Delicatoni è come col fuoco dentro al bosco. Con la frutta attorno al tavolo. Con le voci e i tamburi in mezzo a un campo. Con gli occhiali da sole e la voce alta in una strada trafficata. Di corsa di notte in città. A una festa di amici di amici. È mettersi una camicia per andare a fare colazione, la mattina tardi, in un piccolo centro storico; chiedere scusa per aver interrotto una persona nel mezzo di un discorso, e invitarla a proseguire. Delicatoni è anche non svegliare il proprio gatto mentre dorme. O un’aperitivo, seduti su sedie di plastica all’ombra di un grosso albero. Oppure una passeggiata silenziosa nel bosco: vivere un momento solitario assieme ad altre persone.
Delicatoni è ogni volta molto dolce. È notare quanto siamo apprensivi e genuinamente preoccupati per l'incolumità emotiva e fisica di chi e di ciò che ci circonda. È chiedersi spesso come stiamo e ascoltarsi sinceramente. Sapendo dirsi la verità senza litigare.
Incontro i Delicatoni nel maggio del 2021, come fosse destino. In un momento, coraggiosi, a caso, dopo un rapido ed empatico scambio di messaggi (le cui frasi rispondevano a nome di Giorgio Manzardo) sui social, ci eravamo organizzati. E ci eravamo visti. Volevo conoscerli dal vero chissà perché; scambiare due chiacchiere, e capire live come suonasse la cosa. In quel periodo ero incappata e ascoltavo in loop Margherita, il loro primo EP autoprodotto. Sei tracce belle tra il jazz, l’elettronica e il soul, riempite da una voce rosea, soffusa. "Ho letto che siete di Vicenza – in quei giorni io ero in gita a Cortina, sempre Veneto, zero chic – riusciamo a beccarci da queste parti?", gli avevo chiesto. Fu così che ci conoscemmo, in una giornata di primavera tra i suoni e la maestosità delle Dolomiti.
Poi, è sfuggito un anno. Anche di più. Di quell’intervista da sbobinare si sono perse le tracce, finora. La frenesia del lavoro; prima il loro poi il mio procrastinare; l’attesa del disco omonimo di debutto, Delicatoni, e una serie di fatti mi hanno trascinata a oggi con quest’articolo – abbiate pietà. Ma il ricordo di quella giornata di maggio è ancora vivido e si ravvìva guardando le foto che abbiamo di quel dì: un ottimo pranzo, un incontro profondo.
Uno scambio magico e puro di musica e parole. Per qualche motivo premonitore di un progetto che ai tempi era appena nato, e quest’anno è cresciuto e sta diventando grande. Raccogliendo piccoli importanti passi verso il futuro costruito su un EP; l'uscita di due brani (Domenica Berici e Basilico); e il disco di debutto. Passando dagli ultimi live (per Toilet Paper Magazine durante la Design Week di Milano e un mini tour che si è concluso qualche giorno fa, e che riprenderà ad ottobre, ndr). Io, fiera e felice, attendo di vedervi ancora e riascoltarvi, ragà.
Delicatoni sono Antonio Bettini (voce e chitarra), 25 anni, nato e cresciuto a Vicenza. La famiglia paterna è romagnola e quella materna è cilena: "Mia madre mi ha dato l'opportunità di crescere con la consapevolezza del pianeta Terra, non di una città”, dice. Poi, c’è Giorgio Manzardo al sax, 22 anni, nato a Thiene (VI), ora vive tra Castelfranco Veneto, Lugo di Vicenza e Vicenza. Nella vita suona, scrive, ricerca e prova a vivere di musica.
Claudio Murru (voci e tastiera), 30 anni, nato e cresciuto a Mandas, in Sardegna. Dopo essersi laureato in filosofia all'università di Cagliari si è trasferito a Castelfranco Veneto per studiare composizione in conservatorio. Infine, il quarto: Ian Cibic (synth e tastiere), 22 anni, nato a Milano, cresciuto a Vicenza, vive a Londra da tre anni, laureato in Media and Communication alla Goldsmiths, nella speranza di entrare nel settore dell'animazione e della musica.
