Uno dei dischi più fighi dell'anno. Li incontriamo al Pigneto (in trattoria) e da come ne parlano sembra che in vita loro non si siano mai spostati da lì. Tanti amici di quartiere, che poi diventano storie e poi canzoni. Bassa fedeltà applicata al sesso e ai sentimenti. “Amore”, per l'appunto.
Da dove nascono queste storie?
China: Ogni canzone è un caso a sé. C'è molto di me ma c'è anche molto dei miei amici. Solitamente inizio da una parola, quella parola mi fa venire un'idea, magari la dico ad un mio amico e scopro che ha avuto quel problema amoroso lì, ecc ecc...
Nelle canzoni ci sono tradimenti, amori finiti male, c'è anche un omicidio.
C: Non riguardano tutte me, per carità. Prima scrivevamo testi in inglese e quando abbiamo pensato ad un intero disco in italiano io ero preoccupatissima. Ho sempre scribacchiato, fin da bambina, e sul computer avrò i testi di almeno 30 spettacoli che non metterò mai in scena ma, ti giuro, ero sicura che non sarei mai riuscita scrivere così tante canzoni in italiano. Poi, pian piano, le parole sono arrivate.
Questo immaginario anni 60 quando è arrivato?
Leo: C'era già. Prima facevamo un garage che non era così moderno e, seppur fossero canzoni molto zozze, erano molto pop. In più avevamo questa canzone in italiano, “Dove sei”, ce la portavamo dietro da tempo. È la prima canzone che abbiamo scritto in assoluto.
C: “Dove sei” è stata un po' la scusa per conoscersi. Loro suonavano in un gruppo fighissimo, i Vondelpark, io avevo scritto questa canzone e gli avevo chiesto se avevano voglia di sentirla. Pian piano abbiamo iniziato a frequentarci. Poi ci sono stati cambi di formazione, io ho preso in mano la batteria, ecc ecc, ma è nato tutto un po' così, senza grosse prospettive o velleità.
Il suono in "Amore" è molto ripulito.
C: In realtà abbiamo gli stessi amplificatori e gli stessi strumenti di sempre ma il primo disco è stato registrato con due microfoni - Leo dice uno, io me ne ricordo due - di quelli piccoli così, piazzati in mezzo alla salaprove, per quest'ultimo invece abbiamo preso un otto piste digitale. Se il suono ti sembra pulito è per quello.
L: Se vuoi la cosa più interessante è mischiare questo approccio do it yourself - che più di una scelta stilistica è stata più una conseguenza del fatto che non abbiamo mai registrato in maniera professionale - alle grandi canzoni di cinquantanni fa. Prendi un approccio punk ma ti ispiri a canzoni che avevano gli arrangiamenti di Morricone.
E così acquisite questa eleganza vecchio stile, quasi fredda e distaccata?
C: Non direi fredda. Io parto sempre da un'emozione che mi colpisce, tipo pugno, e me la tengo dentro per un po'. Se poi devo metterla in una canzone vorrei che diventasse qualcosa di universale, vorrei consegnarla a chi la ascolta senza che ci siano riferimenti a me. Vorrei diventasse sua, che la potesse cantare, che si emozionasse. Cerco una forma facilmente condivisibile, insomma, come facevano un tempo i grandi cantautori.
L: Ad esempio, Ligabue che ti dà del tu mentre canta, io lo trovo un po' invadente....
C: ...e poi mi piace che le canzoni rispecchino le persone che ho vicino. Non so come dire, c'è un noi, c'è una... dire scena è brutto, lo so, ma si tratta di quei musicisti che gravitano attorno al Fanfulla, al Dal Verme, amici come Calcutta. Uno tenta di scrivere un abbecedario dei sentimenti della sua età e delle persone a cui vuole bene. Parla d'amore, insomma.
Per capire se siete affidabili sull'argomento: quante volte vi siete innamorati nella vostra vita?
C: Sempre?
Volevo un numero più preciso.
