E' innegabile che i Planet Funk abbiano un ruolo centrale nella musica elettronica italiana, in particolare per quella da ballo. Nell'intervista si parla di suoni, di leggi del mercato, di sponsor, di italiano vs. inglese, di cosa significa fare musica praticamente da sempre, di dance ovviamente.
Partiamo dalle domande facili. Avete messo a segno più di un singolo, esordite nel 2002 con una bomba del calibro di “Who Said”, ma sono seguite anche altre, “Stop me”, “Chase the sun”, o quest'ultimo remix di “This boots are made for walking”, per dire... Come si costruisce un hit?
Marco Baroni: Magari lo sapessimo, l'unica è fidarsi del proprio istinto. Tanti pezzi, che poi sono quelli che fanno diventare forti gli album, nascono da momenti di ispirazione. Ovviamente non basta, devi avere il coraggio e la capacità di fidarti di quello che stai producendo, partire da un semplice "questo è bello, questo mi piace" e crederci fino in fondo. Te lo senti quando il pezzo è forte. Anche se, va detto, che in generale sul momento ti sembra sempre il pezzo più bello mai fatto, poi il giorno dopo è una merda. (ride, NdA)
Alex Neri: Non c'è un segreto ma ci sono anche le leggi di mercato, non siamo dei folli. Cerchiamo di dare cuore alla nostra musica, e di aggiungere sempre un di più, qualcosa di nuovo, per questo la ricerca è importante. Poi a volte arrivano in maniera più casuale, non decisa. Ad esempio, l'idea di fare il remix di “This boots...” era di Cotroneo (Ivan Cotroneo, regista di "La Kryptonite nella borsa", che hai poi inserito il brano nella colonna sonora del film, NdR), lui ci ha visto lungo, noi abbiamo aggiunto il nostro background e il nostro suono.
Quindi l'idea era del regista?
AN: Si, totalmente sua. Anzi, io ero più sul no. E' un classico quasi intoccabile, ci sono già state mille versioni, onestamente non mi piaceva fare una cosa hanno già fatto tutti. E non perchè siamo delle fighe, sono semplici scelte artistiche. Poi abbiamo fatto una prova, è uscita questa piega punk un po' diversa dal solito, abbiamo capito che ci apparteneva, abbiamo detto sì.
Parlando di punk e affini, nell'ultimo “The Great Shake" c'è molto degli anni 80. Siete quelli che dicono che le migliori cose sono già state scritte, quindi prendere dal passato è sufficiente, oppure c'è qualcosa di nuovo che riesce ancora a stimolarvi?
AN: Per certi versi è chiaro: siamo una band anni 90 con contaminazioni anni 80 e 70. Infatti il boom l'abbiamo fatto verso la fine dei 90....
MB: ...però no, assolutamente, non siamo ancorati al passato. Anche solo per via della tecnologia, escono continuamente software nuovi che ti portano portano inesorabilmente a creare dei suoni nuovi. Poi c'è anche un ispirarsi a cose passate, ma sicuramente è più un insieme di cose e stili diversi, e oggi la considero una cosa molto moderna.
Cinque anni prima di "The great shake" è uscito invece "Static", che è a tutti gli effetti il vostro disco più difficile. Cosa vi ha portato un lavoro del genere?
MB: "Static"... mi fa piacere che l'hai nominato, è sicuramente uno degli album che è passato più in sordina, per vari motivi. E' quello dove abbiamo provato ad essere più radicali e meno commerciali, e direi che anche a distanza di anni è quello che, in qualche modo, è ancora attuale. Ci è servito, volevamo snellire, essere più minimali. Alcuni pezzi di “The great shake” suonano in un certo modo grazie al lavoro fatto su “Static”.
A livello di vendita “Static” è andato male, come si trova la spinta a risalire sul cavallo?
MB: Se capisci, se sei consapevole che hai un tuo pubblico, gente che ha amato e ama i tuoi dischi, che vuole sentire nuova musica da te. E' uno stimolo forte, se non fosse così sarebbe difficile fare qualsiasi cosa.
Cosa avete fatto in questi 5 anni di pausa fra i due album?
AN: Abbiamo cercato un cantante (ride NdA). E non è del tutto una battuta. Li abbiamo cercati e ne abbiamo provati molti, poi è arrivato Alex ed era il cantante perfetto per l'album che volevamo fare. Per fare un album ci serviva qualcosa in più, non siamo quelli che si siedono attorno ad un tavolo e decidono di fare un disco. Lo abbiamo fatto nel momento in cui ci sentivamo pronti di fare un disco nuovo.
