In principio fu "Eighties Colours", coloratissimo volume della Coniglio Editore uscito nel 2010 in cui Roberto Calabrò - giornalista dell'Espresso e di Blow Up - ricostruiva la storia degli anni Ottanta garage-psichedelici italiani. Ne usciva, fino all'ultimo dettaglio, un mondo musicale sommerso e per molti versi oggi dimenticato, che ha rivisto la luce grazie appunto al libro e ora alla compilation "Welcome back to the Eighties Colours" (la ascoltate qui), incisa da molti degli stessi protagonisti di quella scena (tra questi The Act, No Strange, Umberto Palazzo e Amerigo Verardi, Effervescent Elephants, Strange Flowers e molti altri). Abbiamo intervistato Calabrò, in qualità di ideatore (insieme a Lodovico Ellena) e portavoce di questa rimpatriata rock.
Roberto, vedi questo disco come come una prosecuzione del tuo libro, oppure lo inserisci direttamente nel solco dei due volumi originali della compilation "Eighties Colours", che nell'85 e nell'87 diedero la prima testimonianza di questa scena?
Lo vedo come prosecuzione di entrambi i progetti. Del libro innanzitutto perché senza “Eighties Colours. Garage, beat e psichedelia nell’Italia degli anni Ottanta” tutte queste energie non si sarebbero smosse, molti gruppi presenti nella compilation non si sarebbero riuniti e probabilmente questo disco non sarebbe mai uscito. L’ondata di entusiasmo e interesse generata dal libro e dalle relative presentazioni/happening che ne sono seguite è stata semplicemente travolgente. Segno che l’intuizione di volere nuovamente accedere i riflettori su quel periodo del nostro underground era giusta, che c’era un interesse che covava sotto una coltre di oblio. I nuovi dischi dei gruppi della scena neo-Sixties (Sick Rose, No Strange, Effervescent Elephants, Technicolour Dream, Strange Flowers, Avvoltoi, ecc.) e le ristampe uscite in questi due-tre anni hanno contribuito ad allargare l’attenzione su quelle band, su quella scena.
Ovviamente c’è un filo rosso con le due compilation ideate, rispettivamente nel 1985 e 1987, da Claudio Sorge per la sua Electric Eye: sin dal titolo e dalla copertina che richiama la prima di quei due leggendari volumi. Ma non si tratta di un’operazione retrò o nostalgica come ha erroneamente interpretato qualcuno: c’è la gioia e la consapevolezza di essere qui e ora, a dimostrazione di una militanza underground e di una passione bruciante per un certo tipo di attitudine, di sonorità e di cultura che il tempo non ha spento.
Poche di queste band sono scampate all'oblio, eppure molte continuano a suonare dal vivo e anche, come i Sick Rose e i No Strange recentemente, a produrre dischi.
Sono passati tanti anni e molte cose sono cambiate. Come dicevo prima l’elemento che unisce tutti questi gruppi è la passione. Chi ha smesso di suonare ha comunque proseguito un’attività artistica o è sempre rimasto nel giro come appassionato. Molti però hanno proseguito sia con la sigla originale, sia con altri progetti. La cosa bella è che alcuni gruppi come i Sick Rose, i No Strange o i Technicolour Dream si erano già rimessi a suonare qualche anno prima che io iniziassi a scrivere il libro, altri non avevano mai smesso, altri si sono riuniti grosso modo nello stesso periodo (vedi i Liars o gli Effervescent Elephants), altri ancora hanno deciso di riformare i vecchi gruppi grazie all’entusiasmo generato dall’uscita del libro e dagli incontri che ne sono seguiti: penso ai Vegetable Men che hanno suonato assieme per la prima volta dopo vent’anni proprio in occasione della presentazione del libro a Pescara. Ai Party Kids, ai Peter Sellers & The Hollywood Party, ai Lager o agli Sleeves.
Negli anni '80 diversi giornalisti musicali, in particolare Federico Guglielmi del Mucchio e Claudio Sorge di Rumore, si erano calati nella parte dei produttori per seguire in prima persona le band di questa scena. Con "Welcome back to the Eighties Colours" (che esce per Psych Out) tu in qualche modo ne segui le orme?
No, perché il disco non l’ho prodotto io ma Vico Ellena, che ha ideato questa compilation/tributo incrociato, e la Psych Out di Cosimino Pecere, piccola ma attivissima etichetta indipendente che da oltre quindici anni si occupa di sonorità legate alla psichedelia e al garage. Io ho semplicemente curato il coordinamento dei gruppi e dei brani in scaletta, oltre a scrivere le note di copertina. Del resto, quando Vico decise di coinvolgermi in questo progetto lo fece anche in virtù del fatto che, grazie al lavoro svolto per il libro, ero in contatto con tutti i gruppi della scena neo-Sixties italiana…
Come mai secondo te il modello produttivo dei vari Sorge, Guglielmi, ecc. non aveva funzionato?
