Danielle: "Ho iniziato a cantare mentre consegnavo gelati"

X Factor ti prepara a tante cose, anche ad affrontare un'intera classe di aspiranti reporter. Il musicista romagnolo è venuto in redazione per raccontare le sue esperienze dai Camillas al talent, passando per l'ossessione per John Frusciante e Vasco (e pure per suonarci qualcosa): ecco com'è andata

Danielle
Danielle

Il campanello della redazione di Rockit suona. Entra Daniel Gasperini, in arte Danielle, già bassista dei Camillas (ora Crema), che da qualche anno ha avviato la sua carriera solista con il primo album Sì, adesso mi sveglio. Si presenta elegante, outfit total black, chitarra in spalla, i lunghi capelli raccolti all’insù. Ad accoglierlo ci sono una quindicina di studenti - chi in presenza, chi collegato da casa -, molti dei quali alle prese con la loro prima intervista.

Danielle, con in programma un tour per tutta Italia dopo il sold out al Bellezza lo scorso febbraio, è un nome che ha già avuto uno spiraglio di notorietà col grande pubblico. Ce lo ricordiamo bene alla scorsa edizione di X Factor, in particolare nel momento conclusivo della sua esperienza al talent. Succede alla quarta serata del programma: è il momento del Tilt, quello decisivo. Chi esce non potrà presentare il suo inedito. Danielle, canotta bianca e postura un po’ impacciata, si tocca ripetutamente i capelli. Un gesto quasi involontario, un riflesso che tradisce un’emozione trattenuta. Anche quando il verdetto arriva - è lui l’eliminato - la mano torna alla chioma, come a voler nascondere la timidezza. 

Qua, invece, il contesto è completamente diverso, di fronte agli aspiranti giornalisti e appassionati di musica che cercano di mettere insieme le domande giuste. Un po’ come al primo colloquio di lavoro: l’ansia si mescola all’euforia. Quella che segue è una lunga chiacchierata a più voci, che si fa via via sempre più rilassata e informale, fino a tre pezzi suonati alla chitarra in chiusura.

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Ciao Danielle, come stai?

Mi sto abituando a venire a Milano, piano piano. Io vivo in mezzo al niente, quindi ogni volta che esco dalla campagna pazza e arrivo a Milano, mi trovo catapultato in un mondo di cose. Però è bello, elettrizzante.

Il grande pubblico ti ha conosciuto a X Factor, però tu per anni hai suonato in diverse band. Come queste esperienze hanno poi influenzato la tua carriera da solista?

Prima di Sì, adesso mi sveglio, il mio primo album, non cantavo mai proprio. Facevo solo il musicista: chitarra, batteria, basso, ho suonato un po' di tutto. Sono state <_o-fip-hl id="_o-fip-hl-focus">influenzato più che altro a livello di arrangiamento: suonare più strumenti con diverse band mi ha fatto capire molto, mi ha dato un po' di ordine nella mente.

Come hai scoperto la tua voce? C'è un'enorme differenza tra sentirti parlare e sentirti cantare.

La voce è stata una sorpresa anche per me quando ho cominciato a cantare. Ho iniziato durante il Covid: abitavo in un comune diverso dalla mia ragazza, quindi pur di stare insieme a lei mi sono messo a consegnare gelati. Ero sempre in macchina, e da lì ho cominciato a cantare. Cantavo sempre i Jane's Addiction, perché era una band che all'epoca ascoltavo un sacco, e Perry Farrell per me era il cantante più figo del mondo.

Quindi farai anche tu come hanno fatto al loro ultimo concerto i Jane's Addiction e ti menerai sul palco?

Può essere! No, scherzo, io sono pacifico.

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Come è entrata la musica nella tua vita?

Quando ero bambino avevo un fratello più grande che guardava moltissimo MTV, la musica mi arrivava in faccia. Poi c'è stato un evento che secondo me ha seminato proprio anche il mio gusto: andai un giorno a comprare una rivista per mia mamma in edicola con cui veniva venduto L.A. Woman dei The Doors, gruppo di cui lei era una grande fan. Noi eravamo piccoli, e quel tipo di rock non riuscivamo a capirlo, ma mia mamma ascoltava ogni giorno quel disco prima di andare a lavorare, a volume esagerato, per un anno. Questo ha segnato sia me che mio fratello: lui ha avuto una band e la sala prove era casa nostra, ma non mi facevano toccare gli strumenti perché ero piccolo. Appena ero da solo in casa andavo a suonare la batteria. Ora io e mio fratello abbiamo anche un progetto insieme.

E Vasco come è arrivato?

Ho iniziato ad ascoltarlo più o meno quando ho cominciato a cantare: per tanti anni ho ascoltato musica inglese o americana, ho sempre avuto un background diverso dalla musica italiana. Mi sono avvicinato alla musica italiana con Rino Gaetano. Quando sono arrivato a Vasco ci sono andato sotto sin da subito, con i primi dischi. Il periodo tra il ’78, l'81, l'82, sono quei 4-5 anni che a me fanno impazzire. Da lì in poi ho voluto iniziare a fare musica in italiano.

