariata dall'ep.
A proposito dell'ep, quando l'ho recensito ho scritto che se aveste trovato una produzione all'altezza avreste fatto gran belle cose, e in effetti è successo. Complimenti alla Moscow?
Federico: Ci hanno creduto. L'ep era in definitiva un lavoro autoprodotto, avevamo due settimane di tempo per registrare, il tutto è stato fatto molto in velocità. Stavolta per il disco l'atmosfera era diversa. L'intento era un altro, ci siamo presi il tempo necessario per far bene le cose. Stavolta il lavoro di produzione c'è stato, su alcuni pezzi in particolare, e il risultato mi sembra che si senta. Abbiamo registrato in due periodi separati, dicembre e aprile, con il tempo di riflettere bene su tutto, senza fretta di pubblicazione. Ci eravamo prefissati di uscire a settembre 2010 e cosi è stato.
E approdare al mercato anglosassone? Mai valutato l'idea?
Federico: Oddio… Una cosa alla volta… Non mi sembra la cosa più facile da farsi, per vari motivi. Uno: c'è da confrontarsi con chi forse lo sa fare meglio, o perlomeno vive da sempre in quella realtà. Due: Non abbiamo una vera e propria agenzia di booking che ci permetta di uscire dall'Italia. Tre: Dicono che gli inglesi siano un po' riluttanti ad accogliere tutto ciò che arriva da fuori. Figurarsi dall'Italia... A parte Caterina Caselli, sembra che gli butti bene a Londra ultimamente...
Oppure: la solita e vecchia discussione secondo la quale un gruppo italiano non possa cantare che in italiano. Perché se un gruppo svedese canta in inglese ci sembra normale, mentre se lo facciamo noi è un problema?
Federico: Non saprei… Forse perché uno svedese canta meglio, un accento migliore, una pronuncia migliore… Ascoltando l'inglese di certi gruppi italiani riesci a capire perfino da che provincia vengono. E' il primo fattore di discriminazione, mi sembra di capire… Fra l'altro i Razorlight, uno tra i miei gruppi preferiti, sono per metà svedesi. E sempre parlando di svedesi, son biancuzzi, magretti…
Come voi... potreste spacciarvi per svedesi, e vedere se così riuscite ad abbattere il muro della diffidenza inglese.
Matteo: Buona idea, ci penseremo!
Scherzi a parte, la carta dell'estero non l'avete mai giocata?
Matteo: Per adesso non siamo mai usciti fuori dall'Italia e, a dire la verità, siamo usciti poche volte dalla nostra regione... Ovviamente ci piacerebbe suonare il più possibile, ovunque, da noi come all'estero.
Ok, torniamo all'album: ho notato che nei testi ricorrono spesso le parole leave, leaving... tentazioni di fuga dalla provincia?
Federico: Non la vedo tanto in quel senso, devo dire, di solito nei testi parlo di donne, amori etc. Anzi, arrivare dalla provincia è più una fortuna, secondo me. Qui piove sempre, la musica e le mode stentano ad arrivare e ci si deve per forza inventare le cose da fare. Chi vive in città è continuamente bombardato e influenzato da ciò che accade, in ogni ambito. E' inevitabile che abbia meno cose da dire. Penso anche ai grandi gruppi inglesi… Pochi arrivano da Londra. Molti arrivano da altre città, più provinciali, come Sheffield, o Manchester, per quanto possano essere considerate provinciali insomma… Poi a Londra si crea il seguito, di conseguenza.
Quindi c'è ancora la Carnia nel vostro futuro?
Federico: Boh… Insomma… Non a tal punto. Qui abbiamo oramai recuperato tutto ciò che c'era da recuperare. E anche oggi piove… Poi in realtà studiamo tutti a Trieste, il che ci fa rientrare abbastanza raramente… E quando siamo qui, siamo qui per provare.
Cito una tua frase trovata in rete: "mi piace immaginare l'ispirazione come una periodica opportunità di accedere a una rivendita di canzoni, dove hai poco tempo per scegliere e da dove ti porti via tutto quello che sei riuscito a trovare in quei secondi di privilegio". Interessante questa concezione "istantanea" delle canzoni...
