Cosa hanno in comune l'ultimo singolo di Francesco De Leo, il discone che è "Stanza singola" di Franco126, quasi tutto quello che ha pubblicato Frah Quintale e tre pezzi di Mahmood? Il produttore: Stefano Ceri. Le sue orecchie stanno lavorando tantissimo in questo periodo, la sua sensibilità musicale sta tracciando una direzione a suo modo già influente nel pop italiano. È uno dei diretti responsabili di quello che sta succedendo in Italia, anche grazie ai suoi amici di Undamento, nell'ambito di quella preziosa (quanto ritardataria) intersezione tra atteggiamento urban hip-hop e destinatari pop. Graffiti pop, cantautorap, street pop, chiamatelo come volete, Ceri è tra quelli che ne stanno definendo il suono. E non è nemmeno la sua caratteristica peculiare. Dopo la ribalta con Frah, infatti, sta dimostrando di sapere usare il linguaggio musicale per davvero, cioè a 360°. Oltre alle produzioni per altri, ha buttato fuori due pezzi suoi, "Bimba mia" e "Guai", che suonano curiosi e imprevedibili per la scena da cui è emerso. Ci siamo sentiti per conoscerlo un po' meglio, con un po' di parole e un po' di fotografie, molte delle quali spuntano dalla bellissima abitudine dei ragazzi di Undamento di girare con delle macchinette a rullino per testimoniare quello che stanno combinando sui palchi, in studio, nei backstage, dal piano della nonna alla radio nazionale.
Ricordi il tuo primissimo avvicinamento alla musica?
È successo tutto molto presto: in casa infatti avevamo il pianoforte di mia nonna, ho iniziato a suonarlo verso i 6 anni prendendo lezioni private e, verso gli 8 anni, dopo aver acquisito un po' di dimestichezza con i tasti e le note, iniziai a scrivere piccole composizioni. Mi piaceva troppo. Quando verso i 14 anni ho scoperto che si poteva fare musica col computer è stato amore a prima vista e da lì non ho più smesso.
Foto di Beatrice Chima
In Italia, insieme ad altri, stai dando nuovo lustro alla figura del produttore. Non solo per il rap, ma anche nella musica pop, sembra che il producer smetta pian piano di essere un bravo e invisibile tecnico. Tra tutti i produttori pop, chi ti senti compagno in questo senso?
Ultimamente il pubblico sta effettivamente scoprendo sempre più la figura del produttore e questo è sicuramente un fatto positivo. I riconoscimenti da parte della gente sono gratificanti ed è sempre bello vedere che il tuo lavoro venga apprezzato. Penso però che le ambizioni principali di un produttore non debbano essere la fama e la popolarità. Fare il produttore a mio avviso significa infatti mettere al servizio del progetto per cui si sta lavorando la propria sensibilità, competenza e professionalità, nello stesso modo in cui lo fanno il manager, l’ufficio stampa, il fonico, il grafico, l’etichetta etc. etc. Personalmente, ai follower su Instagram, preferisco concentrarmi sul fare musica che mi piaccia, farla con chi mi trovo bene e, finché tutto questo mi renderà felice, riuscire a viverci.
Credo piuttosto che sia più importante se pubblico e addetti ai lavori prendano sempre più coscienza del fatto che in un brano la parte strumentale sia fondamentale. Ogni minima variazione può incidere tantissimo sul risultato finale, un singolo suono può cambiare completamente la direzione di una canzone. Il produttore ha infatti il potere di trasportare l’ascoltatore in mondi impossibili da descrivere a parole.
Foto di Tommaso Fobetti
Per quanto riguarda il tuo progetto personale (Ceri, quello in cui canti), come te la stai vivendo? È più una cosa a spot che quando ti viene l'ispirazione butti fuori il singolo o c'è dietro un disegno puntuale?
