(Foto di Daniele Rebecchi)
Only the strong survive. 12 anni fa nascevano i Giardini di Mirò, erano ancora gli anni Novanta. Mentre l'evoluzione ha fatto il suo corso, i Giardini di Mirò bruciano ancora. "Il fuoco" (Unhip Records) è il loro quarto disco. Il progetto, nato come sonorizzazione dell'omonimo film muto di Giovanni Pastrone (1916) commissionata dall'Istituto del Cinema di Torino, ora vive della propria fiamma. Una fiamma – rossa, certo non di quel tricolore – che continua a scaldare i riflessi del cielo padano plumbeo sopra Reggio Emilia, dove ormai risiede la maggioranza del quintetto. Ne parliamo con Jukka Reverberi, il guitar hero della band, l'uomo dalla testa indipendente, colui che disse "no" agli Afterhours di Manuel Agnelli. Un vero uomo; d'altri tempi.
L'impressione è che confrontarsi con "Il Fuoco" assomigliasse a chiacchierare con un oggetto da museo. Qualcosa che ha a che fare con la morte, insomma. Com'è andata?
I sentimenti sono stati due. Da un lato estrema felicità: per la prima volta è stato riconosciuto il ruolo dei Giardini di Mirò da una realtà fuori dai club e dal giro indipendente, un'istituzione culturale, non puro intrattenimento. E questo ha a che fare con la vita. Dall'altro la paura. Ci siamo trovati molto distanti dal film, che è del 1916, come mondo d'appartenenza, come modo di raccontare le storie. L'inizio non è stato semplicissimo. Non ti dico che abbiamo avuto l'idea di mollare il colpo... ma abbiamo fatto fatica.
Che approccio avete usato?
Quando Stefano Boni, colui che si occupa delle sonorizzazioni per l'Istituto, ci ha proposto questo lavoro per poi presentarlo al Teatro Massimo di Torino, ci disse che potevamo fare quello che volevamo. Molti altri hanno fatto sonorizzazione basandosi sull'improvvisazione, altri hanno reinterpretato il loro repertorio, noi invece abbiamo interpretato il film secondo quello che ci dava. Forse non abbiamo narrato la storia, abbiamo suonato la musica pensando all'immagine.
Quanto questa tecnica è vicina al linguaggio del videoclip?
Bella domanda, non ci avevo mai pensato. Noi con il clip non c'abbiamo mai preso... questo è uscito bene, quindi è distante! (Ride, NdR)
Prima di sonorizzare la pellicola, conoscevate il regista Pastrone? Avevate già visto "Il Fuoco"?
No. Nessuno di noi è un cinefilo appassionato. In particolare della storia del bianco e nero italiano... di film muti ne avrò visti tre in tutta la mia vita. Entrare in connessione con un film del genere non è stato semplice. Lavorare a questa sonorizzazione ha costretto a concentrarci. Noi che siamo cresciuti bombardati da immagini veloci, dovevamo lavorare con immagini lente, con movimenti lontani. Ci siamo presi il nostro tempo.
Il tempo non esiste.
Scusa?
Il tempo però lo si subisce.
Dopo 12 anni che stai assieme non c'è più quell'intuizione rapida e fresca, quella roba che ti brucia dentro ed è giusto non ragionarci troppo sopra, che la butti fuori e basta. Nel nostro caso è come un rapporto amoroso. C'è il gesto improvviso che è necessario per mantenere tutto vivo, ma nel momento in cui fai una canzone devi lavorare su un tempo differente. Pensa, stiamo già lavorando al prossimo disco, i pezzi stanno venendo fuori abbastanza rapidamente, tante buone idee. Ma prima di arrivare a quel weekend così fecondo, in cui abbiamo scritto tantissimo, è passato un anno di prove molto difficili in ci siamo dovuti ristudiare, fare di nuovo sintesi. Però ora non abbiamo obblighi di nessun tipo. L'unico vincolo è l'età e la famiglia.
Come siete messi?
