La tipografia, da quando Microsoft ha dato la possibilità di offrire una vasta gamma di caratteri a disposizione degli utenti di Word, ha permesso anche a chi non si occupa di grafica di sviluppare un minimo di occhio critico sul mondo dei font. Certo, capita ancora di vedere aberranti insegne scritte in comic sans, il carattere più odiato del Web, ma in generale chiunque utilizzi regolarmente un computer sa, più o meno bene, destreggiarsi tra un font e l’altro.
Nel mondo della musica la tipografia svolge un ruolo molto importante ed è interessante osservare come una distinzione nei font venga applicata anche dove questa non sarebbe, apparentemente, possibile, ossia sui social. Basta muoversi un po’ tra Instagram, SoundCloud e Facebook per imbattersi in alcune bizzarrie, non casuali. Quali? ᶜᵃʳᵃᵗᵗᵉʳᶦ ᵐᵒˡᵗᵒ ᵖᶦᶜᶜᵒˡᶦ, ᵖᵉʳ ᵉˢᵉᵐᵖᶦᵒ. Oppure i caratteri vaporwave, con tanto di kanji giapponesi alla fine をがで案ヸ ぞ穏ぺもイ仮. Le possibilità sono innumerevoli e, per chi bazzica le comunità Internet, non sono certo una novità.
Si tratta di metodi di personalizzazione dei caratteri nati con i primi forum online e tornati alla ribalta proprio con la vaporwave, quella sottocultura legata all’estetica di internet di fine anni ’90/inizio 2000. Luca Limone, grafico e fondatore assieme ad Armando Junior Aiello e Mattia Bonanomi dello studio FIRM, ce lo ha spiegato così: "Veniva usato uno dei blocchi Unicode, più specificatamente il blocco Halfwidth and Fullwidth che, non prevedendo caratteristiche di larghezza variabile dei caratteri, rendevano possibile la composizione di testi con ritmi regolari. L’unione di alfabeti diversi poi poteva avere valenza ornamentale o addirittura generare significati nuovi (si pensi al carattere ¯\_(ツ)_/¯, ad esempio)".
L’uso di questi font è largamente diffuso nelle comunità digitali, in particolare per quanto riguarda le sottoculture più di nicchia, e non è raro vederli comparire nelle pagine social di alcuni musicisti. I due membri degli Psicologi per esempio, Drast e Lil Kaneki, utilizzano entrambi questo stratagemma nella biografia dei rispettivi profili Instagram. È un modo come un altro di personalizzare il proprio profilo e per farlo non ci vuole niente, basta andare su un qualsiasi text generator online, digitare il testo originale e poi copiare il nuovo testo con il font desiderato.
Si tratta quindi di una ripresa, anche inconsapevole, di un vecchio modo di manipolare le scritte, ma che in realtà sottende un discorso più ampio e interessante. Sempre secondo Luca "in molti campi, non solo in quello musicale, si sta sviluppando un approccio al graphic design molto orientato alla sperimentazione legata ai font. Uno degli studi più importanti, Bureau Borsche, ha cavalcato questa tendenza, portando questo approccio in numerosi rebranding dal mondo fashion a quello dell'arte".
La musica, come abbiamo detto, rimane un ambiente centrale in cui questo discorso viene portato avanti. Luca ci fa l’esempio di David Rudnick: Rudnick è un grafico che, tra i suoi innumerevoli progetti, ha realizzato copertine di dischi per musicisti come Oneohtrix Point Never, Evian Christ, RL Grime e molti altri. In un’intervista a Strelkamag ha detto che per lui "la tipografia è una categoria di linguaggio… attraverso la tipografia, un designer realizza l’immagine della persona nel modo in cui il nome viene scritto: sono loro a creare la narrativa".
Questo concetto applicato in musica appare abbastanza intuitivo: gli illeggibili loghi delle band più estreme di metal scandinavo ben rispecchiano la durezza dei loro suoni, giusto per fare un esempio. Non è certo un discorso nuovo, insomma, la vera novità è dovuta al fatto che ora più o meno chiunque è in grado di personalizzare anche l’aspetto tipografico di un progetto, basta avere un computer sottomano. Questa diventa quindi una sfida per i graphic designer, cercare di offrire qualcosa di ancora più differenziato e unico, difficile da ripetere. Così sono nate le acid graphics, ossia quelle grafiche sperimentali di ispirazione psichedelica, una trasposizione nel presente dell’immaginario lisergico degli hippie degli anni ’60 (e di cui lo stesso Rudnick è un precursore).
In Italia, quindi, dove possiamo osservare sperimentazioni simili nell’ambito tipografico? Sicuramente il rap: "Nel video Crudelia di Marracash – ci ha suggerito Luca Limone, che è anche un appassionato del genere – si è data molta importanza alla tipografia nella grafica del poster, dei credits e dei titoli". E in effetti è molto interessante osservare il lavoro dei grafici Leonardo Pertile e Pietro Amoruoso: in un progetto dominato dai colori rosso e nero, le sei proposte per il titolo del brano sono tutti spettacolari font di ispirazione horror, tra richiami a Mario Bava, Wes Craven e Rob Zombie.
O ancora, l’incredibile lavoro svolto da Yuri Kaban per Mattoni di Night Skinny, uscito l’anno scorso, in cui ogni traccia del disco è accompagnata dalla propria cover e in cui sono i trattamenti tipografici a giocare un ruolo da protagonista (come si può vedere qua, qua e qua). La cura in questi dettagli è un valore aggiunto non indifferente, dà un senso di coerenza al disco che va oltre la sola musica, viene a crearsi un microcosmo con una sua precisa identità visiva, oltre che sonora. Anche riuscire a cogliere queste minuziosità dà una soddisfazione, vedere che nell’apparente banalità della tipografia ci sia una particolare attenzione nel cogliere lo spirito di qualcosa di astratto come la musica può riservare grandi sorprese.
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L'articolo Acid graphics, gothic e vaporwave: l'importanza dei font musicali di Vittorio Comand è apparso su Rockit.it il 2020-04-21 10:43:00
COMMENTI (1)
Ciao, hai scritto un'articolo molto interessante.
Stavo facendo una ricerca sulla tipografia degli anni 60 e volevo fare un riferimento alle Acid Graphics.
Per caso hai qualche fonte?