(Andrea Cola - Foto da internet)
Dire che Andrea Cola è prolifico è dire poco. Non si contano i progetti che coinvolgono l'ex Sunday Morning, tra i tanti c'è anche Do Not Cry For The Country Boy dove per la prima volta Andrea interpreta canzoni di altri. E' uscito un ep davvero toccante con rivisitazioni dei Ramones, dei Velvet Underground, di Dylan, Smashing Pumpkins, Shangri La's e Jesus and Mary Chain. Mario Panzieri ha approfondito il discorso.
E le luci si spensero: mi risvegliai solo quella domenica mattina, l'unica compagnia erano i raggi del sole che filtravano dalla finestra (la nascita del progetto "Do Not Cry For The Country Boy").
Questa cosa nasce due o tre anni fa da una mia precisa colpevole frustrazione: ho iniziato a suonare scrivendo da subito le mie canzoni. Non so perchè. Non sentivo l'esigenza di provare sulle dita l'ebbrezza degli accordi delle mie canzoni preferite, oppure semplicemente non ne avevo voglia. Il tutto si è sviluppato inizialmente come un piccolo progetto che mi permettesse di fare qualche data in giro, al di fuori dei Sunday Morning, guadagnarmi qualche spicciolo, vincere una vaga paura di stare da solo su un palco, e potermi concentrare sull'interpretazione. Fatte alcune di queste cose, l'attitudine è cambiata radicalmente nel giro di poco tempo.
Istintivamente la ricerca emotiva ha preso il sopravvento, ho voluto cercare il centro, il nocciolo, di ogni singolo pezzo che amo ed amavo e che decidevo di affrontare. Questo mi ha permesso in qualche modo di appropriarmene, indipendentemente da chi ne sia l'autore, poco importa. I giganti vanno ignorati... studiati, riveriti ed ignorati, tutto allo stesso tempo. Non credo esista una canzone intoccabile, solo qualche interpretazione lo è sul serio. Ed entrando in tutto questo discorso pensavo che questa in fondo è la pratica degli standard, in ambito jazz (e così ci ritroviamo con un centinaio di meravigliose versioni di "Summertime").
L'album si apre con un'etera "Pale Blue Eyes" dei Velvet Underground, narcotizzata e lasciata fluttuare per nove minuti...
E' stata la prima canzone su cui ho lavorato, mi ha permesso di trovare il modo per fare tutto il resto. Quando sei da solo con una chitarra e strimpelli una canzone con una struttura così circolare e ripetitiva rischi di distrarti e scivolare. Quindi ho cercato qualcosa che potesse permettermi di sprofondare realmente... L'ho trovata in quella nota, un La che cerca, in qualche modo, di ipnotizzarti. Quando è venuto il momento di registrare ho messo prima quello e poi ho suonato e cantato, semplicemente, in presa diretta.
Poi arrivano i Ramones, con la delicata e quasi scherzosa "I Wanna Be Your Boyfriend".
E' un brano che ho sempre amato moltissimo, E' la seconda canzone dei Ramones che ho sentito nella mia vita. E' nato durante le registrazioni, quasi come riempitivo, su consiglio di Luca Galassi (ex chitarrista dei Sunday Morning, e un po' tutto il resto durante queste registrazioni), mi piace l'atmosfera ma preferisco la versione che faccio dal vivo.
Paghi dazio anche a colossi come Bob Dylan e Neil Young (tra l'altro, molto toccante la versione di "I Shall Be Released"): la tua voce ha però un piglio alla Buckley (soul come il padre, trasognata come il figlio), è una mia suggestione?
"I Shall Be Released" l'ho scoperta sul primo disco della Band, micidiale. Il testo è allo stesso tempo a terra e nel cielo, angosciante e liberatorio. L'unico modo in cui mi riesce di pensarlo e di eseguirlo è come l'ho registrato, come un flusso. Per "After the Goldrush" il discorso è diverso, dal vivo utilizzavo una piccola tastiera con un suono molto simile ai flauti che si trovano sul Mellotron. Non mi dispiaceva quel modo, ma volevamo renderla più divertente, trasformarla completamente e renderla una canzone da spiaggia. Ritengo che manchi ancora qualcosa, ma adoro l'assolo centrale ed il finale.
Non nego che Jeff Buckley abbia appassionato anche me quand'ero ragazzino, più di suo babbo, che sinceramente conosco poco. Ed è possibile che qualcosa mi sia rimasto di quei tempi. Ma non è il mio cantante di riferimento. La sua è sicuramente una voce meravigliosa e ti ringrazio solo per l'accostamento, ma io cerco di essere più terreno e più semplice, come modo di cantare. E poi, sinceramente, il tabacco si fa sentire.
In effetti il tuo approccio "timbrico" ricorda più le venature soul del padre. Ok, era solo una mia impressione evidentemente. Un'altra sorpresa dell'album è "Some Candy Talking" dei Jesus & Mary Chains: si prenda quel colosso di rumore e riverbero e lo si trasformi in una dolce e notturna ballata di folk americano.