Chi studia al conservatorio, chi ci ha studiato, chi è autodidatta, chi figlio d'arte e poi ci è rimasto sotto. Tutti e quattro sono impastati di musica: Giorgio sta finendo il triennio in sassofono jazz al conservatorio di Castelfranco Veneto: "Ho iniziato con la classica, ma raga, col sax è tesa. Cioè, figo, ma teso. Da sempre ho suonato dal vivo, da bocia (bambino, ragazzo, ndr) ho fondato assieme a due amici i WeFunkYou con cui suonavamo in giro per l’alto vicentino a botte di mini-arrangiamenti funk e qualche pezzo nostro. Poi, con gli Sticky Brain circa sei anni di live e due dischi", racconta. Figata.
Antonio è autodidatta, ha abbandonato la scuola perché "puzzava di vecchio", e se la ride. Allora ha rimediato un home studio e una libreria nella casa in cui vive, per dedicarsi alla ricerca sonora e espressiva della musica e della voce. "Suono la chitarra, le tastiere e sono un Ableton user. La voce è il mio primo strumento – dice – per quattro anni ho suonato solista chitarra e voce nei baretti di città. Nessuna cover, scrivevo sempre nuovi brani per non ripetermi mai. Così, ho cominciato a scrivere a 17 anni e da allora scrivo tutto ciò che è importante per me".
Claudio, invece, si racconta così: "Il primo approccio alla musica l'ho avuto alle medie, grazie al mio prof. Ci dava in mano la chitarra ci insegnava come fare a suonarla. Negli anni ho preso lezioni di strumento privatamente, facevo parte di un progetto stoner dove cantavo e suonavo, ci chiamavamo i Soda Yells. Poi, sono entrato in conservatorio, anche se la mia formazione artistica (più in generale) si è sviluppata da autodidatta, rubando e facendo mie le impressioni artistiche che mi arrivavano dalla famiglia, dalla scuola e dall'ambiente naturale in cui sono cresciuto. Lo studio è comunque stato fondamentale: il conservatorio ha dato ordine alle intuizioni avute negli anni e ha delineato i contorni della mia identità".
Ian, a proposito di papà, dice: "Si chiama Aldo Cibic, è un designer. Mi ispira da sempre a perseguire un’estetica giocosa e al contempo elegante, che emana vitalità e affetto", dice. Dopo il corso musicale alle scuole medie e un paio d’anni di lezioni di pianoforte si è dedicato da autodidatta alla produzione di musica elettronica usando synth, voci e drum machine. Poi, ha avviato Mogoloko e Telebaby (due progetti di musica elettronica e pop, ndr) e il progetto solista di bedroom pop Ian Cibic. Nel 2019 si è trasferito a Londra per intraprendere gli studi universitari alla Goldsmiths University: "Qui ho iniziato a creare animazioni, nelle quali la passione per la musica, la ricerca accademica e l’arte figurativa possono coesistere a rafforzarsi l’un l’altra", spiega.
Prima di diventare Delicatoni hanno dovuto capire se si volevano bene, racconta Antonio: "Ricordo che la prima cosa che Giorgio mi disse dietro a una coca-cola ghiacciata delle tre del pomeriggio, quando più o meno tutti ci conoscevamo già per vari e fortuiti motivi, fu: 'Andiamo piano, prima ci conosciamo e scopriamo se ci vogliamo bene, poi possiamo collaborare assieme'". Fortunatamente ci stiamo simpatici, scherzano: "C'è voluto tempo, curiosità e importanza per dare forma ai Delicatoni. Con gli anni, alla fine, un repertorio è nato. Attraverso un processo naturale", com'è scritto per quattro anime così affini.
In pratica Antonio e Ian si conoscono dai tempi di scuola, a Vicenza: "Alle medie venivo spesso buttato fuori dalla classe e un giorno finii in quella di Ian, di due anni più giovane di me", ricorda. Ma solo tra il 2016 e il 2017 iniziano a collaborare, nel contesto di altri progetti musicali. Dopo aver prodotto alcuni pezzi insieme (come Mela Dai da Simple Yawn Songs), decidono di dare vita a Delicatoni.
