Kokura - Tangenziale est (feat. Blessed Child Opera) testo lyric

19/10/2020 - 08:17 Scritto da Kokura Kokura 1

TESTO

Non ricordo di preciso a che ora sono uscito, saranno state le sei e venti, in ogni caso molto presto. Amalia dormiva ancora, rannicchiata come un cucciolo e completamente scoperta. Volevo fare qualcosa, mi sembrava troppo vulnerabile in quella posizione, ma non volevo svegliarla; alla fine l’ho lasciata come si trovava.
Era tutto pronto: il completo appeso alla maniglia della porta e la mia relazione, che avevo stampato durante la notte, al sicuro nella mia borsa, dentro una guaina di plastica trasparente.
Ho rinunciato alla cravatta. «Non siamo mica un'impresa di pompe funebri,» aveva detto Barbieri durante l’ultima riunione, indicandomi. Tutti avevano riso, Malgrati si era persino toccato i coglioni. Io avevo risposto con una smorfia, abbottonandomi la giacca. Per loro è tutto superato, tutto troppo formale. La riorganizzazione li ha portati in posizioni di pseudo-comando nel giro di pochi mesi, la società aveva bisogno di volti freschi, da mostrare agli azionisti.
Stamattina sono sicuro di non trovare traffico, non sono mai uscito così presto. Quando ho stampato la relazione, mi sono reso conto che mancavano meno di due ore alla sveglia. Amalia borbottava qualcosa nel sonno, non sapevo nemmeno a che ora si fosse coricata. Mi sono infilato le calze e ho iniziato a vagare per il corridoio ripensando alle cifre dei risultati trimestrali, le avevo fissate talmente a lungo sullo schermo che le vedevo proiettate sulle pareti, nella penombra. Tutto combaciava alla perfezione. Barbieri poteva sfottermi per la cravatta, ma aveva disperatamente bisogno di questi risultati, lui non era in grado di elaborarli.
La tangenziale est è un nastro trasportatore per veicoli a scoppio. Dopo le sette il traffico si trasforma in una processione che trascina anime rassegnate lungo un percorso semicircolare, una via crucis scandita dalle stazioni dei raccordi. È un fiume denso, che rallenta il suo corso fino a raggiungere l'immobilità.
Fino a qualche anno fa, mentre smaltivo la coda, ascoltavo la radio; poi ho cominciato a intuire lo schema ridondante dei notiziari e degli opinionisti del mattino – dicono sempre le stesse cose, riformulate con qualche dettaglio accattivante, sono peggio dei preti nelle omelie della domenica.
Per un po' ho provato con la musica ma ora preferisco il silenzio. In realtà c’è un sottofondo, un mormorio di motori frustrati, spezzato dal crescendo occasionale di un volo in partenza da Linate.
Oggi mi risparmierò tutto questo. È talmente presto che avrò il tempo di sedermi al bar per un caffè, di dare un’ultima occhiata alla mia relazione, ai miei istogrammi slanciati, alle mie conclusioni esposte in elenchi chiari e numerati.
Barbieri incarna il perfetto stronzo, ma io ne ho visti passare parecchi come lui; non sarà il suo sarcasmo a mettermi in crisi. Ho dalla mia i numeri, le percentuali, l’unico linguaggio che interessa ai piani alti. Anche se, devo ammetterlo, senza il cappio della cravatta oggi mi sento quasi più giovane.
Finora ho incrociato soltanto alcune utilitarie, appena distinguibili nella foschia brianzola. Sono talmente abituato a questa manovra d’ingresso nella tangenziale che potrei farcela anche con una benda sugli occhi, senza correre alcun rischio. È come sul lavoro: se conosci ogni dettaglio, ogni millimetro del percorso, nessuno può incastrarti. Così, per dimostrare questa mia ultima considerazione, decido di chiudere gli occhi per qualche istante mentre tengo lo sterzo inclinato sul raccordo.
Sento prima un tonfo, poi un altro. Il volante vibra e mi sfugge di mano. Apro gli occhi. La mia Citroen sbanda ma riesco a tenerla in carreggiata. Nello specchietto retrovisore vedo un veicolo fermo sulla corsia di emergenza. Ma c'è qualcos'altro, a terra. Un fagotto. Immobile. La prima cosa che penso è: con questa nebbia nessuno può avermi visto.