Mattia: La vedo così, è vero. Non ho mai pensato più di dieci minuti quando ho scritto le canzoni per questo disco. Intendo la base: chitarra, voce e divano insomma. Tutto esce in poco tempo, altrimenti è meglio lasciar perdere, significa che non sono ispirato in quel momento. Di solito funziona così, io scrivo la canzone, o le canzoni. Poi, quando sono totalmente finite nella loro struttura, ci troviamo in sala prove e ci aggiungiamo il resto degli strumenti. Ovviamente quella frase è riferita al concepimento della canzone, l'arrangiamento è altra cosa.
Ma quando vai in questo "negozio delle canzoni", come le riconosci quelle che funzionano?
Mattia: Non ci vado per spendere male i miei soldi. E non scrivo canzoni brutte, come direbbe Noel Gallagher. Preferisco dire che il mio negozio propone roba di qualità quasi sempre, un po' come il negozietto di "Alta Fedeltà".
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L'articolo The Charlestones - via Chat, 18-10-2010 di Letizia Bognanni è apparso su Rockit.it il 2010-10-25 00:00:00
COMMENTI (9)
Dureranno quasi 2 anni.
A scanso di equivoci, le canzoni di questi ragazzi sono piacevoli.
Posso comprendere ed accettare che un gruppo abbracci un suono dichiaratamente British, quello che manca è forse una lettura più personale.
non è un "difetto" che affligge solo le canzoni dei Charlestones naturalmente, è un po' un male comune.
poi potrete continuare a dirmi "se questo gruppo fosse inglese", fatelo pure, ma credo che il commento di Nur sia più che sufficiente a chiudere il discorso.
I Charlestones hanno dalla loro la giovane età.
spero che investano il loro tempo nell'ampliare i loro ascolti e che non smettano di scrivere canzoni!
:)
A sto giro sono completamente d'accordo con Sandro...le canzoni son belle! Mica male per dei ragazzi
mi trovate d'accordo.
Troppo spesso ci sono gruppi che rifanno il mistico suono dell'Inghilterra, e vengono incensati ed osannati come il nuovo fenomeno che potrebbe spazzare via la musica conosciuta e sconosciuta dell'universo ma che sfortunatamente gli inglesi non potranno mai ascoltare...
e sì che basterebbe spendere 10€ per comprare Revolver dei Beatles.
...e aggiungo che con i vostri commenti avete anche chiuso in maniera ineccepibile il discorso "ma se questo gruppo fosse inglese".
Semplicemente hanno scritto belle canzoni e sono promettenti.
concordo assolutamente con nur.
è un po ' triste e soprattutto noioso. noiosissimo. mi chiedo il perchè di dare visibilità ad un progetto così scontato e artefatto. a chi giova?
ultimamente vedo questa tendenza. se un gruppo all'inizio pesca dal passato italiano è tacciato di essere indietro, sorpassato, vecchio, non interessante. se invece si concia come un giovane rocker inglese e fa musica che i giovani rocker inglesi facevano dieci anni fa allora è figo, è interessante, è "arte". dai.
Con tutto il rispetto per i ragazzi, che saranno bravi e anche simpatici, però mi vien da dire: che immensa tristezza.
It-pop? Come credete che si possa creare qualcosa del genere (originale, bello, italiano) se tutto ciò che fanno questi gruppi è copiare roba uscita dalla provincia inglese (in clamoroso ritardo, aggiungo, perché questo suono è del 2005 a dire tanto)?
La roba italiana non la ascoltano in inghilterra non perché è italiana, ma perché per loro sono suoni vecchi, cose già sentite, e che fanno meglio loro. (Caterina Caselli probabilmente invece è interessante perché, per loro, è una cosa genuinamente italiana che ha un senso.)
Insomma ritrovarsi a dover assomigliare il più possibile a degli inglesi o ai nord europei ("la cosa che colpisce sono le facce, incredibilmente inglesi." ma per favore!!! :=) per attirare un minimo d'attenzione non mi sembra assolutamente la strada giusta. Che questi ragazzi con la passione per l'indie rock inglese provino a rielaborarlo almeno un pochino, a farci entrare dentro Udine e Tolmezzo, che non ha niente di meno delle tristissime e disgraziate province inglesi.
BRAVI !!!! Tomiec power
Grazie Letizia per i complimenti : )