The Winstons sono Enrico Gabrielli, Roberto Dell'Era e Lino Gitto. Basso, batteria, tastiere e voci dedite alla psichedelia e al culto dell’anarchia ancestrale. Un trio di fuoriclasse, con quattro pubblicazioni in solo due anni, di quelli che quando salgono sul palco potranno anche non piacerti, ma non puoi permetterti di criticare come suonano. Per il 50° aniversario di "The Piper At The Gates Of Dawn" dei Pink Floyd hanno suonato al BIKO di Milano insieme a Marco Fasolo (Jennifer Gentle) e Alberto Ferrari (Verdena), in un live-evento omaggio al genio di Syd Barrett. "Enro, Rob e Linnon Winstons" porteranno il live in pochissime date esclusive, poi torneranno ai loro progetti individuali (Calibro 35, Afterhours, Lato B, The Rock’n’Roll Circus Experience). Lino "Linnon" Gitto, batterista del trio, ci ha raccontato la loro ultima follia durante il soundcheck all'Apollo Club di Milano. (Grazie a Niska Tognon per le foto)
Quest'anno è il 50° anniversario di "The Piper At The Gates Of Dawn", da molti considerato il punto più alto toccato dal genio di Syd Barret e la sua opera più completa. Al di là degli omaggi da fan e appassioanti, al brindisi con gli amici davanti al giradischi e all'ascolto privato e un po' commosso, come avete deciso di celebrare l'evento con un live?
Ho iniziato a pensarci questa estate. Visto che sarebbe stato il cinquantesimo anniversario mi sono detto "perché non farlo con la band". Avevamo già fatto “Pictures at an exhibition” di Modest Musorgskij con Esecutori di metallo su carta, che tra l’altro è uscito in vinile il 10 dicembre, ed era un periodo in cui ci stavamo mettendo in gioco da un punto di vista artistico. Per fare "The Piper At The Gates Of Dawn" ho pensato subito a Marco Fasolo perché lui è stato il portavoce di quella vena psichedelica in Italia nei primi 2000. Ammetto che non lo conoscevo di persona, lui sta a Brescia, conoscevo solo i suoi lavori, ed è stato subito entusiasta. Poi abbiamo chiesto ad Alberto dei Verdena, lui è una rockstar vera ma con un'umiltà enorme, si è gasato immediatamente.
Non credo fosse l'unico. Il clima che si vede dal live è proprio quello da sala prove, siete tutti dei grandissimi musicisti ma sul palco si vede che vi divertite. Non è una restituzione liturgica, reverenziale, è un live certo consapevole ma anche e soprattutto molto divertente.
Sì, è quasi una festa tra amici che si divertono a suonare insieme. Noi Winstons siamo proprio così, non abbiamo un leader, abbiamo la fortuna di trovarci bene insieme. Secondo me siamo quasi gli unici in Italia non solo a non avere un frontman, ma senza nessuna voglia di prevalere sugli altri, e questo vale anche per Alberto e Marco. Quindi sì, ci stavamo confrontando con un album enorme ma ci stavamo divertendo mentre lo facevamo.
Oltre all'anniversario e al nome, oltre la fama dell'album e di Syd Barrett, perchè proprio "The Piper At The Gates Of Dawn"? Cosa volevate fare dire ancora all'album dopo cinquant'anni?
È un disco che ha 50 anni è vero ma è ancora attuale, ha davvero tante cose ancora dentro che abbiamo scoperto solo recentemente, ed ogni tanto ci trovo qualcosa di nuovo ancora oggi. I Pink Floyd suonavano insieme soltanto da un paio d’anni, quando vedi creare quel tipo di sound lì dopo solo due anni ti chiedi “Ma com’è possibile?”. Quando provavamo il disco ci ripetevamo di continuo "questo era un genio.." , poi se pensi che era il ’67. Non erano tecnici, o dei virtuosi, erano degli enormi geni creativi. Barrett era un pittore, era un gruppo intelligente e lui usava la sua vena creativa per guidare gli altri verso i suoi mondi. Barrett aveva una capacità compositiva infinita, finché poi non è successo quel che successo. Erano amici come noi, Roger Waters era il suo migliore amico e lo hanno abbandonato, c’è quella storia per cui da un giorno all’altro non sono più passati a prenderlo. Non sto accusando la band, alla fine Syd Barrett non c’era già più, era diventato un’altra persona, si era già spento. E nemmeno i Pink Floyd sono più stati gli stessi. All’inizio, subito dopo Barrett, erano mediocri e ci hanno messo un po’ a riprendersi. È stato Roger Waters a guidare la band e tutta la produzione, ma la magia di questo disco non c’è più stata.
