Ulan Bator - Una vita tranquilla

Vent'anni di carriera sono lunghi, di conseguenza anche la chiacchierata tra Simone Stefanini e Amaury Cambuzat per l'uscita di "Enfrance Entrace", nuovo album degli Ulan Bator. Dal CPI al crowdfunding, passando per facebook, e il saper riconoscere o meno il talento del proprio paese, qualunque esso

Vent'anni di carriera sono lunghi, di conseguenza anche la chiacchierata tra Simone Stefanini e Amaury Cambuzat per l'uscita di "Enfrance Entrace", nuovo album degli Ulan Bator. E nelle tante risposte si dipana un percorso nato con il Consorzio Produttori Indipendenti e arrivato al crowdfunding; in
Vent'anni di carriera sono lunghi, di conseguenza anche la chiacchierata tra Simone Stefanini e Amaury Cambuzat per l'uscita di "Enfrance Entrace", nuovo album degli Ulan Bator. E nelle tante risposte si dipana un percorso nato con il Consorzio Produttori Indipendenti e arrivato al crowdfunding; in - Ulan Bator

Vent'anni di carriera sono lunghi, di conseguenza anche la chiacchierata tra Simone Stefanini e Amaury Cambuzat per l'uscita di "Enfrance Entrace", nuovo album degli Ulan Bator. E nelle tante risposte si dipana un percorso nato con il Consorzio Produttori Indipendenti e arrivato al crowdfunding; in mezzo c'è tutta la sua vita, e un'evoluzione di scrivere canzoni e intendere la musica e la politica. Compresi i "danni" fatti da facebook, e il saper riconoscere o meno il talento del proprio paese, qualunque esso sia.

Venti anni di storia. Primo tour americano, eccitazione, nuova formazione. E' stato un po' come tornare ragazzi alle prese con il primo album?
Esattamente. Diciamo che dal punto di vista creativo è stato proprio così, non ci siamo fissati nessun limite in fase di composizione. L'unica differenza è che la realtà della vita schiaccia, e a volte non ti permette di perderti in queste sensazioni, in questi dorati vagheggiamenti.
Non abbiamo un’etichetta o un management che si occupi di tutto (come in passato) e questo significa che abbiamo avuto a che fare direttamente con l'aspetto economico (per esempio, su come reperire i fondi per finanziare il disco). Nonostante ciò, sono felice di come è uscito il disco, spontaneo e autentico.  Per quanto riguarda il tour americano era da tanto che volevo portare gli Ulan Bator in America (dai tempi di “Ego:Echo”), e ho dovuto aspettare dieci anni per riuscire ad organizzare una tournée che avesse un senso. Il famigerato "sogno americano", che poi mi ha fatto capire che davvero tutto il mondo è paese. Abbiamo incontrato dinamiche e difficoltà che sono le stesse che riscontri qui in Europa. La cosa positiva è stata realizzare che il gruppo suscita lo stesso interesse anche oltreoceano. Abbiamo avuto tanta gente curiosa ed entusiasta ai nostri concerti, 15 date in 15 giorni. Penso che faremo uscire un live del concerto di Washington DC in edizione limitata a breve.

Cosa ti ha portato al cambio della formazione? Pro e contro del trovarsi a lavorare con persone completamente nuove?
Dopo “Tohu-bohu” e tutti i concerti che hanno preceduto l'album mi sono accorto che non volevo che gli Ulan Bator fossero una "rock-band", volevo ritrovare la freschezza iniziale. Gli anni passano ed è difficile restare con le stesse idee che hanno dato avvio a un qualcosa… Lavorare con queste persone mi ha dato novità. Volevo una band composta da musicisti con cui condividere la stessa umiltà e medesima visione della musica. Musicisti che sperimentano con passione ed orgoglio, ma pur sempre con umiltà. Nathalie Forget ad esempio ha accompagnato i Faust per alcune date ed è là che l'ho conosciuta e scoperto la diversità dell’Ondes Martentot, questo strumento assai particolare. Prima di registrare “En France/En Transe” è venuta a suonare a Parigi con noi (Faust); abbiamo pensato ad invitarla a provare anche con gli Ulan. Il risultato ci ha convinto al punto che abbiamo deciso di fare entrare Nathalie nella nuova line-up.

