(Le illustrazioni sono di Gaia Stella)
Tutti e due con la barba. Il primo è ormai un punto di riferimento, l'altro è appena agli inizi. Entrambi amano scrivere canzoni: ci è sembrato naturale far dialogare Bob Corn e Mr. Milk. Asciutte ed essenziali le domande, appassionate le risposte. Davvero un bell'incontro.
Perché hai scelto la musica, il comporre e cantare-suonare canzoni come forma di espressione? O la musica ha scelto te?
Credo di aver cominciato a suonare perché ero brutto. Per una specie di equazione che solo un quattordicenne può escogitare, doveva esserci una parte bella di me che gli altri potessero vedere. La musica ha avuto fin da subito la tragica caratteristica di dividermi e di dividere il mondo circostante. Ma le quattordicenni son cattive, e non erano pronte. Così suonare divenne quasi automaticamente una forma di isolamento, un immaginario da non condividere. Per quanto ridicolo possa sembrare, io quando suono, da qualche parte sono bellissimo, mi illumino, vinco o perdo, ma sempre in maniera epica; il fatto che questo immaginario si svolga contestualmente al bruttuomo che sono, che nonostante tutto siano le mie mani e la mia voce a renderlo visibile, è esattamente il "mistero" che mi ha legato alla musica, più che ad altre forme espressive. Non credo assolutamente nelle cose mistiche, ma di sicuro la musica mi ha salvato dalle droghe o dallo sport. Solo molti anni dopo cominciai a scrivere canzoni, questa volta per un'esigenza comunicativa, più che esistenziale. Dire qualcosa, dichiararmi, spiegare cosa provassi. La soluzione fu semplice, quelle cose non le avrei mai dette. Conclusi, probabilmente sbagliando, che le cose migliori che puoi dire a qualcuno, non si dicono. Se le dici, con buona probabilità, muoiono, si storpiano, le devi ripetere. Trovai lo scrivere canzoni la maniera migliore per non dire qualcosa, ma allo stesso tempo di non dimenticare, di non mediare. Come parlare in un secchio, per ricongiungersi alla maniera in cui certe cose sono nate. E poco importa aver nobilitato puttane, delusioni, disgrazie, loro non lo sapranno. Era l'unico modo che avevo di accettare ed allo stesso tempo di proteggere la mia debolezza.
Non so di dove sei, da dove vieni, dove vivi... questi posti hanno influenzato il tuo modo di fare musica?
Battipaglia, in provincia di Salerno. Un posto da cui non ho mai avuto la possibilità di fuggire, e che vorrei perdonare. Mi spiace non essere mai stato un viaggiatore, uno che è partito senza tornare, pure solo un fuorisede. Mi sono mancati i soldi o ancor più la forza. E allora uno si ingegna; e cominci a pensare che forse non è un ammasso di case messe a caso, il cibo che mangi, la gente che incontri, a definire quello che fai, che solo quel che accade è importante. Che sei uno che scrive canzoni qui, come uno che le scrive a Londra, o a Brooklyn, o a Parigi. Che loro forse hanno più culo, ma che questa dove vivo è la mia Los Angeles, e che amo, soffro, bevo e scrivo come loro. Anche perché, al contrario, se Costello si trasferisce qui, non è che diventa uno stronzo qualsiasi di botto. Ecco, questo è stato l'autoinganno migliore che io abbia mai concepito. Ha avuto un suo prezzo, ho dovuto smembrare qualsiasi cosa avessi a vista per poterla implementare in un mondo non geografico.
Ogni edificio, bar, negozio, panchina, sigaretta, è un'icona, è semplicemente quello che è. Lo pago ogni volta che mi muovo di casa, così che di molte città che ho visto, ricordo solo un altro tabacchino, un altro caffè, un altro letto, e le chiese son chiese, e le statue son statue. Se il mio modo di fare musica è figlio di questo posto, non voglio saperlo, significherebbe chiedersi come sarebbe andata altrove, e mi ritengo già abbastanza vecchio da non dover più soffrire per certe domande. Una parte di me vive lontanissimo, e spero che non torni più. Non sono un sostenitore della provincia come catalizzatore artistico. Nessuno dovrebbe vivere in un posto brutto o vuoto solo per sopravvivergli, solo per un disco, un quadro, o un libro in più nel mondo. Vivere bene è già un'impresa in condizioni ottimali, figuriamoci se devi prendere l'autostrada.
Il disco suona pieno e scarno allo stesso tempo, con pochi strumenti e focalizzato sulle canzoni in sé... suoni così anche dal vivo? E ti piace suonare concerti?
