Se ci chiediamo quanto si guadagni con la musica la prima risposta è: più di quanto si facesse qualche anno fa, molto meno di quanto si guadagnasse negli anni ‘70. Se la domanda è invece quanto può guadagnare un artista in Italia oggi e come può farlo, quali sono le fonti di reddito per chi fa musica e come è cambiato il modello economico, la risposta è più complicata. Anche perché una risposta sola e precisa non c’è. Il primo motivo è che le fonti di guadagno sono molteplici. Solo che, come in quasi tutti gli altri campi dell’azione umana post internet, in pochi hanno capito dove stanno i soldi. E se l’hanno capito non si sa ancora come redistribuirli equamente.
L’IFPI (International Federation of the Phonographic Industry) pubblica ogni anno un report dello stato della musica nel mondo, con relativi dati basati su un’indagine su un campione di 34.000 persone. Nonostante l’allarmismo e le paure, (soprattutto di chi con la musica ci campa, a dire il vero) il mercato discografico nel mondo è cresciuto del 10% nell’ultimo anno, per un valore complessivo di 17 miliardi di euro. Aumentano gli investimenti e aumentano i soldi. Da dove vengono? Dallo streaming, principalmente, che rappresenta il 47% di tutto il mercato discografico. I proventi dal supporto fisico si fermano al 25%. E sì, quella delle vendite dei vinili che hanno superato i CD è una cazzata, anche se questi hanno un -11% di vendite rispetto al semestre precedente e gli Lp segnano un +6%.
In Italia il mercato discografico ha raggiunto i 78 milioni di euro, con una crescita del 5% e lo streaming che genera, da solo, 49 milioni di euro: il 63% del sistema discografico. Se lo streaming aumenta la sua quota di anno in anno, il resto del digital è in rapido declino, scendendo al 6% del mercato italiano. Effettivamente, se comunque l’ascolto dipende dal supporto che ho in mano, perché dovrei comprare il singolo album su piattaforme come iTunes se a circa la stessa cifra ogni mese ho accesso a praticamente ogni singola canzone mai scritta? Come Netflix con i DvD, lo streaming ha disabituato l’utente a pagare per il singolo prodotto artistico preferendo l’uso, e non il possesso, di una libreria più ampia. Se questo ha reso vincente il modello dello streaming, ha scardinato il modo di relazionarsi alla musica che più o meno aveva funzionato fino ad ora. E non c’entrano solo i soldi.
In media ogni italiano ascolta 18 ore di musica alla settimana: circa 52 canzoni da 3 minuti al giorno. Questo approccio bulimico e affamato all’intrattenimento comporta un calo dell’attenzione e della selezione. Ascoltiamo un sacco di roba in più, ma ce ne ricordiamo sempre di meno. E questa è la storia del futuro: la sovraesposizione a stimoli continui che avrebbe dovuto renderci liberi di scegliere, ci ha reso in realtà distratti e disorientati. Così finiamo per scegliere non chi è più bravo o ci piace di più, ma chi è più bravo a catturare la nostra attenzione. Abbiamo davanti il mondo intero, ma finiamo per sentire e vedere tutti, lo stesso, sempre le stesse cose.
“Il risultato è che sempre più ascoltatori gravitano su un numero sempre minore di superstar, così la metà si è ritirata dalla musica” ha scritto l'autore di Rockonomics ed economista di Princeton Alan Krueger. Nel 1982, il 26% di tutte le entrate provenienti dalla vendita dei biglietti è andato al primo 1% degli artisti. Nel 2019 l’1% degli artisti ha in mano il 60% delle entrate. Questo articolo parla dell’industria discografica, ma non si può non sottolineare quanto importante sia diventata la dimensione live per la sostenibilità economica di chi suona: gli artisti generano oggi circa il 75% delle loro entrate da eventi live e tour, rispetto a meno di un terzo negli anni ’90.