Due, Mirco e Tammu, sono ormai genitori e un po' tutti siamo fidanzati.
Avete letto il romanzo di D'Annunzio a cui è ispirata la pellicola?
Come ben sai, sono stupidamente prevenuto su D'Annunzio (l'autore era legato con il fascismo, Jukka Reverberi ne è invece un feroce oppositore, NdR). Quando ci hanno proposto il lavoro, questa paura era legata non al gruppo ma forse solo a me: avevo molto imbarazzo a lavorare con qualcosa che arrivasse da lui. Ma noi abbiamo lavorato solo con la pellicola, non con il romanzo.
Alla fine però si tratta di una semplice storia d'amore.
E' vero. Però la sua visione del rapporto della donna è un argomento politico... diciamo che non c'entrano i volantini su Fiume, ecco.
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(Video di Annapaola Martin)
Che cosa ha trasformato una sonorizzazione in un disco vero e proprio?
L'amore che abbiamo per quei 50 minuti di musica. Per come abbiamo creato e costruito lo spettacolo e per il piacere che ogni volta che suoniamo abbiamo. Doveva avere un suo spazio. Amiamo profondamente questo disco.
Pensate mai a quando e se la gente amerà ascoltarlo?
Nel momento in cui abbiamo chiuso il lavoro c'abbiamo pensato. Quando decidi di uscire con qualcosa questa domanda te la fai. Ma alla fine poi che dicano quello che vogliono.
A proposito. Siete stati spesso tacciati di esterofilia. Trovo invece che con "Il Fuoco" abbiate portato a compimento un progetto veramente italiano, quell'Italia che è bagnata anche da umori europei e non si autoriferisce.
Ho chiuso con l'Italia, mi sento europeo. Non è l'Ottocento o il Novecento, bisognerebbe ragionare in un'altra dimensione. Consapevoli sì del proprio posto, quello in cui stai, che qualcosa in positivo e negativo ti dà, ma... Scusa, non riesco a risponderti, di formazione sono internazionalista... che mi frega a me! (Ridiamo, NdR)
Trovo che questo disco profumi al 100% di Novecento. Come si sono trasformati i Giardini di Mirò in questi anni Zero?
Siamo nati alla fine degli anni novanta, ma il primo disco ("Rise and fall of academic drifting", NdR) è del 2001. Siamo dunque un gruppo della prima parte degli anni Zero, così veloci che 5 anni fa è un'epoca distantissima. Un disco oggi dura sei mesi... quando va bene. Eravamo appena ventenni!
Ascoltate la musica italiana nuova? Vi piace? Il Teatro Degli Orrori, Dente, Le Luci della centrale elettrica, Ministri...
No. Io no. Vorrei un disco italiano capace di disintegrarmi, come a suo tempo fecero i Massimo Volume o i Marlene Kuntz. I loro primi due dischi rimangono epocali. Molto belli e importanti. Vorrei ancora un gruppo come gli Altro, un gruppo necessario. L'unico punk che riesco ancora ad ascoltare. I nomi che mi hai detto - a parte Dente e Ministri, che non ho mai ascoltato – trovo abbiano il loro perchè. Per esempio su Le Luci della centrale elettrica ero all'inizio molto scettico: quando vedo eccitamento fuori misura attorno ad un nome, non mi fido. Invece ha un valore. E capisco perchè sia apprezzato.
Purtroppo però non sono fan di nessuno.
Un disco che stai ascoltando adesso.
Matt Elliott.
Per me eravate una band Homesleep. Invece questo disco segna il vostro approdo a Unhip Records. Una delle etichette italiane più attive e dinamiche dell'ultima decade. Com'è andata?
Domanda di quelle che bisogna stare attenti. Possiamo dire che è finito il rapporto con Homesleep. Visto il momento di pausa che si sono presi, c'è sembrato naturale mandare il disco a Giovanni Gandolfi (il titolare di Unhip Records, NdR), che oltre ad essere un amico si è sempre mostrato interessato a noi. Giovanni ha continuato imperterrito a scandagliare l'underground italiano pubblicando gruppi che hanno qualcosa da dire. Abbiamo scelto un'etichetta viva. Ci piace lavorare con chi è ancora vivo e ha ancora qualcosa da dire. E prova a dirlo.