Per un motivo fondamentale. La mancanza di soldi e di strutture adeguate. Erano dischi pubblicati nel novanta percento dei casi da etichette che, in realtà, non esistevano e che erano il frutto della passione e del lavoro di personaggi come Sorge e Guglielmi che facevano un altro mestiere. E anche laddove c’erano delle vere etichette (Toast, Crazy Mannequin, Mantra, Cobra, ecc.) si trattava sempre e comunque di strutture underground con budget risicati che non avevano la possibilità di distribuire e promuovere questi gruppi al di fuori dai confini nazionali, dove – proprio per il tipo di proposta – avrebbero avuto qualche chance in più e dei mercati sicuramente più aperti e ricettivi del nostro. Del resto si è trattato di un fenomeno underground. Non poteva essere altrimenti. O ti immagini i Sick Rose a Sanremo o i Not Moving sulla copertina di “Tutto Musica&Spettacolo”?
La struttura della compilation, che prevede le varie formazioni garage e psichedeliche attive negli anni Ottanta coverizzarsi a vicenda con un brano e una reinterpretazione, è molto particolare e consente di mantenere un suono ben ancorato alle origini del movimento. Pensi che coinvolgendo, al contrario, band delle nuove generazioni si sarebbe perso l'intento del tributo?
No, credo semplicemente che si sarebbe trattato di un progetto diverso. E non è detto che questa non sia un buono spunto da realizzare in futuro. Solo che l’idea di Vico Ellena, che mi sono sentito di condividere sin dal primo momento, è stata: “Visto che questi gruppi suonano ancora e si sentono parte di una scena iniziata 25 anni fa, perché non proponiamo loro un tributo incrociato?”. E’ stato anche un modo di stringere ancor di più rapporti non solo musicali, ma anche umani, personali. E poi, devo dire, i risultati artistici mi soddisfano molto. Credo che la qualità dei brani contenuti in “Welcome Back To The Eighties Colours” sia piuttosto alta, che ogni gruppo abbia interpretato a suo modo (e non semplicemente “coverizzato”) i brani altrui. Trovo alcune prove assolutamente sorprendenti. E la cosa che più mi piace è che il disco suoni come un vero e proprio album e non come una compilation di gruppi di varia estrazione.
Ci sono artisti della scena Eighties che avete contattato ma hanno scelto di non partecipare al progetto?
Giusto due o tre. A parte un caso in cui il rifiuto è stato netto e motivato (gli Steeplejack), gli altri gruppi che avremmo voluto avere su “Welcome Back”, come Sick Rose e Avvoltoi, non ce l’hanno fatta per motivi legati ai loro impegni che non si incastravano con i tempi di uscita del disco.
Da alcuni critici siete stati tacciati di revivalismo fine a se stesso. Blow Up addirittura vi ha accusato di "cantarvela e suonarvela da soli". Tu che ne pensi?
Rispetto l’opinione di chiunque. Anche di Fabio Polvani di Blow Up (che, per inciso, è la rivista per cui io stesso scrivo), ma non mi sento di condividerne la tesi. Perché se è vero che una piccola ma innegabile componente nostalgica c’è, è altrettanto vero che lo spirito del progetto è tutt’altro: ovvero celebrare la magia di un momento, questo, in cui le band garage, beat e psichedeliche italiane sono nuovamente in attività e, devo dire, anche in splendida forma!
C'è da dire che la compilation è davvero composita, spazia dai raga dei No Strange e Double Deck Five al beat revival dei Barbieri (con la bellissima "Puoi girare il mondo con chi vuoi", degli Avvoltoi), al garage puro di The Act e Lager. Quali sono secondo te i brani che riportano più fedelmente all'epoca degli Eighties Colours (1985-1989), in cui tu - per la cronaca - eri adolescente o poco più?
Più che un suono, secondo me, i 19 brani presenti in scaletta fanno rivivere i “colori” di quel periodo, la gioia di essere parte di un movimento underground che rifiutava il nero del dark e i suoni plastificati del mainstream per dare nuova vita alla magia del rock’n’roll degli anni Sessanta. Quello spirito, oltre che quei suoni, rivive perfettamente in questo disco.
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L'articolo Welcome back to the Eighties Colours - Intervista a Roberto Calabrò di Silvio Bernardi è apparso su Rockit.it il 2013-03-21 16:07:46
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