Ma quindi quanto paga lo streaming agli artisti? Le case discografiche, secondo quanto dichiarato dal leader del settore Spotify, si sono assicurate circa il 70% dei proventi della piattaforma in diritti. Questo significa circa, per ogni artista, 0.0076 euro per ascolto. Tuttavia, queste cifre sono relative agli utenti premium, che sono sì in aumento, ma come in aumento sono le perdite di queste aziende negli ultimi trimestri. Il mercato dello streaming si sta saturando e il suo modello economico rischia di andare in stallo dopo aver rivoltato l’intero sistema discografico.
Da cosa guadagnano oggi quindi gli artisti, se lo streaming è così importante ma non paga poi tanto? Le risposte sono: dipende, e se è bravo da un sacco di cose. Lil Xanax, classe ’96, ha un patrimonio netto di 3 milioni di euro dovuto in larga parte alla sua linea di merch Xanarchy, esattamente come funziona per YouTuber come Logan Paul. Questo significa che, su un piano imprenditoriale, la musica è il drive emozionale che porta i fan a comprare non tanto i cd, quanto magliette e felpe. Importanti genere (la trap) ed età (23 anni) presi ad esempio: le nuove generazioni vedono il supporto fisico non come necessario per la fruizione della musica, ma come un feticcio dell’artista. CD = Felpa, tazza o patch, e questo spiega in parte perché si vendono più vinili: non perché i giovani siano diventati tutti audiofili, ma perché se devo avere un oggetto che mi ricordi il mio artista preferito meglio averne uno più grande e bello a pochi euro in più. E poi, perché il vinile va di moda. Se però guardiamo quali sono gli one percenters di cui parlavamo prima, la band più pagata al mondo sono gli Eagles. Esiste ancora una forte correlazione, anche in Italia, tra gli artisti che guadagnano di più e quelli ancora legati al modello fisico e ad economie ereditate, ancora più o meno valide per chi ha un target di non più giovanissimi. Questo conferma il fatto che il sistema discografico in sè non si sia ancora del tutto rinnovato per quanto riguarda il modello economico.
Gli artisti più giovani oggi sono più versatili: i loro proventi principali possono spaziare da rapporti commerciali con i brand (che poi sono quelli che oggi hanno i soldi veri, e nell’arte svolgono sempre più la funzione di mecenati), merchandising, diritti connessi alla loro immagine o sistemi di donazioni (Patreon, livestream su Twitch..). Per tutti gli altri, e anche per loro, la maggior parte dei guadagni vengono dai live, dagli anticipi discografici e da quelli editoriali.
Oggi, come ricorda il presidente dell'Ivors Academy Crispin Hunt, "il live è un problema separato e non dovrebbe essere confuso con le entrate derivanti dall'ascolto. Il valore non è più nel pezzo di plastica usato per intrappolare la musica, è nell'idea". Come si fa quindi a monetizzare l'idea in sè? Con le edizioni, ad esempio. Il diritto d'autore corrisponde un valore all'opera d'ingegno, indipendentemente da quello che ne verrà fatto. Quel valore può essere diviso in un sistema di punti, 24 in totale: 12 sono legati all'artista e sono per legge non cedibili, gli altri 12 invece si possono vendere a un editore. Allo stesso tempo, se quelle canzoni che hai scritto decidi di pubblicarle con un'etichetta, al tuo rapporto di esclusiva con l'etichetta che firmerà il tuo disco corrisponde un valore economico. Editore e etichetta poi lavoreranno sul disco, sulla promozione e sulla distrubuzione, sulle coscritture e sulle synch, i due rapporti esemplificati comporteranno poi un ulteriore lavoro sulle canzoni, ma il semplice fatto di impegnarti a cedere parte dei diritti sulle tue canzoni o lavorare in esclusiva con una struttura invece di un'altra ha un valore economico.