Sono molto riservato sulle mie cose, le faccio ascoltare a pochissime persone (e per pochissime intendo una). Sento però la voglia e la necessità di tirare fuori molti pensieri e idee che sto accumulando nel tempo. Nel computer ho una valanga di musica più o meno abbozzata. Credo si tratti solo di aspettare l’ispirazione e il momento giusto per incanalare le energie, raccogliere il tutto e farne un progetto vero e proprio. So bene che di questi tempi, il tempo è un nemico e aspettare troppo tempo può essere controproducente ma visto che credo che la musica sia l’unico strumento per sconfiggere il tempo preferisco curarmi di lei senza temere le scadenze. Ma lasciando stare i miei deliri metafisici ti voglio dire che prima di maggio voglio uscire con qualcosa di nuovo, forse un EP. (Ecco l’ho detto e adesso sarò costretto a farlo, spero di riuscirci).
Foto di Alessandro Scagliarini
Chi è l'artista con cui è stato più immediato lavorare?
Forse Franco126. Siamo stati veramente delle schegge: praticamente chiudevamo un pezzo al giorno, l’album lo abbiamo finito in meno di 3 mesi. “Frigo bar” ad esempio l’abbiamo aperta dopo pranzo e per cena era fatta. Va detto che Franchino arrivava con già testo e melodia pronti. Un altro con cui i pezzi sono usciti al primo colpo è stato Mahmood; non ci abbiamo mai messo più di due giorni per terminare i pezzi. Però la velocità non può essere il metro di giudizio in una collaborazione: ogni cosa ha bisogno del suo tempo e se non c’è sintonia con le persone con cui entro in studio la musica non si riesce proprio a fare (è successo). È tipo acceso/spento, bianco/nero, si o no.
Foto di Tommaso Biagetti
E quello con cui invece si è dovuta fare una lunga e puntigliosa produzione?
Chiaramente me stesso, “Bimba mia” è stato un brano finito due anni dopo la sua prima stesura e lo stesso succede ogni volta che apro qualcosa di nuovo: chissà quando e se lo finirò.
Per assurdo anche con Frah è stato un processo molto lungo. Abbiamo dovuto sbattere la testa molte volte per capire la strada da prendere e ci sono brani che hanno avuto una gestazione infinita. "Cratere" ad esempio lo abbiamo chiuso un anno e mezzo dopo che era stato abbozzato. Però quello è, dei pezzi che ho prodotto, uno dei miei preferiti e sono molto orgoglioso di come sia venuto. Ad ogni modo, sempre con Frah, ci sono state delle canzoni invece finite in pochissimo tempo come “Si, ah” fatta tutta buona la prima. Pure di quel pezzo sono molto contento e non mi aspettavo andasse così bene.
Foto di Tommaso Biagetti
Cosa ti aiuta di più a immergerti nella giusta atmosfera per creare?
Sono il contrario dello stereotipo dell’artista sregolato che vive nel caos. Lavoro meglio quando è tutto in ordine, ho dormito bene e magari ho fatto attività fisica. Poi la sera per me è magica: mettermi nel letto e prima di andare a dormire iniziare a fare musica è il momento dove vengono fuori le cose migliori (però solo se la stanza è in ordine).
Foto di Tommaso Fobetti
Ci dai un piccolo indizio sul prossimo pezzo che uscirà a cui hai lavorato?
Nell’immediato c'è il disco di Mahmood dove, oltre a “Gioventù bruciata” e “Mai figlio unico”, ci sarà anche un’altra canzone inedita prodotta da me. Per quanto riguarda Undamento invece a breve uscirà l’album di Dola (consiglio a tutti di andare ad ascoltarselo) nel quale ho prodotto una canzone.
Foto di Tommaso Fobetti
Hai consigli o aggiustamenti di rotta per giovani cuori impavidi con la voglia di produrre musica?
Se volete fare musica fatelo per voi e perché vi piace farla, non per sperare di guadagnare soldi, 10kappare su instagram o scopare (quello poi ti viene automaticamente negato nel momento esatto in cui pronunci la parola “COMPRESSORE MULTIBANDA”). E studiate un minimo di teoria musicale.
Foto di Tommaso Biagetti
Ti va di regalarci una playlist con la roba italiana (di sempre) che più ti ispira?
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L'articolo Ceri sta cambiando il suono del pop italiano, e lo fa solo perché gli va di Pietro Raimondi è apparso su Rockit.it il 2019-02-26 12:12:00
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