La finestra sul bosco: la quarantena di un musicista montanaro

Il silenzio dell’uomo è diventato in questi giorni vera musica, ci racconta Fosca. Dalla sua casa con vista Dolomiti, il giovane cantautore riflette sugli uomini e, soprattutto, sugli alberi

La vista dalla camera di Fosca
La vista dalla camera di Fosca
27/03/2020 - 12:30 Scritto da Fosca fosca 7

Davanti alla mia casa, nella campagna bellunese, c’è un grande prato verde. Una volta, quando ero bambino, al suo posto c’era un bosco, uno di quei boschi pedemontani fitti di alberi fini che si addossano l’uno sull’altro, formando una stretta ragnatela di rami che rende impossibile attraversarli senza procurarsi tagli in qualunque parte del corpo, come a volerti far capire che lì dentro non è il tuo posto, non sei il benvenuto. Da quando hanno tagliato tutto, il prato è rimasto lì, placido, quasi sempre vuoto, mutato solo dal leggero cambio di colore dell’erba dall’inverno all’estate. Ultimamente, ogni tanto, ci veniva qualcuno a portare a spasso il cane. Penso che la cosa non gli andasse molto a genio, mentre la vecchina che da quando è iniziata la quarantena passa gran parte della giornata a raccogliere radicchio penso gli sia di buona compagnia. 

In questi giorni il prato è diventato per me una presenza non indifferente, anzi, direi quasi un modello. Mentre tutto si animava, mentre il dubbio sull’entità della pandemia, sulla gravità della situazione impegnava le menti di tutti, ogni volta che volgevo lo sguardo fuori o che uscivo per una passeggiata vedevo il prato che restava lì, prima gioioso di quei giorni di sole regalateci, e ora contento di godersi un po’ di tranquillità dopo tanto via vai. La sua costante presenza mi ha scoperto più paziente di quanto immaginassi, e in queste settimane ho ricercato quel distacco, quell’accettare con consapevolezza lo scorrere della vita, e l’ho trovato anche in me stesso. 

La dimensione in cui gli uccellini qua intorno hanno trovato gioia è il suono. In questo abbiamo davvero trovato modo di dialogare, e sono rimasto ammaliato dalla bellezza della loro musica. Il loro canto è interrotto ogni tanto da un elicottero o da una sospettosa macchina in lontananza, ma tutto il resto del tempo lo spettro sonoro è completamente variato: sento suoni mai uditi prima, e una varietà di canti totalmente inedita. Il vero valore che ha acquisito la musica in questi giorni per me è questo: spogliato di tutto il baccano che con i nostri velocissimi spostamenti facciamo, il mondo ha preso a risuonare di un’energia più varia, più viva di quanto potessi immaginare.

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Il silenzio dell’uomo è diventato in questi giorni vera musica, un vero cantico delle creature: mi ha ricordato quanto tutto ciò che ci circonda, anche e soprattutto in momenti saturi di difficoltà come questi, sia essenzialmente un grande dono, assolutamente non scontato e troppe volte ignorato. Immagino fosse questa la dimensione in cui Francesco d’Assisi scrisse il cantico nel lontano ‘200, ma lo diceva anche Claudio Rocchi in Volo Magico n.1, e lo hanno capito bene gli uccelli: “c’è sempre tempo per cantare il cielo, l’acqua, un corpo, tutti”.

Riconosco di essere un privilegiato: la mia vita in quarantena non si limita alle quattro mura di casa, ho diretto accesso a boschi e prati dove posso osservare il mutare della stagione, in cui passo le giornate solo, vagando, seguendo e dialogando con i suoni degli animali, fermandomi al sole a leggere e meditare. Al tramonto torno a casa, mi dedico molto spesso alla cucina, e lascio che la sera prenda la forma che preferisce. Questi potrei dire che sono i miei “passatempi” di questi giorni, azioni che sono per me cariche di significato e importanti per la mia esistenza, ma che restano comunque modi di passare il tempo, e in fin dei conti non sono molto diversi da prima della quarantena. Il che mi fa pensare come dopotutto anche i nostri impegni quotidiani prima non fossero che passatempi.