Non deve essere stato facile, alla luce di queste considerazioni, confrontarsi con l'album. Per qualcun'altro sarebbe potuto tranquillamente essere una missione suicida, voi invece ne avete dato un'ottima resa, te lo dico sinceramente. Qual'è stata la scelta sull'approccio dei brani, "cerchiamo di fare le cose a modo nostro" o "se non puoi aggiunere nulla all'originale non cambiarla"?
Decisamente la seconda, abbiamo cercato di essere il più fedele possibile all'originale. Abbiamo fatto tutto a orecchio, conoscevamo i brani e abbiamo ricostruito le parti. Ovviamente ognuno di noi ha lavorato molto sulle sue parti a casa, abbiamo fatto bene i compiti, così quando siamo andati a suonare siamo riusciti a creare qualcosa di molto fedele in poco tempo. Abbiamo fatto pochissime prove, davvero. Enrico ha scritto tutto su pentagramma, potrebbe venderli. Alcune parti un po' complesse abbiamo dovuto improvvisarle, cercando di mantenere lo spirito. Prendi ad esempio "Pow R. Toc H.", quella parte è impossibile da fare uguale, devi essere un vero nerd bastardo per farla così, ma sì siamo rimasti sul "se non puoi aggiunere nulla all'originale non cambiarla".
Syd Barrett non era un artista preciso, non voglio mancare di rispetto a nessuno ma "Interstellar Overdrive" non è esattamente il giro di accordi di "Wish You Were Here". Detto da uno che strimpella la chitarra con mediocri risultati, trovo abbastanza ammirevole che a orecchio siate riusciti a riprodurre certe cose in maniera così fedele.
C'era una bella energia tra di noi, non solo Winstons ma anche con gli altri. Certe parti Fasolo era l’unico a poterle fare, e non pensavo nemmeno io potesse riuscire a fare quelle parti lì anche sui delay. Richard Wright era abbastanza alle prime armi quando hanno scritto l’album, però avevano una genialità compositiva veramente enorme, inimmaginabile. Ci sono delle posizioni delle dita, dei fuoritempo, dei tempi dispari che hanno dietro errori da principiante, errori tecnici ma che poi creano cose magiche. A loro venivano naturali ma sicuramente non sono stati pensati, e non è stato semplice riprodurli. Mentre li suoni però pensi "che figata questa roba". L’assolo di "Scarecrow" è veramente criptico, ti sembra di saperlo ma poi capisci che non è come lo stai suonando.
Ora avete le prossime date il 20, 21 e 23 a Brescia, Roma e Padova. Ne arriveranno altre?
No, ci fermiamo quì. Doveva essere un unico live, al Biko, quello dove sei venuto anche tu. Poi ci hanno chiamato da tutta Italia dopo aver visto i video di quella sera ed abbiamo deciso di portare fuori questo concerto, ma ci fermeremo qui.
Quindi non arriverà un quarto album degli Winstons?
Si ma non questo, no. Il nuovo album sta arrivando. ll secondo disco dei Winstons uscirà l’anno prossimo, lo abbiamo registrato in Inghilterra. Siamo stati in una campagna fuori Londra, abbiamo passato tre giorni fantastici, dalle 10 del mattino alle 23:00 a suonare e abbiamo fatto un bellissimo live a Londra, pieno di gente. A metà ottobre abbiamo registrato le basi su nastro dell’album e stiamo decidendo quando farlo uscire. È un po’ diverso dal primo, un po’ più glam, però ha quelle venature canterburiane che sono la nostra cifra in fondo.
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L'articolo I Winstons in tour con "The piper at the Gates of Dawn" dei Pink Floyd: ce lo raccontano di Vittorio Farachi è apparso su Rockit.it il 2017-12-20 14:45:00
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