Ci sono tracce arricchite dalla voce di Nathalie, come la title track e "Ah Ham". La coralità sarà la nuova strada da seguire oppure si tratta di episodi isolati?
Nathalie è una grande lavoratrice, ha coraggio ed è anche una persona a cui piace mettersi in gioco. Mi ha aiutato tantissimo per questo disco, con l’Ondes Martenot ma anche con alcuni interventi vocali. Il testo in francese su “Jesus B.B.Q.” è suo ed è veramente potente. Finalmente mi sono trovato con un’artista nel gruppo con cui mi potevo confrontare di nuovo. Era questo il tipo di dinamica che portava avanti Ulan Bator all'epoca in cui c’era Olivier. Ha saputo poi mettere delle voci nei punti giusti. Senza voler essere protagonista. Sono felice del risultato e spero di riuscire a fare un altro album insieme.

Come sono rimasti i rapporti con Oliver Manchion, Egle Sommacal, Matteo Dainese e i vari componenti delle precedenti formazioni?
Ogni tanto Olivier si fa vivo, con Egle ci siamo sentiti un po’ di anni fa e con Matteo ultimamente ci chiamiamo spesso per farci due risate. Ci sono state delle tensioni con alcuni di loro in passato ma il tempo sistema tutto. Naturalmente, rimane difficile vederci visto che viviamo tutti in città diverse, ma questa è un’altra storia.

La chiave del nuovo album è l'improvvisazione. Evocate "Sister Ray" dal secondo album dei Velvet Underground. Lo stato di trance che dà il titolo all'album è dovuto a questo tipo di attitudine? Può darsi che mi sbagli, ma ho la sensazione che siano proprio i nuovi entrati ad averti portato in questa direzione.
Velvet Underground, credo sia uno dei miei gruppi preferiti (sorride, NdA). Sapevano creare e mischiare pop e sperimentazione, con il collante della scrittura di Lou Reed. Direi che ho proprio (consciamente) scelto dei musicisti con cui potevo giocare su quel terreno.
Per quanto riguarda il titolo dell’album, come per tanti dischi precedenti della band, volevo un nome speculare. "En France" perché il disco è stato registrato e concepito in Francia, come i tre primi Ulan Bator (fino a “Végétale”). "En Transe" invece per lo stato raggiunto da noi durante i tre concerti (Paris, Marseille e Chambéry) che son venuti dopo le registrazioni. Eravamo così eccitati di eseguire una scaletta nuova con una nuova formazione…

Episodi sperimentali come "Jesus B.B.Q.", personalmente tra i miei preferiti, sono un segnale forte di distanza tra "Enfrance Entranse" e alcuni capitoli precedenti che privilegiavano la forma canzone. E' una fase oppure il ritorno alle origini?
Per me rappresenta di più che un semplice ritorno alle origini. Come riprendere un quadro che non avevo terminato, ma con una maturità e persone accanto che mi permettono di andare oltre… oltre il disegno estetico di tanti anni fa. Sono una persona in continua ricerca. Voglio anche stupirmi, sorprendermi ed è per quello che gioco spesso slittando tra forma canzone e sperimentazione. Sono due componenti della mia musica, qualcosa che sento dentro. Va a periodi. Sarò sicuramente lunatico o a volte confuso nel modo di esprimermi (ride, NdA).

La storia degli Ulan Bator è varia e complessa, siete partiti con il noise più violento, a momenti pop, vedi “Nouvel Air”, per poi ritornare a mischiare le carte. Per quanto sia impossibile riassumere quasi ventanni di dischi, cosa si impara a passare da un genere all'altro?
Il pop è stata una scommessa con me stesso, ovvero vedere se ero capace di scrivere una canzone pop, ma alle mie regole. Credo di essermi avvicinato a quello che cercavo con un brano come "Pensées Massacre" ("Rodeo Massacre", 2005) o ancora con l'album "Nouvel Air" prodotto da Robin Guthrie (Cocteau Twins). Ma, se noti, è difficile trovare un brano al 100% sperimentale oppure al 100% pop nella discografia degli Ulan Bator. Voglio sempre lasciare la possibilità all'ascoltatore di una sua personale interpretazione, senza accontentarlo a tutti i costi.

Sinceramente, ci sono sono state delle scelte che hanno fruttato (a livello di vendite di dischi, di richieste di concerti, ecc ecc) che hanno funzionato meglio di altre? La vostra carriera è stata un lenta e naturale crescita o ci sono momenti in cui qualcosa è andato storto?
Alti e bassi direi. Fin dal inizio. Ho avuto sempre momenti fragili. Non è di certo il successo che mi ha portato avanti. Ci sono stati periodi più fortunati, ovviamente, ma non dipendeva dalla nostra proposta musicale. Per esempio sono convinto che questo nuovo album sia quello giusto al momento giusto ma, i tempi sono cambiati e quindi, molto probabilmente, farà più fatica a riscontrare un successo economico. Poi se guardi bene il mio percorso, è sempre andato storto. Ho sempre fatto il contrario di quello che il pubblico si aspettava. Sono pochi quelli che capiscono oggi un percorso che, per quanto mi riguarda, ritengo sincero e coerente. 

