Ci sono molti modi per rappresentare in musica quello che passa fuori dalla propria finestra: si può essere cinici, si può essere epici, si può essere melodrammatici. Ma si può essere anche spensierati, specie se si hanno ventanni, perché a ventanni le cose appaiono con un filtro più morbido rispetto a chi ne ha cinquanta, ma non per questo meno attento o pungente. La spensieratezza è proprio l’arma in più dell’Officina Della Camomilla: giovanissimi ma già navigati, fenomeni su Youtube con centinaia di migliaia di visualizzazioni senza un disco ufficiale, parecchi concerti in tutto lo stivale e altrettanti cambi di formazione. Ora il nucleo principale ruota attorno a Francesco De Leo e a Claudio Tarantino, a cui si sono aggiunti Marco Amadio, Anna Viganò e Ilaria Baia Curioni, e finalmente il 5 febbraio arriva il loro esordio discografico vero e proprio, che si chiama “Senontipiacefalostesso Uno” ed è il primo di due volumi che vedranno la luce nel 2013 per la bolognese Garrincha Dischi. Perchè, altro pregio che si ha a ventanni, di cose da dire ce ne sono un bel po’. Tredici istantanee a formare un quadro più ampio, una tavolozza su cui i nostri riversano colori pastello e riflessioni a trecentosessanta gradi, senza retoriche tronfie o velleità di giudizi universali. Le canzoni possono prendere vita da appunti di appunti, pensieri surreali, allucinazioni modellate, cieli nuvolosi, da ogni piccola sensazione che affiora sottopelle. Così i protagonisti dei brani nascono e si muovono a Milano, perché la finestra da cui L’Officina Della Camomilla guarda il mondo si affaccia sui Navigli, sul Parco Sempione, sull’area C, su Brera, sulle zone militari. Personaggi, veri o immaginari, che non hanno paura di raccontare o di essere raccontati, pedalando in bicicletta prima tra le macchine e poi tra gli alberi, in mezzo a tekno-raver, kebabbari e bar di cinesi. Figure che si incontrano e scivolano veloci come i paesaggi attraverso i finestroni di un tram, le storie di Dora, di Lucilla, Agata e Mohamed, di Moreno, di ragazzi non meglio definiti e quindi di persone che in fondo potremmo essere (stati) noi. Strumenti giocattolo e tastierine mischiate al clapping (“Morte Per Colazione”), chitarre distorte à la Libertines dei tempi d’oro (“Ho Fatto Espolodere Il Mio Condominio Di Merda”), un Alex Turner che preferisce le filastrocche macabre ai muri di suono delle scimmie artiche (“Le Mie Pareti Fluorescenti di Nordafrica”). Favole cattive dove esplodono le scuole e i panifici (“Dai Graffiti Del Mercato Comunale” ed “Agata Brioches”), passaggi meno nervosi che ricordano i migliori The Pains Of Being Pure At Heart, come “Un Fiore Per Coltello” e “La Tua Ragazza Non Ascolta I Beat Happening” (una canzone da stadio sulla droga senza averne assunta alcuna, con la partecipazione de Lo Stato Sociale al gran completo). L’amore-odio per Milano (“Città Mostro Di Vestiti”), le fughe in una spiaggia piena di mattoni e le ritirate verso la più rassicurante IKEA (“La Provincia Non È Bella Da Fotografare”), l’alienazione nei non-luoghi e per i lavori sempre più improbabili (“Lulù Devi Studiare Marc Augè”), giocata su accenni di ninnenanne per non dormire, come direbbe il mai troppo compianto Pier Vittorio Tondelli. E poi, le fascinazioni per l’uptempo (“Agata Brioches” e “Pegaso Disco Bar”) e per il pop più zuccherino, quello che fa innamorare, fatto per celebrare in posti improbabili i ritorni più attesi (“Ti Porterò Sul Braccio Della Ruspa” e “Senontipiacefalostesso”, che chiudono il disco lasciando addosso un senso di inquieta tranquillità). Ad impreziosire questo grazioso sussidiario pop, alcuni ospiti d’eccezione: oltre ai già citati regaz de Lo Stato Sociale, prestano i propri strumenti alla causa Nicola Manzan (la mente diabolica che sta dietro a Bologna Violenta, oltre ad una miriade di altre illustri collaborazioni), Matteo Costa Romagnoli, Vincenzo De Franco, Luca De Marchi ed Enzo Lampronti. Ci sono molti sentimenti in questo “Senontipiacefalostesso Uno” e sono sentimenti puri, immediati, genuini. Qualità non sempre riscontrabili in un’Italia proverbialmente gerontocratica e maneggiona, oggi come ieri. L’Officina Della Camomilla mette le mani avanti già dal titolo, passeggiando con abilità sul filo che separa la modestia dalla furbata: questo è un disco che farà fatica a non piacere. Farà fatica a non stare al centro dell’attenzione.
COMMENTI (7)
però su tutte a me piaceva quella delle lesbiche con le gambe accavallate
bravi, finto-spensierati.
@Gianmarco: saltano fuori da youtube e dalla musica da cameretta (si dice così, giusto?). Poi una etichetta indy che a parer mio (non mi pagano :) no) lavora benissimo gli ha dato la possibilità (sacrosanta!) di farsi conoscere da più gente. Eccoli qui, bravissimi, giovanissimi, con una voce particolare ed insolita. (...e macchine da scrivere usate come sezione ritmica :D )
Bomba
no vabbé ma questo è un gruppo clamoroso. ma da dove è saltato fuori?
amemipiace thnks
album d-e-v-a-s-t-a-n-t-e