Album che nasce dalla lettura di "Non Lavorare Stanca" di Cesare Pavese, si trovano all'interno due tracce con un paio di poesie tratte dalla raccolta in questione, cantate o recitate. Passa così da una lettura ad una rilettura, in una chiave più attuale, forse un po' politica, dove il lavoro sì nobilita l'uomo, ma anche il non lavoro, eppure non lavorare stanca, tra 'precariato' (sunto) ed ambizioni consumistiche. La chiave del racconto è però - più che altro esistenziale e si può scorgere per esempio in una traccia prog-oriented come "Scorrete, Mie Lacrime"
Un altro lavoro eterogeneo seppur di più facile approccio.
Un amico si è divertito nel recensire (l'ha chiamata "recinzione") secondo il suo punto di vista, ovviamente, il disco, senza dimenticare un tocco d'ironia e con lo stesso spirito non posso che citarlo qua.
Un amico (che chiamerò Marco per comodità ma soprattutto perché si chiama così):
Non lavorare stanca
-tra realismo e sperimentazione-
- L’Artista
Non lavorare stanca è un Opera preziosa, le cui musiche e testi hanno una dirompente forza espressiva e un grande valore autobiografico. Sonorità taglienti e immagini vivide sono poste in contrasto con atmosfere celestiali, in un processo di astrazione che vede l’Amore giocare un ruolo centrale quanto enigmatico. Il risultato è un album eterogeneo e umorale, in cui tracce molto diverse tra loro sembrano essere espressione diretta delle contraddizioni dell’Artista e delle repentine variazioni dei suoi stati d’animo.
Molti di questi sono tratti tipicamente malagutiani e riscontrabili in altri suoi Lavori. Citiamo tra tutti Furore – opera in quattro parti pubblicata nel 2017 – e ne riportiamo integralmente le significative impressioni di un fan:
“Molto bella questa canzone una disperata scalata alla vita esplorazione della mente ogni nota ti lacera come un coltello il dito nella piaga in una parola catartica”
-Mario Mari, commentatore del web-
Tutte le tracce di Non lavorare stanca – pur registrate e mixate con sapienza – risultano perfettamente riproducibili anche dal vivo, aspetto a cui Il Malaguti ha sempre dedicato grande attenzione. Battesimale in questo senso è stata la cosiddetta Esperienza Labantina (201*), che potremmo azzardarci a definire L’Isola di Wight malagutiana, in cui l’Artista seppe confrontarsi audacemente con un palcoscenico tra i più ostili d’Europa e offrire ai privilegiati astanti una performance di altissimo livello e di grande impatto, tanto da guadagnarsi il soprannome di MalaMolotov.
- L’Opera
L’album si apre con un trittico di brani cantati – Disciplina Antica, Pura e Nervosa e Canzone di Strada - che regala all’ascoltatore un amabile affresco della Poetica malagutiana: qui l’amore, il sogno, la solitudine sono temi centrali, legati a un contatto profondo con la realtà ma allo stesso tempo ad un disperato tentativo di fuga dalla stessa. L’estro del Malaguti nel raccontare questa duplicità gli conferisce i tratti di un nuovo Artista Maledetto, capace di condurci tra le pieghe più grezze e prosaiche della realtà per poi svelarcene la natura più intima e poetica.
Con la quarta traccia – Scorrete Mie Lacrime, colonna portante dell’Opera secondo il giudizio dello scrivente – si raggiunge un autentico momento di catarsi e struggenti assoli di chitarra elettrica sembrano dare letteralmente voce all’animo dell’Artista, mentre linee vocali sfumate si perdono in una atmosfera ormai rarefatta. Gli stati alterati della coscienza (come l’ebbrezza o il sogno) ed il limite tra la realtà e la finzione sono tipicamente oggetto di indagine della poetica malagutiana, che in questo senso ha sempre trovato conforto e saldi riferimenti in Philip K. Dick. In Scorrete Mie Lacrime in particolare l’influenza dello scrittore statunitense risulta chiara sin dal titolo, e Il Malaguti rivolge la propria indagine su se stesso lasciando che sia la musica ad esprimerne i risultati.
Nelle due tracce successive sembra delinearsi una sorta di coscienza, in un micro-climax ascendente di lucidità che potrebbe essere interpretato come frutto del momento catartico precedente. In Forza d’Inerzia, attraverso un linguaggio simbolico molto efficace ed una chitarra elettrica ancora protagonista, l’Artista intuisce e descrive la natura ingannevole della propria volontà, e sembra quasi rassegnarsi all’assenza della stessa. Ma con Alòne finalmente questa consapevolezza lo porta ad un sussulto e si lascia andare ad un grido di risveglio tanto liberatorio quanto disperato, in quello che è certamente uno dei brani più riusciti dell’Opera. Il sound si fa più minimale e progressivo e assistiamo ad un esempio virtuoso di psy trance, genere proprio del Malaguti e fin qui visto solo a tratti.
Consumami, infine, risulta più una appendice che una effettiva conclusione. Si tratta del brano di più difficile interpretazione, e ci lascia una sorta di ultima fotografia del concept di Non lavorare stanca. In netta discontinuità con i brani precedenti, qui l’Artista utilizza un arpeggio di chitarra ininterrotto e una struttura musicale non più progressiva ma “piatta”: questo sound quasi pop ha in realtà l’effetto di scolpire il senso di surrealtà di cui è permeata l’Opera.
- Note
Non lavorare stanca non è solamente un mosaico di umori ancestrali, o un esercizio ben eseguito di auto-introspezione. Nella prospettiva malagutiana la sperimentazione è condizione necessaria per la conoscenza, e in questo senso la moltitudine di esperienze rappresentate non è fine a sé stessa, anzi ci restituisce un punto di vista organico, per quanto caotico, della realtà.
A conti fatti, la definiamo una parabola tanto acuta quanto incompleta. Il senso di alienazione, pur reso efficacemente, non è infine vinto ed il sonno, pur tormentato, non lascia infine il passo al risveglio. Le profonde contraddizioni che grazie all’Opera emergono rimangono di fatto irrisolte, e l’Artista sembra a tratti cedere all’inganno borghese del lavoro e rinunciare consciamente alla realizzazione di sé.
“Col lavoro estraniato l’uomo costituisce non soltanto il suo rapporto con l’oggetto […] ma costituisce pure il rapporto in cui altri uomini stanno con la sua produzione e col suo prodotto, e il rapporto in cui egli sta con questi altri uomini. Come l’uomo fa della propria produzione il proprio annientamento, la propria punizione, come pure fa del proprio prodotto una perdita, cioè un prodotto che non gli appartiene, cosi pone in essere la signoria di colui che non produce, sulla produzione e sul prodotto. Come egli rende a sé estranea la propria attività, cosi la rende propria all’estraneo.”
-chettelodicoaffare-
Lavorare è pericoloso, non lavorare stanca ma è un buon modo per non lavorare, rimane ancora da chiarire il significato della musica a riguardo.
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