Proseguo a velocità ridotta, continuando a fissare lo specchietto. La sagoma a terra scompare dietro di me, ingoiata dalla nebbia. Penso ad Amalia, raggomitolata al centro del letto. Non ricordo quando abbiamo parlato l'ultima volta. Non credo di averla mai vista sveglia, negli ultimi giorni.
La tangenziale non è mai stata così sgombra, eppure non riesco ad aumentare l'andatura. Gli edifici scorrono distanti, i capannoni dell'hinterland sorgono minacciosi nella prima luce del mattino, sembrano sul punto di sgretolarsi in una nube di ferro e cemento. Le altre auto mi superano, sfrecciano attraverso il varco di viabilità, consapevoli che potrebbe chiudersi da un momento all'altro, come una ghigliottina.
Una sensazione calda e sgradevole si è formata nel mio stomaco, sento che si fa strada verso la gola. Sento un ronzio nelle orecchie, non è il solito rumore di fondo ma un suono più acuto, come il battito frenetico delle ali di un insetto.
La Citroen tiene la strada, l’urto non ha fatto grossi danni. Cerco di aprire il finestrino ma i comandi non rispondono. Vado sempre più piano; qualcuno, dietro di me, suona il clacson, ma è come se succedesse altrove, in un film o in un sogno. Penso alla sagoma nello specchietto. Ripeto ad alta voce i risultati della mia relazione. Fa troppo caldo. Mi accorgo di avere azionato il riscaldamento invece del finestrino. Finalmente riesco ad abbassarlo. L'aria è fredda, benefica. Sento odore di muschio e benzina, gli alberi del Parco Lambro ondeggiano minacciosi verso la carreggiata. Sembra quasi che si sporgano per afferrare qualcosa sul manto ruvido dell'asfalto.
La mia camicia si è impregnata di sudore, non ho pensato di portarmi un ricambio ed è troppo presto per trovare un negozio aperto. Conciato così sarò un bersaglio troppo facile per Barbieri.
Cerco la mia borsa sul sedile, ma non la trovo. È scomparsa, penso. Forse è finita fuori dal finestrino.
Senza rendermene conto, inizio a urlare.
Grido, fino a quando la mia voce si trasforma in un lamento rauco. Poi mi accorgo che la borsa è soltanto scivolata nel vano del passeggero. Giace lì, inanimata, proprio come…
Penso a Barbieri, a Malgrati. Alle loro magliette Polo dai colori sgargianti. Ai loro cellulari che vibrano in continuazione. Alle barbe di tre giorni che curano al millimetro. Al corpo di Amalia che si raccoglie come un fiore durante il sonno.
Il mio completo è fuori moda. La mia relazione trimestrale è un esercizio di stile. Nessuno l’ha mai letta. Nessuno è mai andato a verificare quei dati. I miei grafici potrebbero fare riferimento al tasso di umidità del terreno o alla percentuale di azoto nel letame, non se ne accorgerebbe nessuno, nemmeno ai piani alti.
La tangenziale sta per chiudersi; resterò qui, al sicuro, nella sua morsa. Nessuno può obbligarmi a uscire. Continuerò a girare in circolo, come quegli apparecchi radar che si vedono all'altezza di Linate.
Mi accorgo che un’auto della polizia mi sta seguendo. Ha i lampeggianti accesi. Quando mi supera mi preparo ad accostare. Finalmente è finita, penso, provando una strana leggerezza, come se mi fossi appena fermato dopo una lunga marcia. Ma il veicolo della polizia tira dritto, destreggiandosi nel traffico. Non so perché, ma decido di inseguire la pattuglia; le altre auto si scansano per lasciarci passare. La nausea si è placata. Tutta la mia attenzione è dedicata all’inseguimento.
La macchina della polizia entra in un’area di servizio. Faccio la stessa manovra e li tallono fino a quando si fermano nel parcheggio degli autocarri, uno spiazzo enorme nel quale sostano alcuni tir con targhe straniere.
Un agente scende e si avvicina alla mia Citroen, la esamina per qualche istante e mi fa cenno di abbassare il finestrino. È molto giovane e sembra un po’ impacciato dentro a quella divisa troppo larga per lui. Il suo collega più anziano scende poco dopo.
