Della quotidianità, della mondanità, del sopravvivere, come antidoto alla mediocrità.
Sono tre brani - più uno, composti partendo dal libro "Furore" di Steinbeck, da cui è stato tratto uno spettacolo teatrale presentato in Biennale, a Venezia. Da queste ne sono state estrapolate alcune parti (quei pochi che mi seguono sanno che 'Parti' non è una parola casuale).
Speculazione è la parola chiave, in tutte le sue accezioni. Non l'ho scelto io. Ho solo cazzeggiato speculativamente, è un fatto. Ma ahimè non mi sono divertito neanche troppo. Tutt'altro, ogni espressione ludica ha i suoi effetti collaterali, ma non solo: porta con sé conseguenze che non sono affatto negative;
"Portavan con sé tanta disperazione da sconfiggere il mondo, gridavan che non era il destino, ma era l'uomo il colpevole [...] era con loro la vita" (Stefano Testa)
Il così definito Principio di Carità Interpretativa vien così mutato in qualcosa di ancor più Umano, che definisco 'Valore di umiltà interpretante'.
La vita vissuta come il segno indecifrabile della pietà inconsapevole. Ed ecco la vita senza prima portata (o puntata) la vita come mero antipasto, con l'eccezione del contorno, un contorno dal sapore amaro, accompagnato da vino torbido. E lì si naviga, nei "Frutti del Furore".
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