Degli artisti attuali italiani, invece, chi ti ispira di più?

La musica troppo referenziale di solito mi crea distacco, quindi quando sento una cosa che ricalca troppo un determinato linguaggio mi allontano subito. Se ascolto cose italiane sono sempre di altri generi, diversi magari da quello che faccio io. Per dire, a me Visconti piace tantissimo e credo che sia tra le proposte più fresche. Di nomi più noti direi Colapesce e Dimartino, che mi sono piaciuti tanto.

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Come sei finito dentro ai Camillas?

È stato mega strano. Suonavo la chitarra in un gruppo crossover metal, poi sono passato a suonare John Frusciante tutti i giorni, poi sono entrato in un’altra band dove facevamo psichedelia anni ’70 e lì ho cominciato a suonare il basso. Mentre partecipavo a tutti questi progetti, mi arriva un messaggio su Facebook da Freddie, batterista dei Camillas. Mi scrive: “Ci servirebbe un bassista, un nostro amico ha detto che suoni bene, vieni?”. Io non li conoscevo, ma visto che con la musica vado dappertutto perché voglio fare tutto ho detto di sì. Quindi mi sono ritrovato in sala con loro. Avevano 20-30 anni più di me, all’epoca io ne avevo circa 22, alla fine però erano dei ragazzi. Non sapevano i loro stessi brani: avevano appena fatto uscire un album, ma non avevano mai fatto le prove. Io invece li avevo imparati tutti. Quel giorno abbiamo composto un pezzo, proprio durante la primissima prova fatta insieme. Ci siamo trovati benissimo, anche se sembrava che non c’entrassi proprio niente con loro.

Come cambia l'approccio da queste band a un contesto come X Factor?

Esibirsi su un palco del genere è stranissimo. All'inizio crea molto distacco se nella vita di tutti i giorni suoni in mezzo alla gente, era la primissima volta che suonavo senza band. È stata una bella scuola per me, mi sono trovato solo davanti alla musica quando invece sono sempre stato abituato ad affrontarla in squadra. Quando ti trovi da solo è diversissimo, soprattutto davanti alle telecamere, davanti a degli autori che ti chiedono mille cose e che ti pressano tantissimo. La cosa che mi è piaciuta di più comunque è il pubblico, diverso da quello che ho visto nei club: ha un suo fascino anche approcciarsi ad un nuovo tipo di spettatori. Secondo me è divertente ed è figo anche essere apprezzati da un pubblico che magari non va nel club a sentirsi la band, che è una cosa che non mi aspettavo. Essermi trovato bene mi ha fatto capire che c'è possibilità.

Non hai pensato che andare a un talent potesse compromettere la tua autenticità artistica?

Un po' di viaggi li ho fatti. Questo era il terzo anno che mi trovavo davanti all'opportunità di farlo. Prima avevo sempre detto di no. Il primo anno avevo pubblicato un pezzo e basta, non avevo neanche fatto un concerto solista ancora, quindi ho detto: ‘Dove cazzo vado?’. Il secondo anno, invece, avevo un po' di cazzi grossi a casa, quindi anche lì ho lasciato perdere. L’anno dopo ancora mi sono trovato senza fare niente nella mia vita, avevo anche mollato il lavoro al bar, quindi ho detto: ‘Vado e vediamo come va!’. Da lì è una miriade di paranoie. Però alla fine ho detto: ’Ma che cazzo te ne frega! Se riesci divertiti!’. Così è stato, ed è stato bellissimo!

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Quanto ti senti cambiato da un anno a questa parte, o meglio da quando è finito X Factor a oggi?

Secondo me è più un'evoluzione: X Factor ti dà tanto come esperienza, ti ritrovi a vivere insieme ad altri ragazzi che non hai mai visto, a vivere in trenta in una stanza, tutte cose che ti formano tanto a livello umano. E a livello pratico, anche tecnico/musicale, sento di essere migliorato. L’esperienza è una full immersion e necessariamente un po’ ti cambia. Io l’ho vissuta un po' come andare a scuola, visto che avevamo un sacco di orari, di regole, ma l'ho vissuta bene.

I talent possono essere un buon trampolino di lancio per gli artisti?

Sono un trampolino di lancio grosso, anche grossissimo, però dipende anche da che tipo di impatto hai sul pubblico: ci sono stati anche in passato personaggi che hanno svoltato completamente per aver fatto un talent, ad altri non è cambiato nulla. Io lo consiglierei a tutti, se dovesse capitarne l’opportunità. Io stesso non sono un amante dei talent, anzi, non li ho neanche mai guardati in vita mia. Mi sono trovato davanti ad un'opportunità e mi sono detto: perché no? Si tratta sempre di esperienze musicali che possono andare anche oltre alla musica, è curioso vedere come funzioni l’ambito televisivo. Quando parlo con ragazzi che incontro in giro consiglio loro di buttarsi senza dimenticare però di divertirsi, perché se si è troppo ansiosi queste esperienze si finisce per viverle malissimo.