Giorgio ("essere umano curiossissimo" dagli occhi vispi, ndr) si unisce nel 2020, quando un complimento sui social a Ian (per il suo progetto Mogoloko) si trasforma in una jam session a casa sua. Erano loro due, e Antonio: "Avevamo percepito immediatamente una perfetta armonia tra i nostri suoni e le nostre personalità"; dicono.
In seguito al rilascio di Margherita (nel 2020), si aggiunge anche Claudio ("essere umano sardo" con la barba folta e un'aria saggia, ndr). Abita nello stesso edificio di Giorgio, a Castelfranco: "La sua profonda conoscenza musicale ha arricchito la sonorità dei Delicatoni", riconosce Ian. Con originali arrangiamenti per archi e tocchi di chitarra elettrica che portano ulteriore profondità alle tracce.
Così arriviamo a oggi, al 2022. La musica di Delicatoni è sicuramente cambiata rispetto al primo EP: "Abbiamo aggiunto componenti che ci interessavano e incuriosivano, tipo un trio d’archi e una sezione ritmica non elettronica (batteria, percussioni e basso). Le sonorità sono meno elettroniche e più umane", dicono i raga. Tuttavia, lo stile vaporoso, rilassante, ma movimentato che contraddistingue il progetto è rimasto.
Come fosse impossibile staccarsi da quel mondo lì: "Vero, piuttosto abbiamo cercato di riprodurre i suoni nati dalla composizione e dagli strumenti elettronici (di cui oggi siamo tutti figli e nipoti) con gli strumenti acustici o elettrici", dicono. Una sorta di processo al contrario: "Essendo cresciuti in un’era in cui la musica e la composizione elettronica sono la base, ci è venuto spontaneo provare a riprodurre i suoni nelle nostre teste con degli strumenti tradizionali", specificano.
All'inizio di questo papiro scrivevo che nel tragitto di due anni il progetto è cresciuto, si è ampliato. Mantenendo un nucleo centrale – i nostri quattro amici –, ma arricchendosi e collaborando con l'arte di altri musicisti, fino a salire in dieci sul palco, durante i live: "Lavorare con altre persone è sempre produttivo, concreto. La musica esce da più mani che si uniscono al servizio dell’opera, nello stesso momento, nello stesso luogo, è tutto".
L’idea di ampliare l’organico è nata in particolare dalla progettazione del concerto dal vivo: "Condividere il palco con tante altre persone ci elettrizza e con i live vogliamo riportare on-stage il senso di comunità che la musica crea. Un concetto che secondo noi sì è perso negli ultimi anni di mainstream e, soprattutto, con l’avvento della pandemia", dicono i Delicatoni.
Ma veniamo al nome e al concetto di "delicatezza", che è parecchio interessante: "Delicatoni perché abbiamo sentito il bisogno di dare un nome a un modo di pensare, di relazionarsi e di agire nel mondo che è integrato alla nostra musica. Significa perdersi nella sensualità e nella vitalità delle cose. Significa comprendere l’ego, l’individualità e abbandonare le certezze per dare spazio alle forze naturali e culturali che ci circondano, che ci muovono o che ci bloccano. Il nostro progetto tenta di prendere coscienza e interpretare queste situazioni delicate con uno spirito amorevole, ecologico, gioioso e collettivo", spiega Ian. E il post, muto.
Claudio aggiunge: "Personalmente trovo sia un nome che si oppone in maniera costruttiva all'estetica machista spesso presente nel mercato musicale, e più in generale alla frettolosità e aggressività che negli ultimi anni hanno influenzato i dibattiti sociopolitici". Poi, arriva Antonio: "In adolescenza, per me la ricerca della delicatezza è stata una necessità. Ancora oggi mi è fondamentale ricordare di essere delicato. Con me stesso, e con gli altri".