Cosa intendi per “quello giusto al momento giusto”?
Credo sia un disco “moderno” – ovvero che interpreti più profondamente l’attualità che viviamo –, e che, dunque, trovi il suo giusto ambito nel panorama internazionale. Contro corrente, diciamo, come può esserlo “The Seer” degli Swans, per esempio. Non è di certo un album “modaiolo”.

Avete vissuto il cambiamento di vent'anni di storia della musica indipendente italiana, dal Consorzio Produttori Indipendenti negli anni del tutto è possibile, al collasso e alla conseguente ripartenza dal basso, al free download, alle label fatte in casa e alle band che sanno fare 3 accordi ma hanno già l'ufficio stampa. Come la vedi?
Quando sono arrivati i social network vari sette anni fa, ho subito capito che sarebbe cambiato tutto. E’ difficile oggi per chi come me viene da un'altra epoca. Dovevo fare una scuola di marketing invece del conservatorio. Fare musica è diventato un lusso, un hobby per tanti. Io provo a sopravvivere ma anche questo lo sapevo già fin dal inizio. E come se ti fai un tatuaggio sulla faccia, devi prendere in considerazione prima le conseguenze. Il problema in Italia è che è tutto fondato sulle conoscenze e quindi se non stai al gioco rischi di rimare fuori. Io invece credo di più nel merito. Se sei bravo hai delle opportunità che dopo ti portano a quello che ti meriti. Non è più così e questo ha portato anche il pubblico a stancarsi e a frequentare di meno i concerti.

Scusami ma non ho capito come, a tuo avviso, l'arrivo dei social network sia la causa della scomparsa del riconoscimento del merito.
Tutti bravi, tutti capaci, tutti uguali... Per me non è affatto così. L'arte, la musica non è un gioco e nemmeno una passeggiata. Scrivere, la stessa cosa. I social network sono dei giochi elettronici che guidano oggi una parte del panorama artistico mondiale. Se passi ore a giocare puoi vincere la partita online. Non possiamo ridurre le scelte artistiche, la vita e la bravura di artisti veri, a questo.

In Italia sappiamo riconoscere il merito?
Come avviene in tutto il mondo, credo di sì. Almeno una volta era così. Di certo oggi puoi comprare tutto, quindi, il merito è una questione sempre più opinabile.

Ripeteresti l'esperienza del crowdfunding con la quale avete prodotto questo album?
Si ma con proposte diverse. Per l'ultimo album abbiamo proposto magliette, CD digipak, vinili, spille, digital cards, ecc. Questi prodotti hanno un costo elevato per la fabbricazione e quindi nonostante ci siamo riusciti con il crowdfunding, abbiamo con questi fondi potuto pagare soltanto la metà della spesa. Va benissimo così. Trovo che sia una bella soluzione per autofinanziare progetti e avvicinarsi al proprio pubblico. 

Vivi in Italia da quanto? Ti senti ancora un Francese all'estero? Perché hai deciso di vivere qui?
"Vivo" (mi sposto e me ne sono andato spesso) in Italia dal 1999… Prima base a Napoli, poi Milano e oggi in Toscana. Amo l'Italia e mi sento oggi per metà italiano. Mi fa strano dirlo ma e così. Non c'è solo la musica e quindi trovo tantissime cose di oggi o del passato che adoro qui… Turista per sempre (ride, NdA). Così mi sento. Questo mi permette di apprezzare tante cose dell’Italia che magari chi vive qui difficilmente nota.

Si suona bene in Italia?
Per Ulan Bator la riposta oggi è: no. Il gruppo rappresenta ora un costo maggiore rispetto a prima. Viviamo tutti in nazioni diverse (Italia, Francia, Germania) e questo ci impedisce di suonare in qualsiasi tipo di situazione. Abbiamo delle spese maggiori per gli spostamenti e quindi non ci possiamo permettere di suonare per andarci sotto. Sto già pensando, infatti, a portare avanti il mio progetto solista: Acid Cobra col quale ho già fatto uscire più dischi e che rappresenta un costo minore per i locali.

