(Foto di Simone Cinelli)
Samuel Katarro è un ventitreenne pistoiese. Fa blues (anche se lui dice di no). Le sue canzoni sono pura schizofrenia messa in musica e i live sono da pelle d'oca. Il 14 novembre uscirà su Angle Records, "Beach Party", il suo primo disco (prodotto da Marco Fasolo dei Jennifer Gentle). Mario Panzeri l'ha intervistato.
Spesso i concorsi musicali risultano l'unico modo per esibirsi dal vivo, ma mai nessuno si cura di chi vince cosa o perchè. Ma il verdetto del Rock Contest del 2006 ha smentito tutti: caro Alberto, raccontaci di quella serata a Firenze e della nascita del tuo progetto per chitarra acustica strapazzata, blues sguaiato e derive psichedeliche.
La cosa che ancora mi sorprende è di essere arrivato, dopo pochi mesi, a ricevere un'attenzione maggiore di quella accumulata in sette anni con tutti i miei progetti. Il Rock Contest è stato certamente la tappa fondamentale da cui si sono aperte numerose possibilità e che ancora oggi mi sostiene. Decisamente è un concorso diverso dagli altri, c'è molta attenzione nei confronti dei gruppi che suonano anzichè sul profitto economico, e questa è la cosa fondamentale. Inoltre i gruppi non vengono gettati nel dimenticatoio appena conclusa l'edizione del concorso ma la maggior parte di essi viene seguita anche nei mesi successivi. Il progetto "Samuel Katarro" nasce per necessità piuttosto che per scelta visto che i miei ex-colleghi hanno deciso di formare una cover band dei Dream Theater lasciandomi solo, meglio cosi!
Non posso fare a meno di chiederti il perchè del tuo nome d'arte.
E' una mia creazione che risale ai tempi dell'infanzia, uno di quei personaggi che i bambini con molta immaginazione e tendenti alla schizofrenia si inventano per inserirli in squadre di calcio fittizie. La "K" è una scelta radicale, un omaggio alla musica demente (non demenziale, per carità) degli Skiantos e ad un certo linguaggio trash di estrazione pseudo-giovanile. Una scelta controcorrente perchè sono demente. Capito?
Sostieni di non ricercare un approccio blues e anzi, di non essere molto interessato al genere. In realtà sei considerato uno dei più promettenti (e devianti) bluesman italiani.
Non mi ritengo un bluesman per il semplice fatto che non so suonare il genere come si deve! Forse è più evidente nel timbro vocale, che percorrendo certe linee rende tutto molto più blues di quanto non sia in realtà.
Qual'è il tuo rapporto con il folk sballato americano? Mi piace accostarti alle gesta teneramente naif di un Daniel Johnston piuttosto che a certe atmosfere sfuocate alla Flaming Lips. Le tue canzoni sono talmente personali che paiono quadretti di vita ridisegnati per l'esposizione sul palco.
Ecco appunto, Daniel Johnston non l'ho mai ascoltato tranne che nel tributo ai Beach Boys di "Pet Sounds", i Flaming Lips rimangono invece un punto fermo circa il mio approccio giocoso-anarchico-psichedelico-postmoderno alla materia musicale, benchè non si noti più di tanto. Tutte le canzoni del mondo dovrebbero essere "quadretti di vita ridisegnati per l'esposizione sul palco", quindi non ti sbagli affatto perchè le canzoni parlano di me e della mia vita, anche se in maniera decisamente criptica. I testi sono quasi tutti in prima persona, anche se spesso indosso i panni di altri personaggi, sia reali che inventati. Mi piace il termine "quadretto" anzichè "storie" perchè le mie canzoni fotografano degli attimi o dipingono situazioni, esprimono staticità piuttosto che movimento.
Parlando di Beach Boys: raccontaci di quel giorno che incontrasti Brian Wilson e dicci cosa ti sussurrò nell'orecchio.
Amo i Beach Boys semplicemente perchè mi fanno stare bene, hanno una funzione terapeutica su di me, nonostante le loro canzoni siano sempre permeate da un alone di lieve malinconia. I loro impasti vocali hanno la potenza di un forte sedativo, un potere trascendentale, mi convincono a fare pace con me stesso. Inoltre la loro attitudine è sufficientemente superficiale da trasmetterti quel po' di frivolezza necessario per non complicarti troppo l'esistenza.
Dopo l'arruffato ma dirompente promo del maggio 2007 arriviamo alla Angle Records e alla pubblicazione di "Beach Party". Come sei entrato in contatto con l'etichetta e con quali prospettive?
E' stata una bella sorpresa, Angle era tra le mie preferenze e avrei cercato di contattarla io stesso se non l'avessero fatto prima loro. Nicola Guiducci (proprietario dell'etichetta, NdR) è un tipo molto originale ed è la persona ideale per promuovere un prodotto fuori dagli schemi come il mio.