Una cosa su cui rifletto molto in questi giorni è la vita delle farfalle: una farfalla aspetta tanto tempo per uscire dal suo bozzolo e volare, per poi vivere solo per uno, due giorni. Una farfalla non ha tempo per passatempi di alcun genere, non ha tempo nemmeno per pensare di non avere tempo. Eppure, grazie a questo, essa vive davvero il presente del tempo che le è stato donato. Questi strani, assurdi giorni mi stanno mostrando come forse avremmo tutti bisogno di passare un po’ più tempo solo ad esistere, impegnati solo ad essere, vivendo le nostre vite senza preoccuparci del tempo che, come tutto nella vita, scorre incessantemente, per il bene e per il male. Vivere un po’ più spesso come farfalle, inconsapevoli come in fondo siamo della durata del tempo che ci è stato donato.

 
 
 
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In questi giorni ho molto vagato fisicamente nei boschi, ma ho scelto anche di vagare in tutto me stesso, in tutte le infinite possibilità che ogni giornata anche in quarantena offre. Abbiamo un mondo vastissimo dentro di noi che ci potrebbe tenere impegnati per tutta la vita, se solo avessimo il coraggio di vagabondarci un po’ al suo interno. In momenti così inaspettati penso si possa davvero vedere quanto l’esistenza tutta sia un arcano indecifrabile, che il solo fatto di essere sia un puzzle irrisolvibile, e quanto il futuro, anche quello immediato, non ci sia dato conoscerlo né prevederlo.

Periodi come questi spero servano a farci vedere l’essere qui come una possibilità che ci è data di partecipare a questo bizzarro banchetto della vita, anche solo per un sorso di vino, anche solo per il volo di una farfalla, per il battito d’ali di una vita. Possiamo vedere il senso di tutto come un invito a vagare nel presente, a pensare le cose che vogliamo pensare e a vedere le cose come le vogliamo vedere, a pensare che sia in fondo a fin di bene. Oppure no, che in fondo tutto questo, la gente che si ammala, che muore, che soffre, che sta dentro casa e impazzisce non è che uno scherzo di cattivo gusto di qualcuno.

Ma possiamo farlo adesso, non dopo, in un ipotetico futuro in cui usciremo da questa situazione. Non sappiamo da dove veniamo, né dove siamo diretti, e forse neanche dove siamo in questo momento. Forse allora è meglio provare a stare davvero dove siamo adesso, che in fin dei conti se siamo qui non potremmo essere altrove.

Mi ricordo bene quando fuori dalla mia finestra c’era un bosco, una rete infinita di sterpaglie in mezzo alla quale svettava però un gigantesco noce, su cui io e i miei amici ci arrampicavamo. Nel mio cuore di bambino, il noce stesso fu un amico, un mentore e un padre, con lui condivisi tantissimi ricordi stupendi che ancora oggi mi illuminano lo sguardo e mi danno delle fitte nostalgiche al cuore. Il giorno in cui lo tagliarono finii la mia infanzia. Soffrii moltissimo, non volevo accettare la morte che quegli uomini stavano dando al mio amico noce, e per molto tempo vissi nella negazione di cosa era successo.

Il prato che si stendeva al posto del mio amato albero era sbagliato, non doveva essere lì. Man mano, però, non potei che abituarmi alla visione limpida, placida e immutabile della distesa verde, prima con riluttanza, poi con un sospetto piacere. Preso dalle vicissitudini della vita, dimenticai l’odio che provavo per quel prato ed iniziai a vederlo per com’era, ossia un bel prato verde, non più il simbolo della macchina infernale che aveva ucciso il mio noce. E iniziai a costruire nuovi ricordi, a cui si aggiungono le varie ore passate a leggere e contemplare di questi giorni. Mi manca ancora il mio noce, ma forse di più di tutto mi manca la persona che aveva amato così tanto quell’albero, il bambino che viveva totalmente in quelle emozioni, ignaro che un giorno quel noce non ci sarebbe stato più.

Mi manca non sapere che il noce non ci sarebbe stato per sempre, che quel bellissimo presente era destinato a diventare passato. Ma il noce è nato, vissuto e morto, come tutti noi dall’alba dell’uomo fino alla sua fine, e in questo scorrere non c’è dolore, ma solo passaggio. E allora voglio vivere anche in questo momento così complesso, e ricordarmi i miei pensieri sul prato, immergermi nelle acque di questo scorrere, e vivere a fondo il freddo che esse mi danno, esserci davvero in questo presente. Perché, in fondo, è l’unica cosa che realmente possediamo.

 

Fosca è un giovane cantautore bellunese, ne avevamo parlato qua ed è stato protagonista dei nostri CBCR 2019.

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L'articolo La finestra sul bosco: la quarantena di un musicista montanaro di Fosca è apparso su Rockit.it il 2020-03-27 12:30:00

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