C: Non saprei dirti cos'è l'amore. In teoria tutto quello che ti piace è amore, magari potrei innamorarmi follemente di questo pezzo di osso del pollo che stai mangiando tu. Sicuramente sono molto emotiva, tendo a drammatizzare e ingigantire un po' le cose quando in realtà sono semplici: la storia di “Amore”, il pezzo che dà il nome al disco, racconta di questi due nostri amici che si prendevano si mollavano, si riprendevano si rimollavano. Io mi ero un po' immedesimata in lei pensando a cosa avrei fatto al suo posto. La canzone nasce da una frase di Leo, “L'amore se ne è andato molto tempo prima che te ne andassi tu” ed è un tipo di amore abbastanza vendicativo.
Che è l'opposto di quello che succede in “Nessuno di voi”, la cover di Milva inserita nel disco. Nonostante lui la tradisca lei alla fine lo perdona.
C: Non solo lo perdona, si ammazzerebbe letteralmente per lui. Mentre nel disco ci sono anche canzoni dove si reagisce, “Amore” è una di queste, “Tu” è un'altra.
In “Non sarà addio” chi uccide chi?
L: Non è detto che parli davvero di un omicidio sai...
C: ….ormai l'ha capito, riconosciglielo, nemmeno tu l'avevi capito la prima volta che l'hai sentita (ride, NdA). È una canzone che ho scritto in treno, sai quando hai giornate dove fai tremila cose e poi ti metti in viaggio e sei costretto a non fare niente? Ho provato a immaginarmi questa storia un po' cinematografica, alla Celentano, e mi è venuto in mente di questo tizio che aveva fatto una follia per amore. Io amo molto cinema, quando siamo a casa io e Leo, ci spariamo delle maratone di film.
Come deve essere un film d'amore?
C: Non deve farmi capire che è un film d'amore, probabilmente.
E una canzone d'amore?
C: Le note giuste, le parole giuste. Queste domande sono le più difficili a cui rispondere.
E, a vostro parere, che tipo di sensualità emerge dalle canzoni degli Wow?
L: Ti direi del tipo romantico, soft. Hanno tutte un sapore un po' antico, non è sesso esplicito. Chiedi a tua nonna le canzoni che ascoltava quando era giovane: Carlo Buti, Gino Bechi, tutti quei nomi che potrebbero rappresentare l'hit parade italiana degli anni '30, parlavano di sentimenti ma in una maniera particolare. Paradossalmente, oggi, riescono a toccare i tuoi lati nascosti, molto più di quanto riesca a fare un cantautore contemporaneo.
Più che di sentimenti io parlavo proprio di sesso.
C: Diciamo che ci sono canzoni vecchie che se le ascolti con un po' di malizia possono regalare soddisfazioni. Siamo in un'epoca dove il sesso è diventato una cosa talmente mainstream e spiattellata davanti a tutti, che preferisco quando rimane un elemento nascosto, quasi sussurrato. Quando ho il dubbio che in un pezzo ci sia un doppio senso mi fa molto più effetto, e nelle canzoni che sto scrivendo c'è un po' il tentativo di inserire un lato più erotico. Anche se mi fai venire in mente che c'è stato un periodo dove con Calcutta avevamo ipotizzato di scrivere canzoni porno, non canzoni d'amore vagamente sensuali: proprio porno. E nel nostro primo disco c'è “Hair Cut” che ha una frase, ovviamente non ti dirò quale perchè mi vergogno, che è chiaramente una cosa porno, nemmeno erotica, decisamente esplicita (ride, NdA).
L: Parlando di canzoni erotiche, la cosa interessante è che spesso le puoi interpretare sia come riferite al sesso, sia alla droga. “Perfect Day” di Lou Reed dice che passa il pomeriggio con la ragazza, invece è l'eroina. Uno può intenderla come vuole.
Per preparare l'intervista ho chiesto a un po' di musicisti che conosco quali sono le droghe più indicate per scrivere una canzone garage: al primo posto l'erba, poi i tè all'oppio, mdma e ultimo lsd. Commenti?
(rispondono insieme, NdA)
C: Noi non ci droghiamo!
L: Tutte contemporaneamente?
Quindi?