Ci hai messo molto dopo la registrazione delle canzoni a trovare un contatto per la stampa e distribuzione del disco? Che impressione ti ha fatto confrontarti con l'attuale panorama delle etichette italiane?
Praticamente un anno, ma diciamo pure che non mi sono spezzato le ossa per cercare un'etichetta, ho continuato a suonare in giro e grazie ai concerti ho conosciuto persone del settore, tra cui Andrea Sbaragli (il mio manager ed editore) che assistette al mio live in apertura ai Pere Ubu alla Flog di Firenze. Da quel momento abbiamo iniziato a pensare seriamente all'etichetta, dopo aver ricevuto diverse proposte abbiamo optato per Angle. Tutto molto naturale direi.
Possiamo considerare Marco Fasolo dei Jennifer Gentle il deus ex machina di "Beach Party": a chi è venuta l'idea della collaborazione? Com'è stato lavorare con il folletto padovano e cosa senti di aver imparato?
E' stato Andrea Sbaragli a presentarmelo, secondo lui avremmo fatto un buon lavoro insieme perchè ci vede come due spiriti affini, da parte mia ho insistito molto per la collaborazione perchè stimavo moltissimo i Jennifer Gentle e li conoscevo già molto bene musicalmente. Marco è un ragazzo tranquillo e davvero disponibile, lavora con impegno e si stanca difficilmente, per cui vedendolo in azione si nota subito che è abituato a "farsi il mazzo". Non sono mancati i momenti di follia dovuti alla stanchezza, in particolare negli due ultimi giorni quando ci ha raggiunti Fabrizio Marchetti (uno di quelli che mi abbandonato per mettere su la cover band dei Dream Theater!) la situazione è degenerata tra sguardi persi nel vuoto e battute dementi. Andrea (chitarrista dei Gentle, NdR) temeva sempre di più per le nostre condizioni psicofisiche ogni volta che veniva a trovarci. Sembrava di recitare in uno dei primi film di Polanski o del Bunuel più surreale, quello del periodo messicano.
"Beach Party" è un caleidoscopio di suoni e penombre arcane, con accenni di musica per piano da saloon, hammond lisergici, aperture di flamenco e addirittura violini zigani: quanto ha influito Fasolo sugli arrangiamenti?
Zero. Quando sono arrivato all'Ectoplasmic Studio di Marco avevo già il rough mix delle registrazioni, e francamente avrei desiderato un intervento strumentale o vocale di Marco, ma i tempi erano stretti. Così abbiamo deciso di concentrare le energie per ottenere un mixing accurato, che soddisfacesse le nostre prerogative anche lavorando intensamente fino alle sette del mattino per finire il tutto in quattro giorni. Sapevo già come arrangiare i pezzi ancor prima di registrare lo scheletro di chitarra e voce, Fabrizio alle tastiere e Francesco d'Elia al violino sono stati determinanti per la loro realizzazione. Nonostante ciò Marco è stato fondamentale, perchè lavorando in analogico è riuscito a infondere profondità ai suoni e soprattutto un'atmosfera peculiare e riconoscibilissima in tutti i pezzi.
"Terminally Illness Blues", "Wicked Child", "Headache", "Live In Terror", "Com-Passion": testi che miscelano masochismo, dolore, solitudine, scritti biblici e cessi chimici... Come mai tanto dolore nei testi? Cerchi un esorcismo in musica?
Probabilmente si. Ma tutto avviene a livello inconscio, come la stesura delle liriche d'altronde. Inoltre mi affascina un certo tipo di tematiche legate all'assurdo, alle infinite soluzioni, ai mondi paralleli, all'inverosimile, alla fantascienza, al surreale, all'irreale e via dicendo. Magari nei prossimi anni i "demoni" smetteranno di riprodursi copiosamente nel mio stomaco e inizierò a scrivere delle bellissime canzoni d'amore: in fondo anche i Velvet Underground hanno "iniziato a vedere la luce" soltanto al terzo album. I cessi chimici comunque non sono affatto dolorosi, anzi a volte addirittura provvidenziali.
"Beach Party" si conclude con un'omonima dolce ballata che si distacca un po' dal mood creativamente nevrotico dell'album, quasi una liberazione...
In realtà non è affatto così, semmai è una presa di coscienza sul fatto che siamo talmente liberi di scegliere tra un'infinità di opzioni che rischiamo di perdere di vista ciò che ci interessa davvero. Questo qualcosa può essere anche una persona, un sogno, l'ambizione di ritrovarsi in una situazione che credo venga definita "anomia" da quelli più intelligenti di me, ma naturalmente non ne sono sicuro. Potrei chiamarla pure "rassegnazione" o "nichilismo" ma visto che odio nel profondo questi termini ti dirò che "Beach Party" esprime "un'amara consapevolezza".