«È stato coinvolto in un incidente?» mi chiede il giovane.
L'altro si avvicina e ispeziona la mia fiancata destra.
«Sono stato io,» dico.
«A fare cosa?» dice l'agente più anziano, chinato sulla carrozzeria per valutare le ammaccature.
«A investire quell'uomo,» dico. «Dopo il raccordo di Vimercate, meno di un'ora fa». Per non incrociare le loro occhiate, mi guardo le scarpe: sono scamosciate, piuttosto brutte, Barbieri non ha tutti i torti.
«È morto, vero?» dico, senza alzare lo sguardo.
L'agente più anziano si avvicina, indaga la mia espressione. «Veniamo proprio da lì,» dice. Non aggiunge altro, sembra piuttosto soddisfatto.
Sgancio la cintura di sicurezza e mi preparo a scendere. Mi chiedo se dovrò salire sulla loro auto o se aspetteremo un’altra pattuglia. Penso a Cortesi, dell’ufficio legale, siamo sempre stati in ottimi rapporti, avrò bisogno di un avvocato.
Il giovane spezza il silenzio e il corso dei miei pensieri.
«Non c'è stato…» l’altro agente lo guarda male, ma non fa in tempo a fermarlo.
«Non c’è stato nessun morto,» conclude il giovane.
Il suo collega si allontana, spazientito: quel ragazzino gli ha rovinato il momento più divertente della sua giornata.
Alzo lo sguardo sull'asfalto lurido del parcheggio, poi sul cofano azzurro della macchina della polizia. Vedo l'agente più anziano che prende nota della targa di un tir.
Il giovane dice: «Quell'auto era ferma sulla corsia di emergenza, proprio dopo lo svincolo. Aveva perso il carico sulla carreggiata: un borsone da viaggio fissato con un laccio, sul tetto. Il tizio si è beccato una bella multa e lei una botta sulla fiancata. Se mi vuole lasciarci i dati, li aggiungiamo al verbale, magari riesce a recuperare qualcosa dall'assicurazione».
Ho investito un bagaglio, penso. Un borsone.
Se non avessi seguito la pattuglia, se fossi andato in ufficio, se avessi fatto finta di niente, mi sarei portato dentro questo dubbio, per sempre.
Scendo dalla macchina. Mi sento galleggiare nel vuoto, le gambe quasi non mi reggono.
«Grazie,» dico al giovane, gli lascio i miei documenti, non voglio chiedere alcun risarcimento ma mi sento talmente sollevato che farei qualsiasi cosa per lui.
«Posso offrirvi un caffè?» dico. Il giovane sorride, avrà forse vent’anni. «Grazie Mister,» dice «ma dobbiamo rientrare». Mi restituisce patente e libretto e raggiunge il collega che gli consegna il taccuino e un’occhiata sprezzante.
La pattuglia riparte. Prendo la mia borsa, trovo il cellulare e la mia relazione trimestrale. Butto la relazione nel cestino del parcheggio e scrivo due SMS: uno per Barbieri, l'altro per Amalia.
Il primo dice: “VAI A FARE IN CULO”.
Il secondo “TORNO PER PRANZO. TI PORTO IN UN BEL POSTO. SCUSA”.
Mi accomodo al bar della stazione di servizio e ordino una colazione completa. Dalla vetrata contemplo il meccanismo implacabile della trappola: le auto sembrano immobili ma, osservando con attenzione, ogni tanto si spostano.
Mi gusto il cappuccino, il cornetto e la spremuta. Il ragazzo al banco cerca di seguire un pezzo alla radio ma sbaglia le parole. Compro un quotidiano, osservo le persone che entrano, alcuni hanno fretta, altri, come me, se la prendono comoda. In un paio d’ore l’ingorgo dovrebbe scomparire. Nel frattempo resterò qui, a intercettare i pensieri dei conducenti.
Cerco il mio volto e lo trovo riflesso sulla vetrina, era da tanto che non mi vedevo sorridere.

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ALBUM E INFORMAZIONI

La canzone Tangenziale est (feat. Blessed Child Opera) si trova nell'album I luoghi comuni uscito nel 2020 per Seahorse Recordings, Audioglobe.

Copertina dell'album I luoghi comuni, di Kokura

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L'articolo Kokura - Tangenziale est (feat. Blessed Child Opera) testo lyric di Kokura è apparso su Rockit.it il 2020-10-19 08:17:16

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