Questo rientra in un'altra mia piccola ossessione, le canzoni buone non le uccidi. Un capolavoro è tale fin dallo scheletro. Quel disco è fantastico proprio per questo. Tre accordi, un muro di citazioni, ma una sostanza inarrivabile. Amo questa canzone. Ho provato a toglierle arroganza e lasciarle tutta la disperazione. Mi è venuto così, senza pensarci troppo. Un po' come ho fatto anche per "I Wanna Be Your Girlfriend" dei Ramones.
L'album si conclude in maniera molto romantica...
"Bye Bye" è una canzone scritta soprattutto da Luca, e buona parte del testo da me. Risale all'ultimo periodo con i Sunday Morning, descrive le sensazioni che si provano quando un rapporto di amicizia finisce. Alcuni momenti in cui ami e odi le persone che ti stanno accanto, e vorresti semplicemente andartene a letto e dormire e sognare finchè non finiscono i sogni. Con il senno di poi mi sembra che questa canzone descriva esattamente come sono andate le cose nel gruppo, quando abbiamo deciso di prenderci una lunga pausa, per poi scioglierci. "The Boy" (l'ultima canzone del disco) è delle "Shangri La's", un gruppo femminile anni sessanta che adoro. Ho cercato di mantenere lo spirito ed adattarlo alle mie esigenze di sola chitarra e voce. Era anche il pezzo di chiusura dei concerti. Mi diverte molto farlo, davvero.
Dal vivo, come ti esibisci? Riesci ad instaurare un buona intimità con il pubblico?
Solitamente mi porto dietro un synth per le note di ipnosi, una piccola tastiera, un po' di chitarre, il mio amico microfono (un md441 filtrato attraverso un echo memory man settato molto corto), e via, faccio il concerto. Nell'ultimo periodo, grazie alla lunga amicizia con Diego Sapignoli (batterista degli Aidoru e di tantissimi altri progetti) ho avuto l'opportunità di suonare con questi musicisti fantastici che sono i Sea Of Cortez, un gruppo con una lunga esperienza alle spalle, che mi ha permesso di ampliare un po' i colori del concerto e di divertirci un casino. Spero che questa collaborazione vada avanti, e dovremmo in inverno fare altre date insieme. Comunque non disdegno il concerto solitario, e sto lavorando su un'esibizione basata anche su batterie elettroniche anni ottanta, basso distorto e loop station. Insomma un concerto, se vogliamo, più peso, come dimostrano le bozze che ho buttato sulla mia pagina myspace.
Per quel che riguarda il pubblico, tendo ad averne un estremo bisogno. E la gente fortunatamente viene a vedermi. Non tutte le serate sono uguali, a livello di contatto. Quando sei da solo su un palco senti subito tutto, e cerchi di regolarti di conseguenza. A volte viene naturale alzare l'intensità ed il volume, a volte puoi permetterti di sussurrare. Comunque questo progetto esiste per essere fatto dal vivo.
A quando qualche pezzo inedito, come valuti l'ipotesi di cantare in italiano?
Di pezzi ne ho scritti anche troppi, con Luca alla chitarra, Jacopo (ex tastierista dei Sunday) al basso e Marco Trinchillo (Amycanbe) alla batteria abbiamo formato un gruppo. E stiamo finendo ora di registrare un promo nel nostro piccolo studio. Non abbiamo ancora un nome. Essenzialmente si tratta di canzoni rock'n'roll primi anni novanta, però in realtà non ho detto niente e non so come dirlo... Insieme ad un batterista jazz votato alla sperimentazione (Enrico Malatesta) ed un trombonista (Marcello Detti, già con i Nobraino) c'è questo progetto di improvvisazioni su temi elementari, possibilmente ipnotici e spaziali. Usiamo dei travestimenti, ci chiamiamo The Unicorn.
L'italiano... Ho avuto sempre paura dell'italiano. Mi spaventa. Ci lavoro solo se ne ho un bisogno immediato, perchè non mi viene del tutto naturale. Qualche anno, su proposta, ho iniziato a lavorare su un piccolo, ipotetico disco con canzoni in italiano. Ne ho scritte una decina, con la stessa sensazione come filo conduttore, una specie di idea riguardo alle navi ed al mare. Poi, per vari motivi, questa cosa è finita nel cassetto. Quest'anno ho deciso di riunire un gruppo di musicisti validi (ci sono Diego Sapignoli, Dario Giovannini e Mirko Abbondanza degli Aidoru; Filippo Bianchi dei 64 slices of american cheese e Glauco Salvo con il suo progetto The Ghost of Bell Star), ed insieme stiamo arrangiando cinque canzoni in procinto da registrare quest'inverno.
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L'articolo Do Not Cry For The Country Boy - via Mail, 05-09-2008 di Mario Panzeri è apparso su Rockit.it il 2008-09-12 00:00:00
COMMENTI (1)
se fossimo un paese serio i The Ghost Of Bell Star, citati nel pezzo, sarebbero la next big thing (myspace.com/theghostofbellstar). Per non parlare naturalmente dei 64 Slices. Lui non l'ho mai sentito, ma se tanto mi dà tanto...