"Delicatoni anche perché, personalmente, non ho avuto molte occasioni di parlare dei miei sentimenti con i miei amici durante la pubertà. E credo di averne sofferto; che questa chiusura mi abbia fatto credere, per alcuni anni, che essere uomo significhi essere duro, sicuro, forte, sempre grande. In Delicatoni ho trovato un safe space per essere vulnerabile. Come una famiglia".
Da questa prospettiva la musica stessa (sicuramente la loro), è delicata. Ma è anche: "Popolare, semplice, sincera", come dice Antonio. "È anche molto eterogenea e in qualche modo inclusiva", per Claudio. "Viva, magica, misteriosa, strana", dice Ian: "La musica ha una forza, un'ambiguità, emana affetto, si insidia nelle persone, altera la percezione dello spazio e del tempo; offre l’opportunità di essere creativi, danzando, cantando, sentendo, pensando. Così come l’arte in generale, è anche ecologica. Perché offre l’opportunità di sintonizzarsi con il non-umano e di allinearsi con una realtà che è sempre incerta, instabile e in movimento".
Infine, altro bel filosofeggiare: "La musica è delicata ed è anche esplicita. Nell’annunciare un senso di distacco dal pensiero a priori, dai preconcetti, e quindi si pone con delicatezza verso la fragilità dell’espressione sincera. Per essere sinceri bisogna avere cura del processo, attenzione a non rompere il sottile collegamento tra le nostre dita e quello che ancora non conosciamo, quello che non esiste", continua Giorgio.
Il disco di debutto è omonimo (di cui Leonardo de Vito ha realizzato la cover). Jazz, soul, elettronica, psych-pop, ma anche musica dance. Nove tracce sull'abbandono dell'individualità egotica e l'apertura verso l'altro, verso i propri sentimenti e verso la collettività, in pieno mood Delicatoni: "Quel disco siamo noi. Ambizione, burla, passione, speranza, nostalgia, riflessione, danza, calore primordiale ed evoluzione. Come a dire: ci stiamo togliendo i vestiti, ma non per fare l'amore e basta, anche per essere più umani".
Un difetto di Delicatoni? Il fatto che sia il primo, si trovano d'accordo: "Già non lo ascolto più io. Amo suonarlo, ma sono già andato avanti. È una presentazione. Sento che lascia in sospeso la conversazione, e restituisca un'immagine parziale di quello che facciamo e continuiamo a scrivere".
L'hanno registrato soprattutto a Il Baito Riprese Audio di Elia Guglielmi. Uno studio ai piedi dell'altopiano di Asiago, dove la luce è naturale e la natura incombente: "Meglio qui che negli studios troppo urbani, dove c'è solo luce artificiale e cemento", sottolinea Antonio. Lì si è avverato questo, scherza Giorgio: "Cosa succede se metti quattro fagioli e dieci fave dentro uno studio di registrazione per una settimana? Immagina, è stato un delirio; le conversazioni erano: 'Oh raga! Ma se lo facessimo così?'; 'Vecchio sì, ci sta da Dio, cambiamo'; 'No, aspé raga secondo me è solo perché è diverso che gasa'; 'Urca effettivamente anche prima era figo'; 'Vabbè oh è una bomba'", e ridono.
Poi, mi allontano per registrare il video arruffato che trovate qui sopra. Chissà quando uscirà il loro prossimo disco – fanno fatica a trovarsi perché sono sempre sparsi in giro, penso. Ma sono in gamba, curiosi, e hanno tanti amici e amiche talentuose. So che faranno strada. A ottobre dovrò andare a una delle loro date, per forza. Nel mentre Giorgio, Antonio, Claudio e Ian continuano a suonare, a modo loro, sul prato verde accecante che li circonda. Sullo sfondo, le Dolomiti. Di sottofondo, la musica dei Delicatoni. E tutto sembra riprendere senso.
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L'articolo Vulnerabili, jazz e Delicatoni di Claudia Mazziotta è apparso su Rockit.it il 2022-07-20 17:15:00
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