Descrizione

“Ho chiuso in una scatola di vetro in un cassetto le tempeste che abbiamo”. Non sono mai stato molto bravo a raccontare le cose con ordine e precisione. Per questo comincio dalla fine. Dal fatto che quelle tempeste, alla fine, le abbiamo chiuse qui dentro.
In mezzo ci sono i giorni dell’estate scorsa in cui ci siamo chiusi in studio insieme ad Alessandro Raina e Marco Franzoni e abbiamo cercato di raccontare un modo di vedere le cose e la musica.
Ed è stato un modo costruito attraverso discussioni sugli Smiths, sui the pains of being pure at heart, sul modo di apparire attraverso face book. C’era il calcio, i riverberi, le discussioni sull’uso di una parola del testo o di un’altra. C’è stata perfino la tendinite di Ale Micheli, l’osteria siciliana ogni giorno, la calma di Andrea e Simone. Abbiamo riscritto intere strofe, suonato e risuonato note e rumori. Ale Raina è diventato più di un produttore artistico; ha scritto e suonato.
Una volta, mentre guidavo lui mi diceva che non è necessario a tutti i costi fare un disco, si fa se c’è la necessità. Se si deve raccontare qualcosa. E mi chiedeva cosa davvero volessi raccontare. Io un po’ guardavo la strada, un po’ mi voltavo e dicevo che ero confuso e incerto, eppure in questo ci trovavo un senso. Che non sapevo nemmeno come sarebbe stata la mia faccia da lì a 5 anni. Allora lui mi guarda e dice che quella era la frase più interessante che avevo detto. Poi, naturalmente, per pareggiare i conti ha aggiunto: ma non l’hai messa nel disco.
Alieni, vampiri, astronauti, io fiore di Loto, rivoluzioni. Tutto parla di una non appartenenza che vuole cambiare le cose e che crea tumulti e temporali.
Forse ci siamo riusciti a chiuderle in una scatola. Ed eccole qui.

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