Non tarpa un po' le ali dover soprattutto fare cover?

Dover fare le cover è devastante per tutti, credo. Soprattutto se sei uno che già scrive musica. È difficile, però è una delle varie strade che si possono intraprendere. Per me è stata una vittoria anche che sia stata apprezzata Francamente e che artisti come noi abbiano potuto trovare spazio all'interno di questo spazio televisivo. Se un programma così grosso accetta dei personaggi come noi e se a Sanremo un cantautore come Lucio Corsi conquista pubblico e critica, vuol dire che qualcosa sta cambiando. Si può sperare in qualcosa di bello per la realtà cantautorale.

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Stai lavorando a un disco nuovo? Ci puoi spoilerare qualcosa?

Ancora non saprei neanche io cosa spoilerare, perché sono lì a strippare nello studio a casa con 6mila suoni diversi. Posso dirvi che stanno cambiando un sacco di cose a livello di sonorità rispetto al primo disco, che è quasi manieristico. Comunque gli assoli di chitarra ci sono: sono una parte del mio cuore, ho sempre bisogno di metterli da qualche parte.

Qual è l'assolo che avresti voluto scrivere tu?

Il chitarrista idolo della mia vita è Frusciante. I suoi assoli li so tutti. C'è un live di quando lui era insieme ai Red Hot Chili Peppers, allo Slane Castle nel 2004, dove lui fa un intro clamoroso. Quando ero ragazzino l’ho imparato uguale, lo risuonavo all'infinito con lo stesso suono. Quello è uno degli assoli che mi piace di più, che poi non è neanche un assolo, sono fraseggi.

Quali emozioni vorresti provassero le persone quando ascoltano una tua canzone? 

A me piacerebbe che si immedesimassero nel racconto. Mi è capitato spessissimo di ascoltare una canzone e dire: “Mi sento il protagonista di questa storia”. Mi piace molto poter raccontare, attraverso quello che succede a me o ad amici o a persone care, quello che è successo anche a te.

Manuel Agnelli una volta ti disse: “Sembra che ti canti dentro”: per te a questo punto dev'essere un complimento…

Lì c’era il filtro della televisione. Io sono arrivato alle audition o comunque ai bootcamp, che sul palco mi guardavo intorno… e lui si lamentava perché io non guardavo mai in camera. Era la prima volta che andavo in televisione e non ci pensavo, ero abituato a suonare in giro. Lui mi diceva: “Tu quando sei qui devi cantare per la gente a casa, non puoi girarti così”. Gli dissi che per me era una casa nuova, come quando vai a vedere una casa da affittare: entri, guardi, vedi se la camera da letto fa per te oppure no, o se il salotto è figo, pensi a come puoi riempirlo.

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Facci un paragone tra Manuel e il tuo padre discografico Auroro Borealo. Chi è meglio in cosa tra i due?

Auroro è un amicone, sono cresciuto con lui a livello musicale. È stato il primo a sentirmi cantare e a sentire la mia primissima canzone. Mi ha spinto molto. Mi chiamava sempre, mi scriveva: “fai il disco, fai il disco, fai il disco”. In un contesto televisivo, per quanto riguarda Manuel, è invece difficilissimo sviluppare un rapporto vero. Ci siamo trovati bene, soprattutto quando eravamo in sala prove. Lì mi sentivo a casa: era come essere in saletta con un mio amico a suonare. Però è tutto più freddo in televisione… siamo rimasti in buoni rapporti. Quando sono stato eliminato, lui è passato in camerino e abbiamo parlato. Mi è piaciuto perché finalmente ho sentito la sua umanità e ho potuto condividere la mia senza telecamere, senza il filtro.

Cosa ti spinge a scrivere? 

La musica è una costante nella mia vita. È una cosa che mi viene spontanea, come quando sei a letto e ti alzi per andare a bere l'acqua: sono quelle mosse che fai senza neanche pensare. E poi c’è la voglia di raccontare quello che mi succede anno dopo anno. Il primo album è un riassunto dei due anni precedenti, di quello che mi era successo o comunque di quello che succedeva intorno a me. Oltre a essere un'esigenza di vita, è quindi proprio voler raccontare quello che mi succede e quello che succede alle persone a me care.

L'intervista è stata interamente realizzata dagli studenti e dalle studentesse del corso di giornalismo musicale della Better Days School: Alessandra Albertini, Nicolò Benassi, Antonietta Cosentini, Laura Di Cerbo, Matteo Freschi, Gaia Giovannone, Stefania Montonati, Sabrina Montrasio, Alessandro Pavesi, Noemi Sala, Salomè Perlotti Trovato, Michele Mastrogiovanni, Natalia Yoana Pop

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L'articolo Danielle: "Ho iniziato a cantare mentre consegnavo gelati" di La classe della Better Days School è apparso su Rockit.it il 2025-03-25 10:45:00

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