Senza andare a citare i Gorillaz - oltretutto anche loro con un brand di scarpe - sembra che oggi l'unico modo per fare soldi con la musica sia convincere uno sponsor a investire su di te. Come è nata la collaborazione con Reebok?
AN: E' nata penso... penso attraverso il management che contatta altri management, che poi ovviamente contattano gli artisti. Gli artisti poi accettano per vari motivi, tra cui la componente economica non è da sottovalutare. Di questi tempi in cui la musica non vende, perché voi tutti (indica me, NdA) scaricate gli album gratis e noi non guadagnamo più un cazzo, è ovvio che dobbiamo campare anche di altre cose. Quindi ben vegano gli sponsor e le collaborazioni come questa con Reebok. Poi devo dire che Reebok ha un corpo creativi molto stimolante, hanno lavorato per noi in maniera seria, non è usuale che una band disegni il modello di una scarpa. E' stata una cosa diversa, molto stimolante. Poi ovvio, non è la parte centrale del lavoro del musicista.
Seguite anche i produttori più giovani? Cosa ne pensate di questo ritorno abbastanza predominante dell'italo disco?
AN: Ti dico, è un momento che la scena dance non mi fa proprio impazzire. Non sono un fan del genere ma mi piace molto l'energia che loro danno al pubblico, mi piace vedere il pubblico così coinvolto. Probabilmente parlano un linguaggio che a me non compete.
Come mai coinvolgere Giuliano Sangiorgi dei Negramaro e fare il vostro primo pezzo italiano?
AN: Speravamo di vendere qualche copia in più (ride NdA). Scherzi a parte, abbiamo la fortuna di piacere a quasi tutti gli artisti italiani più importanti, spesso ci vengono proposti dei feautig ma non sempre riesci a far tutto. Con Giuliano è uscita proprio bene, il provino era cantato da Marco, c'era questa melodia molto italiana su una base piuttosto tecno. Ci siamo detti “proviamo per la prima volta a fare un pezzo in italiano su una base tecno, giusto per farci del male e non vendere nemmeno una copia?” (ride NdA). Con Giuliano ci eravamo già incontrati prima, lui aveva l'esigenza di fare qualcosa di diverso dal suo solito mondo, quindi è nata la collaborazione. A mio avviso non suona “italiano classico”, certo la voce di Giuliano contamina parecchio il pezzo... a me suona abbastanza internazionale. Poi dovremmo uscire un po' da questo luogo comune: se è in italiano è figo, se è in inglese no.
Ritornando a parlare invece delle sonorità anni 80 di “The Great Shake". Sono suoni più che sfruttati da tutta una scena electro-indie, dagli M83 in giù. Scelta di comodo?
MB: E' stata una scelta nostra, nel senso che cmq già nel primo album avevamo in qualche modo ritirato fuori le sonorità anni 80 new wave.
AN: Il nostro primo album era molto elettro 80 e si parla di 10 anni fa, proprio quando non c'era tutta questa attenzione a quel tipo di sonorità. Ma non per dire qualcosa a nostro vantaggio, perchè è vero, ci siamo spostati un pochino di più verso l'indie, ma è dipeso dalla scelta di cantante con una voce più vicina all'indie. E' chiaro che un cantante infuenza il suono di un gruppo. E' inevitabile e siamo contenti di averlo fatto.
Dinamiche di gruppo: siete tutte personalità forti, ognuno di voi ha un bagaglio notevole di esperienza. Come siete riusciti a convivere insieme per più di dieci anni?
Alex Uhlmann: Quello che ti posso dire io, da ultimo arrivato, è che sono ragazzi tranquilli (ride, NdA). Scherzi a parte, mi sono fatto la stessa tua domanda entrando all'interno di un gruppo così consolidato. Ma sono tranquilli, per dirti: la notte prima di fare il video abbiamo dormito tutti insieme, in una cucina... Ci sono gruppi che non transigono dalla singola in hotel.
AN: L'umiltà e il rispetto sono la base della nostra durata. Sembrano stronzate ma sono quei tre o quattro valori che oggi fanno la differenza. Un po' di ego ci vuole ma le cose che durano nel tempo sono altre. Crescendo maturi, metti da parte un po' l'ego. Inizi a dare peso agli anni passati insieme. Con l'esperienza migliori, peccato che il fisico non regga più (ride NdA).
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L'articolo Planet Funk: you wanted a hit di Diego Ferreri è apparso su Rockit.it il 2012-07-10 00:00:00
COMMENTI (1)
sono dei grandi.oltre ad aver dato le basi per molta musica venuta dopo :)
stima!