Le canzoni che sono nel disco, sono nate e si sono (finalmente) arenate così come sono sempre state. Per necessità, ho provato a fare implodere interi arrangiamenti mentali in una chitarra ed una voce. Le ho sempre suonate così anche dal vivo, e portarle in giro da solo è stato faticoso e bellissimo. Del suonare in pubblico mi ha sempre affascinato l'imprevedibilità dell'esperienza collettiva, il fatto che siano davvero pochi istanti a definire come andrà a finire. Mi piace pensare che chi viene ai miei concerti non ascolti esattamente me; che la mia musica sia un debole rimando ai fatti suoi, alla sua vita, la colonna sonora anche di una sera soltanto. Non voglio raccontare niente, non è la mia vita la parte interessante, è il modo in cui la musica si riversa nelle vite altrui che la rende degna di esistere. I ricordi più belli che ho, non sono quelli di concerti in cui tutti erano silenziosi, ma quelli di dove succedeva qualcosa, silenziosamente o meno. Due che si baciano, uno che beve troppo, la coppia che non si guarda in faccia, quello che viene a complimentarsi con l'espressione di uno che si è appena confessato. Sono piuttosto orgoglioso di non aver mai richiesto silenzio, a costo di non sentire più nulla. Non importa che in quel momento io sia percepito come una radiolina scassata o Caruso, è importante invece che ci sia vita tutt'intorno, che la musica sia uno scenario, anche se per pochi minuti. So di averne effettivamente pochi per instaurare quel tipo di atmosfera, ma sono sufficienti per uno che non vuole cambiare o sfasciare il mondo con una canzone.
Ti piace qualcun'altro che scrive canzoni oltre a Nick drake e Leonard Cohen?
La maggior parte degli autori che ascolto sono morti, ed infatti conosco molto poco la produzione di Cohen. E in realtà non sono particolarmente appassionato della forma cantautoriale. Ho profonda ammirazione (e talvolta invidia) per tutto quello che suona in maniera così naturale da risultare quasi terribile. Le voci di Chet Baker, Nina Simone, Elliot Smith, Nick Drake, Daniel Johnston, e molti altri che mi hanno influenzato, sono voci che non saprei definire se non come voci di uomini, dove "uomo" è una parola molto complessa; così come per certe musiche (per cui sarebbe necessario fare anche nomi mastodontici e cadere nella trappola della pippa) che sembrano siano state scritte da una montagna, o un albero, o un fiore, certamente non da un essere umano. Non posso negare di essere stato travolto da Nick Drake, ma non più di quanto dovrebbero rimanerne travolti tutti, dal punk-rocker al produttore di techno; credo che abbia posto nuovi limiti più che nella composizione o nel genere, nell'assoluta mancanza di barriere tra l'uomo e l'opera che compie. Tendere a quei limiti è auspicabile per tutta la musica. Ho rubato, maldestramente, da tutti. Ma è una refurtiva che non conservo e non catalogo, che consumo.
La lingua, l'idioma! Scelta o cosa ? (domanda che fan sempre a me !!!)
La fanno sempre anche a me! E ci sono sempre almeno un paio di ragioni. La prima è personale più che musicale. Sentirmi cantare parole d'amore, sarebbe insopportabile. Ho sempre preferito mantenere i rapporti tra il me che compone ed il me che vive piuttosto distaccati. Sono fortemente convinto che se queste due parti si capissero troppo profondamente, la mia vita quotidiana ne uscirebbe distrutta. La musica è il posto dove soffro o gioisco senza vergogna, ed anche se il pensiero è unico, fargli parlare due lingue diverse, aiuta. L'inglese è l'unica altra lingua che parlo grazie ai programmi ministeriali, ed è la lingua di molta musica che ho ascoltato, ma non di tutta. Così l'altra ragione, è che l'inglese è facile, quadrato, affidabile, meno spigoloso. E' un idioma che permette di lavorare per immagini in maniera più semplice, e che, diciamocelo, spesso riesce a suonar bene anche per cose abominevoli; ammetto di aver provato a scrivere in italiano una volta, ma è stato come trovarsi davanti ad un bivio terrificante, in cui da una parte c'era un lavoro certosino di sottrazione e incastro, e dall'altra la dodecafonia, o quasi. Non escludo ci siano terze strade, ma non ho assolutamente idea di quando si manifesteranno.
Da quel che ho visto su Rockit dovresti aver la barba! Perchè?
Ho la barba da diversi anni. A) Sono convinto che ogni cosa vada fatta al meglio delle proprie possibilità. Quindi, essendo le donne imbattibili, lascio che siano loro portatrici di liscezza. B) Non la considero un accessorio estetico, ma un messaggio. Che il mondo ci liberi dalle barbe curate. E' come se vendessero il profumo al sudore. Ma un sudore figo. C) E' una vera e propria arma dialettica - se non ho il pensiero di radermi, figurati se ho voglia di ascoltare cazzate - questo permette sia di proteggersi, sia invece di stabilire che la conversazione sarà di sole cazzate. D) Senza barba, credo proverebbero a rapinarmi ogni cinquanta metri.
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L'articolo Mr.Milk - via Mail, 23-08-2010 di Bob Corn è apparso su Rockit.it il 2010-09-20 00:00:00
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