Ma più in generale? I locali, il pubblico... Ci sono pareri discordanti: in molti si lamentano ma c'è anche chi invece dice che non siamo messi così male se confrontati all'Europa.
Rispetto alla Francia, per esempio, mancano i fondi pubblici culturali. E’ difficile per tanti locali permettersi di proporre gruppi validi tutte le sere, ma sono convinto che il pubblico ci sia.
Direi che, a livello di pubblico e di interesse per la musica alternativa, l'Italia dia ancora speranze. Ma i locali fanno fatica a proporre gruppi o artisti validi. Vogliono spesso spendere poco piuttosto che programmare artisti di qualità che (giustamente) chiedono cachet più alti. Se ci fossero dei fondi pubblici, magari questi stessi locali investirebbero più spesso sulla qualità, che sulla quantità. Capisco che non sia facile per nessuno.

Qual è il nome italiano più innovativo degli ultimi 5 anni? Quello che davvero ha posto una base (seppur minuscola) per un nuovo tipo musica, che sia forma canzone, sperimentazione o cos'altro?
Stiamo lontani dai tempi di Battiato oppure degli Area con Demetrio Stratos… Da tanto che non sento qualcosa di nuovo, di veramente e obiettivamente innovativo da queste parti. Mi spiace rispondere così ma la risposta sarebbe stata la stessa se rispondevo a un giornalista americano riguardo al suo paese… Invece ci sono molte cose interessanti che promettono e danno speranza in un futuro per la musica italiana ma non solo per l'Italia. Con la mia piccola etichetta, Acid Cobra Records, ho spinto realtà in cui credo tutt'ora come: Boxeur the Coeur, Herself, Oslo Tapes, TV Lumière ma purtroppo manca una scena, forse una posizione politica anche…? La musica non basta più. Bisogna essere attivi e in gruppo.

Cosa intendi per "la musica non basta più"? Sembrerà una domanda ingenua ma non è facile capire, quando musica e politica vengono messe insieme, di cosa si stia realmente parlando. Perchè siamo consapevoli, immagino, che l'Italia abbia una lunga esperienza di “band politicizzate” - dai Modena City Ramblers, ai molti che lanciano slogan ai concerti del primo maggio a Roma – il cui impatto è pressochè nullo sulla vita delle persone, non emozionano, non tramettono nulla, vanno a malapena a consolidare un pubblico costruito 20 anni fa o ad alimentare qualche passione da liceo. Non cambiano davvero le cose, non spostano energie, quindi non posso considerarle politiche. Cos'è per te La Canzone Politica? Qual è una band il cui percorso può dirsi politico? Fammi un esempio, possibilmente recente.
Essere attivi politicamente per me significa usare la testa per poter scegliere. Non farsi prendere dalla propaganda diffusa dai media (la Tv per esempio), avere coscienza che la musica esiste fuori da MTV, fuori dalle proposte mainstream... Che avere 10000 amici su facebook non significa nulla. Come per il cibo, esistono anche prodotti buoni e sani, non solamente la merda che ci vendono nei supermercati. Stessa cosa per tutto. Boicottare a volte è anche un atto politico per manifestare il proprio stare al mondo, la propria coscienza critica. Il cinema non è esclusivamente quello che propone Hollywood nelle multi-sala. Non serve più dire “basta, fa schifo”. Ognuno può combattere oggi contro la volgarizzaszone, semplicemente rifiutandola. Recuperare il dissenso. Non è poco. Viva il politicamente scorretto. Come artista, non avere paura di metterci 20 anni usando l'onestà, il “merito” e fare la sacrosanta gavetta. Non ho nessun slogan precostituito da lanciare, credo nella coscienza e nell'autogestione.

Fare il musicista è sempre il miglior mestiere del mondo?
Lo è mai stato? (ride, NdA). E’ quando ti senti "artista" che iniziano i problemi. Seriamente, per me esprimersi e comunicare facendo arte (dipingere, suonare, creare…) rimane la cosa più bella al mondo. Il problema è la confusione che si crea spesso con il guadagno. E’ difficile oggi sopravvivere di musica, quindi se uno ci vuole campare sconsiglierei questa strada. Credo sia sempre stato così, tranne dal dopo guerra fino al 1990. Stiamo quindi parlando soltanto di 50 anni di storia di capitalismo e Arte. Non vogliamo più guerre quindi, sarà così per sempre (ride, NdA).

Quindi i tuoi progetti per il futuro?
Portare questo nuovo album dal vivo il più possibile e continuare a suonare, scrivere, dipingere, senza preoccuparmi più di tanto di come andrà a finire.

Una curiosità: se la psicopolizia orweliana dovesse arrestarti per un reato legato al pensiero commesso in questi anni di carriera, quale sarebbe?
Avere pensato che Ulan Bator potesse diventare la migliore band al mondo (ride, NdA).

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L'articolo Ulan Bator - Una vita tranquilla di Simone Stefanini è apparso su Rockit.it il 2013-07-29 18:46:22

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