Cambiando storia... Come sei arrivato a Fiumani per incidere "Diamante Grezzo" nella bella compilation-omaggio ai Diaframma de "Il Dono"? Come valuti l'operazione?
"Il Dono" è sicuramente un album più che riuscito, una bella esperienza perchè ho avuto l'occasione di confrontarmi con le realtà più importanti della nuova scena italiana. Federico l'ho conosciuto ad un suo concerto a pochi chilometri da dove abito, abbiamo parlato e mi ha rivelato che pure lui mi conosceva come "il vincitore del Rock Contest", poche settimane più tardi mi ha telefonato chiedendomi di registrare la cover di "Diamante Grezzo" ed ovviamente ho accettato subito anche se non conoscevo il pezzo. Francamente è stato assai difficile "risolvere" un brano come quello, primo perchè ho dovuto cantare per la prima volta in italiano, secondo perchè la versione originale è praticamente priva di linee vocali ben definite, per cui ho dovuto crearle dal nulla modificando anche il testo e di conseguenza la metrica.
Ti sei esibito in festival letterari, hai suonato alla festa della CGIL, hai sonorizzato film muti e non ultimo hai fatto esibizioni in salotti di case private. Definisci un po' il tuo approccio con il live, le tue innumerevoli mutazioni e impostazioni sul palco.
Il mio atteggiamento sul palco è sempre stato controverso ma non passa mai inosservato. Le mie performance sono state fino ad adesso molto minimali a livello strumentali ma anche alquanto fisiche ed emotivamente pregnanti, comunicative e mai distaccate. Qualcuno, soprattutto agli inizi, era un po' diffidente circa i miei movimenti nervosi e le mie smorfie e mi accusava addirittura di fingere ma io non riesco a fingere in nessuna situazione, tanto meno facendo quello che mi piace fare e a cui tengo di più. Non riesco a contenermi, mi lascio andare totalmente nella dimensione live e adesso credo che la maggior parte delle persone che seguono un mio concerto lo capisca e lo apprezzi.
Tra le tue esperienze hai avuto anche il merito di aprire per Pere Ubu (tuoi mentori) e Jon Spencer Heavy Trash: cosa ricordi di quelle serate?
Con Jon Spencer non ho avuto alcun tipo di contatto e credo che non abbia nemmeno assistito al mio breve set di apertura. Il concerto con gli Ubu invece è stato indimenticabile, non hanno assolutamente celato il loro entusiasmo nei miei confronti, anche il burbero Thomas (David Thomas, leader della band, NdR) mi ha dato una pacca sulla spalla e mi ha fatto i complimenti, cosa incredibile visto che di solito, come mi ha confidato Robert Wheeler (tastierista e thereminista del gruppo, NdR) la sera stessa, David "odia" gli opening act dei loro concerti!
C'è qualche realtà della musica italiana con cui ti piacerebbe collaborare in futuro? A chi guardi con più interesse ultimamente?
Personalmente sono un grande appassionato della scena locale di Firenze e dintorni, frequento assiduamente i locali che fanno musica dal vivo e ho conosciuto direttamente un sacco di ragazzi in gamba che fanno musica con passione e impegno. Citerei almeno i compaesani Ka Mate Ka Ora con i quali ho già collaborato prestando la mia voce nel loro primo album e i Baby Blue di Prato ai quali mi sono ispirato per "Terminally Illness Blues".
"La scena alternativa non è mai stata cosÏ viva", rovesciando il significato dell'ironica e caustica canzoncina dei S.U.S. (altro gruppo pistoiese, NdR). In Italia ci sono una miriade di artisti, sia gruppi che cantautori, che mi piacciono. Sono aperto a qualunque tipo di collaborazione perchè sono convinto che ci sia sempre qualcosa da imparare dagli altri.
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L'articolo Samuel Katarro - via Mail, 26-10-2008 di Mario Panzeri è apparso su Rockit.it il 2008-11-03 00:00:00
COMMENTI (4)
Ho visto Katarro tantissime volte, dal vivo è portentoso.
Ma, sarà anche molto bravo, ma io mi addormento ogni volta che mi imbatto in lui in un locale.
Monotono, monotono, monotono
Ma sarà, a me viene da dormire ogni volta che vado in un locale e mi imbatto in lui.
Monotono, monotono, monotono
è proprio il momento dei cantautori acustici... sarà perchè costa meno che andare in giro con tutto un gruppo?:[
comunque molto bravo, il genere è molto particolare, andrebbe un sacco in america...