"Al giorno d'oggi non esiste una promozione, non c'è nulla da promuovere, tutto è una distribuzione". continua Hunt. La velocità con cui internet sposta le cose in verticale, parlando di numeri è stream, ha permesso a moltissimi indipendenti di arrivare a percorsi prima impensabili senza il supporto massiccio di un'etichetta, un manager o un editore. Come testimoniato dalle percentuali di crescita, oggi è nella distribuzione il vero potere dell'industria musicale, ovvero nel mezzo che la trasporta. Oggi si possono fare milioni di ascolti dalla cameretta. Questo ha portato ad una frenesia delle grandi strutture che pur di assicursi la prossima next big thing hanno firmato progetti un po' a caso.
Veniamo da un decennio di torpore in cui le major, sia discografiche che agenzie di booking, sono rimaste ancorate ai re del pop (Antonacci, Pausini, Renga..). La campagna acquisti si esauriva con i talent: macchine perfette in cui totali sconosciuti vengono incubati da una produzione televisiva e risputati superstar, regalando alle etichette una promo dal valore di centinaia di migliaia di euro. Solo che il pubblico ha iniziato presto a stancarsi di questo giochino, ed ha cominciato a buttare l'occhio altrove. Il primo passo è stato il rap, che arriva in radio e anche in Italia, con evidente ritardo sul resto del mondo, viene sdoganato al mainstream. Da lì il passo successivo è stato aprire la porta a tutti quelli che facevano musica ma senza venire dai talent. Probabilmente è per questo che l'indie, che una volta era una vocazione stilistica, ha poi accolto tutti quelli che avrebbero fatto volentieri pop dall'inizio, solo che volevano farlo a modo loro.
Quando i numeri di questi artisti sono diventati troppo grandi da poter essere ignorati, le major hanno iniziato a metterci lo zampino. Questo per due motivi: comprare qualcosa di nuovo e fagocitarlo prima che diventi più grande di te e ti renda obsoleto, e perchè sai mai che lì ci sia la nuova star della musica italiana. Su questo punto, visto i numeri di Thegiornalisti, Calcutta, Salmo, Coez e compagnia, forse c'avevano ragione. Le major in campagna acquisti si muovono come i colossi che sono, tirando anticipi milionari ad artisti e agenzie che fino a poco tempo prima suonavano nei circoli arci e che magari hanno avuto chi il culo e chi il merito di fare le scelte giuste al momento giusto. Solo che quando qualcuno ti presta tantissimi soldi, di solito, poi li rivuole. Prendere i numeri della rete come applicabili al mercato reale è uno dei più grandi peccati che puoi commettere oggi nel mondo del lavoro, ma questo non significa che non sia stato fatto negli ultimi due anni da chi ha firmato quei contratti, scegliendo gli artisti spesso in base ai numeri e non ad uno scouting mirato.
Oggi, all'interno di tutte le strutture, questa cosa è ormai palese. Questo ha messo in moto nell'ultimissimo periodo un cambiamento radicale, virtuoso e interno di etichette, editori, management e uffici stampa. Ma il mondo va veloce e il tempo stringe, e lo strapotere dei colossi della distribuzione potrebbe danneggaire irrimediabilemente il modello economico che sostiene la cosa più importante: chi suona e scrive. Gli artisti sono al centro del prodotto principale dell'industria musicale e la loro produzione è fondamentale per garantirne il futuro. Ma l'industria riuscirà a ripensare il modo in cui distribuire i proventi del suo rinascimento economico? Hunt è chiaro sui pericoli di non fare nulla, o non abbastanza. "Tutto questo è qualcosa che l'industria deve affrontare, e velocemente, o il valore periferico della musica diminuirà molto presto. Le persone vogliono vedere i REM solo un certo numero di volte prima di rivolgersi a Fortnite per il loro intrattenimento."
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L'articolo Quanto si guadagna con la musica? di Vittorio Farachi è apparso su Rockit.it il 2019-10-08 12:36:00
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