Jukka, lascia che ti racconti questa cosa. Settimana scorsa ho acquistato 50 euro di dischi dal sell out di Homesleep. Ero contento perchè ho comprato un sacco di roba a prezzi stracciati. Ma ero anche triste. Perchè chiudeva una delle etichette italiane più fondamentali di sempre. Che cosa si è logorato? Cosa non funzionava più?
Non è tanto il nostro rapporto... è finito il periodo iniziato a fine anni Novanta con l'esperienza di Gammapop (l'etichetta di Filippo Perfido che ha pubblicato il primo EP dei Giardini, oltre a Julie's Haircut, Cut..., NdR), cioè l'idea di una musica italiana cantata in inglese che cercava di andare all'estero. I nomi usciti negli ultimi anni cantano in italiano, dunque quell'epoca è chiusa. Le cause possono essere molteplici: effetti esterni, contrazione del mercato, sicuramente anche noi gruppi che non siamo stati capaci di mettere la zampata. Io credo che non sia obbligatorio essere supportati dalle major per la svolta: quella la fai con i dischi. Molti gruppi non sono riusciti ad imporre un proprio immaginario. Tutti pubblicavano di tutto. C'è stata una grossa sbornia. Parlo in generale: tutte le cose che non hanno radici salde prima o poi finiscono.
E voi?
Io penso al mio gruppo. Devo suonare e scrivere bene, in primis. E poi cercare di capire come funziona là fuori. Adesso. C'è dell'evoluzionismo in questo discorso. Only the strong survive!
Ad inizio agosto, sul vostro Twitter, ho notato una cosa molto sign o' times. Avete postato un link dal quale è possibile scaricare tutta la vostra discografia. Gratis. Un gesto provocatorio? Senso di fastidio? Condivisione assoluta?
Ah, non lo sapevo! Dev'essere stato Corrado (Nuccini, l'altro chitarrista, NdR). Io ero in Bosnia in quel periodo. E' cambiato tutto, punto. E' molto facile fare un disco oggi. In realtà la musica ti richiede qualche responsabilità, quando vuoi fare il musicista indipendente. La domanda è: lo vuoi fare o sei costretto? In Italia molti si sentono costretti, effetto valigia di cartone. Ma essere musicisti indipendenti vuol dire farsi un culo tanto, suonare in sala prove è solo uno degli aspetti.
E' per questo che hai detto "no" a Manuel Agnelli quando ti chiese di entrare negli Afterhours, dopo la dipartita di Xabier Iriondo del 2002?
Questo è un argomento delicato, una di quelle cose che forse sarebbe meglio non dire, anche perchè si trattava di una situazione che coinvolgeva anche l'attuale chitarrista (Giorgio Ciccarelli dei Sux!, NdR). In realtà con gli Afterhours non feci neanche una prova, la proposta uscì una sera con Manuel a cena. Io avevo il mio percorso ed è stato giusto così.
Il tour de "Il Fuoco" vi ha portati per la prima volta in Sardegna. E' incredibile che non ci siate mai andati. L'Italia ha solo 20 regioni.
Ci siamo appena stati. C'era stato proposto di andare in Sardegna tanti anni fa e non avevamo potuto per problemi organizzativi. Il nostro batterista lavorava e non potevamo prendere così tanto tempo per una sola data. Poi, Carlo, devi considerare che noi per suonare poniamo delle condizioni. Semplici, molto chiare, non è che abbiamo molte pretese. Però abbiamo deciso che le date si sarebbero fatte solo guadagnando. Dopo 12 anni bisogna far tornare i conti. E' per questo che non abbiamo mai suonato in Basilicata e Val D'Aosta. Non ci sono persone che riescono a chiamarci. E' questione di scelte: se sei armato della voglia puoi suonare tutto l'anno, tutto cambia quando si passa dall'hobby a qualcosa di più.