L: Ok ci siamo contraddetti, ti dico solo quelle legali: medicine e alcool.
C: Tu, io ci tengo a ribadire che sono una ragazza modello.
Provate tanto?
C: Dipende dai periodi, di solito quattro volte a settimana. Lo scorso inverno avevamo provato tantissimo e ci siamo potuti permettere poi un periodo di pausa, adesso che abbiamo queste date da preparare ci stiamo rimettendo al lavoro. Il problema che da un po' siamo senza salaprove, ne frequentiamo diverse ma non puoi mai lasciare i tuoi amplificatori, è un fastidio. Siamo in cerca di un box auto ma appena gli dici che vuoi farne una salaprove si spaventano. Non capisco perché parcheggiare una macchina sia più accettato che parcheggiarci un gruppo.
Effetto preferito per chitarra?
L: Il tremolo. Costa poco ed è facile da usare.
Miglior gruppo garage italiano?
L: Movie star Junkies.
C: C'erano gli Intellectuals ma si sono sono sciolti, erano una delle cose più belle di sempre. Ci sono band davvero valide, i Plutonium Baby ad esempio, ma non so se ha senso di parlare di una scena garage italiana. È molto legata alla topografia o ai singoli locali, magari scopri che a Torino c'è un locale attorno al quale gravitano determinati gruppi, che poi sono sempre le solite quattro persone che mettono in piedi progetti differenti. Stessa cosa qui a Roma al Fanfulla o al Dal Verme, e così in tutta Italia. La somma di tutte queste micro realtà ti dà insieme qualcosa di davvero interessante.
Leo che lavoro fai?
L: Non te lo so dire esattamente. Il lavoro più professionale che faccio è il montatore, mi occupo di montaggio video. Ma ormai ci hanno insegnato la precarietà come stato esistenziale, scegliere un lavoro solo sembra brutto.
Tu invece non avrai di questi problemi.
C: Beh, insomma. Adesso recito nel Commissario Rex sulla Rai, ma non ti credere, sono finiti i tempi d'oro, ormai anche la tv paga pochissimo. Poi io sono un'attrice di serie Z, non mi fila nessuno (ride, NdA). Seriamente, non voglio esagerare ma non pensarti chissà quale carriera d'attrice. Lavoro quasi tutti gli anni, ho trovato il gruppo di riferimento nei Manetti Bros e sono contentissima, faccio teatro ma, anche lì, i soldi sono pochini. Confidiamo tutti in Thibault, uno dei due francesi che suona con noi, ci manterrà Lui. Insegna qui a Roma, ed è un'ottima cosa andare in un altro paese e insegnare la propria lingua.
Cantare in italiano, in Italia, aiuta a fare il mestiere del musicista?
C: Non saprei, sicuramente non l'abbiamo scelto per quel motivo. Sappiamo benissimo che soldi non ce ne sono, che è un'utopia lavorare con la musica e che se cerchi di fare soldi con una cosa il più delle volte la rovini. L'italiano è arrivato per una serie di fattori in concomitanza: la gente ai concerti iniziava a farci i complimenti per “Dove sei”, la nostra amica Giulia ci aveva proposto di incidere il sette pollici e dovevamo scrivere una seconda canzone in italiano per il lato B. Parallelamente stavo girando un documentario su un signore anziano che da giovane aveva la passione di cantare le canzoni ai suoi amici. Come diceva lui, le “riattivava”: siccome nel dopo guerra non c'era la radio, lui imparava le grandi canzoni italiane dimenticate nel tempo e poi, con questa voce bellissima, le insegnava ai suoi amici. E, come avrai capito, mi piace molto quest'idea di comunità: persone dello stesso quartiere che hanno interessi in comune e si ritrovano insieme. “Amore” raccoglie tanti momenti passati con persone che amo. Se non ci fossero state queste persone, probabilmente oggi non ci sarebbero gli Wow e, di conseguenza, queste canzoni. Gli voglio bene.
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L'articolo Wow - Parlami d'amore a Roma est di Sandro Giorello è apparso su Rockit.it il 2014-12-05 12:07:00
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