La cosa che mi spaventa è che – nonostante internet, nonostante i trasporti, nonostante sia tutto così "facile" - non tutti hanno ancora la fortuna di poter vivere la loro musica con le stesse opportunità.
Questa domanda non riguarda solo la musica. Riguarda l'Italia.
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L'articolo Giardini di Miro' - via Chat, 19-10-2009 di Carlo Pastore è apparso su Rockit.it il 2009-10-25 00:00:00
COMMENTI (4)
Ho chiuso con l'Italia, mi sento europeo. Non è l'Ottocento o il Novecento, bisognerebbe ragionare in un'altra dimensione. Consapevoli sì del proprio posto, quello in cui stai, che qualcosa in positivo e negativo ti dà, ma... Scusa, non riesco a risponderti, di formazione sono internazionalista... che mi frega a me!
Questa domanda non riguarda solo la musica. Riguarda l'Italia.
Ma essere musicisti indipendenti vuol dire farsi un culo tanto, suonare in sala prove è solo uno degli aspetti.
Queste sono le risposte che preferisco. Ha carattere Jukka!
Ache io non andavo molto d'accordo con D'Annunzio al liceo e ora vivo nella sua città...quando l'ho realizzato non riuscivo a spiegarmi la coincidenza!
Bella intervista. Per niente scontata!
questa intervista è bella per davvero, e siccome la cosa accade di rado (ovvero di intervistare qualcuno con delle idee) mi unisco a faustiko, bravo carlo, bravo jucca!
Intervista con contenuti da leggere... bravo carlo, bravo jukka!
No. Io no. Vorrei un disco italiano capace di disintegrarmi, come a suo tempo fecero i Massimo Volume o i Marlene Kuntz. I loro primi due dischi rimangono epocali. Molto belli e importanti. Vorrei ancora un gruppo come gli Altro, un gruppo necessario. L'unico punk che riesco ancora ad ascoltare.
Non è tanto il nostro rapporto... è finito il periodo iniziato a fine anni Novanta con l'esperienza di Gammapop (l'etichetta di Filippo Perfido che ha pubblicato il primo EP dei Giardini, oltre a Julie's Haircut, Cut..., NdR), cioè l'idea di una musica italiana cantata in inglese che cercava di andare all'estero. I nomi usciti negli ultimi anni cantano in italiano, dunque quell'epoca è chiusa. Le cause possono essere molteplici: effetti esterni, contrazione del mercato, sicuramente anche noi gruppi che non siamo stati capaci di mettere la zampata. Io credo che non sia obbligatorio essere supportati dalle major per la svolta: quella la fai con i dischi. Molti gruppi non sono riusciti ad imporre un proprio immaginario. Tutti pubblicavano di tutto. C'è stata una grossa sbornia. Parlo in generale: tutte le cose che non hanno radici salde prima o poi finiscono.
In Italia molti si sentono costretti, effetto valigia di cartone. Ma essere musicisti indipendenti vuol dire farsi un culo tanto, suonare in sala prove è solo uno degli aspetti.
Ci siamo appena stati. C'era stato proposto di andare in Sardegna tanti anni fa e non avevamo potuto per problemi organizzativi. Il nostro batterista lavorava e non potevamo prendere così tanto tempo per una sola data. Poi, Carlo, devi considerare che noi per suonare poniamo delle condizioni. Semplici, molto chiare, non è che abbiamo molte pretese. Però abbiamo deciso che le date si sarebbero fatte solo guadagnando. Dopo 12 anni bisogna far tornare i conti. E' per questo che non abbiamo mai suonato in Basilicata e Val D'Aosta. Non ci sono persone che riescono a chiamarci. E' questione di scelte: se sei armato della voglia puoi suonare tutto l'anno, tutto cambia quando si passa dall'hobby a qualcosa di più.
Queste risposte brillano di luce propria.
Bravo bravo. :)
d*