C'era una volta la scena fiorentina degi anni '80: la new wave con l'h aspirata, quella che nasceva all'ombra del Ponte Vecchio e degli Uffizi, che aveva come centro nevralgico l'etichetta I.R.A. di Alberto Pirelli o di Materiali Sonori, che vedeva tra i maggiori esponenti Litfiba, Diaframma, Neon, Pankow e Moda. Influenze punk e dark, elettroniche mischiate con cantautorato sperimentale, testi criptici e rock italiano.
Dai Café Caracas, che vedevano Raf e Ghigo Renzulli suonare new wave alla fine degli anni '70 in poi, la storia di Firenze in quegli anni è innovativa, underground, spettacolare. Pietre miliari come Desaparecido e 17 Re dei Litfiba o Siberia dei Diaframma vengono registrati in quell'epoca. Nel capoluogo toscano si tengono raduni, concerti, festival indipendenti, nei suoi locali storici tipo il Tenax suonano i Killing Joke, i Bauhaus, i Cocteau Twins e i New Order, allo stadio Iggy Pop, alle Cascine Lou Reed; Controradio è il punto di riferimento di tutti gli ascoltatori alternativi e Contempo Records il negozio di dischi sotterraneo per ecellenza. C'è un fermento incredibile.
Alla fine di quel decennio, chi ce l'ha fatta ha cambiato genere per venire incontro al gusto del pubblico generalista (Regina di cuoriii, mi mandi di fuoriiii). Chi non si è voluto piegare è diventato un culto per lo zoccolo duro dei fan (parliamo di Federico Fiumani, sì). Altri hanno fatto esperienze diverse: metà dei Litfiba sono confluiti nei CCCP prima e nei CSI poi, Gianni Maroccolo è diventato una delle figure più importanti della scena alternativa italiana, mentre Andrea Chimenti ha continuato la sua avventura da solo, senza cambiare mai.
Sono scelte, fatto sta che la scena fiorentina si è dissolta nei primi dei '90, esattamente come i Vidia, la band capitanata da Erriquez (poi diventato leader della Bandabardò) alla voce, Alberto Agnelli alla chitarra, Max Rossi al basso, Alessandro Gerbi alle percussioni e Leo Martera alla batteria. Hanno fatto un album solo, uscito per la gloriosa CGD, dal titolo Solo un folle può sfidare le sue molle, prodotto appunto da Maroccolo. Poi, fra pressioni dell'etichetta per fare roba un po' più vendibile e la voglia del frontman di fare altre cose, il gruppo è finito.
Una storia come tante, se non fosse che 30 anni dopo, alcuni dei membri originali si sono rimessi insieme per suonare rock proprio come a quel tempo, coi capelli bianchi, senza tanti compromessi né troppe manfrine, giusto per la passione di farlo, mentre di lavoro fanno altro. "I miei figli mi supportano, ma sono anche molto critici. È bello per loro vedere che loro padre continua a mettersi in gioco", dice Alberto.
Si chiamano Malarima e sono usciti col secondo album dal titolo In equilibrio, dopo l'EP Credere a tutto del 2018: "È un po' spiazzante fare rock italiano oggi, tutti ci dicono che questo suono non va più, che è diventato atipico. Oggi c'è il pop, l'indie che sconfina nel rap, i mie figli masticano questa roba e c'è anche qualcosa che mi piace, un linguaggio che mi incuriosisce, ma non è il mio linguaggio ovviamente. Per noi, a questa età sarebbe assurdo mettersi a fare qualcosa che non venga da dentro, e le nostre radici sono quelle del rock e della new wave".
Alberto, con cui faccio questa chiacchierata, mi dice che con la band utilizzano anche le nuove tecnologie, per essere aggiornati sulla comunicazione: "A volte faccio degli arrosti e mi faccio aiutare dai più giovani! Prima facevi da solo, suonavi nei locali e ti facevi conoscere, poi registravi il tuo demo in studio e ti facevi notare. La comunicazione iniziava quando ti notava un'etichetta. Oggi le cose sono cambiate: si può registrare anche in casa grazie ai software e i ragazzi a 16 anni hanno già l'ufficio stampa, hanno una fanbase che nasce prima ancora dell'esordio", spiega.
La scena di Firenze degli anni '80 è stata una di quelle che hanno fatto la storia della musica alternativa in Italia, ma non pensiate che sia stato tutto merito della maggior coesione delle band, anche ai tempi c'erano invidie e personalismi: "La scena nasceva dal pubblico: c'erano locali disposti a far suonare band che non conosceva nessuno, cosa che oggi non esiste a meno che tu non sia una tribute band, e c'era gente curiosa, che veniva a vedere suonare. Oggi il pubblico preferisce quello che già conosce, non vuole farsi stupire, negli anni '80 invece era un vulcano, spuntavano band da tutte le parti. Alcune buone, altre meno buone, che duravano poco, ma comunque esistevano", racconta Alberto, e continua: "Le radio aiutavano tantissimo in questo senso, io tuttora ho la frequenza saldata su Controradio".
Altri tempi, con altri riferimenti culturali, anzi, controculturali: "Venivamo tutti dal punk, gruppi e pubblico, e c'era più disponibilità alla scoperta, ma anche più critica, ricordo che nei concerti ti tiravano addosso di tutto, non se ne stavano lì semplicemente ad ascoltare. Mancando il pubblico, manca anche la coesione tra le band, quelle che girano oggi e fanno più gruppo di solito sono quelle della stessa etichetta, per un discorso anche promozionale. Oggi a Firenze non esiste più una scena", dice.
I Vidia si sono sciolti per divergenze artistiche e per pressioni della casa discografica, le cose che capitano a quasi tutti quelli che hanno fatto parte di una band: "All'interno del gruppo le tensioni ci sono sempre state, ma sono anche quelle che ti portano a fare il salto creativo, che ti fanno crescere. Non sono più in contatto con Erriquez, in quel momento fu molto difficile quando se ne andò e ci sciogliemmo. Oggi, dei miei ex colleghi della scena fiorentina non mi piacciono molte cose, i Diaframma mi sembra no quelli più coerenti con la loro storia, dai Litfiba mi aspettavo qualcosa di meglio negli anni a seguire".
Il rock coi capelli bianchi a molti può sembrare anacronistico, ma per certi versi è eroico. La voglia è continuare a tramandare uno stile che, al momento, è morto e sepolto: "Facciamo tutti altri lavori, chiaramente. Questa è la passione della vita, ciò per cui ipoteticamente lasceremmo tutto. Credo che il rock sia sempre estremamente rivoluzionario: è un modo di esprimersi in maniera assolutamente libera e priva di schemi fissi, perché rock è una delle parole più generiche che ci siano. È un mezzo per esprimersi che a livello testuale può sempre conservare una certa poesia".
I Malarima presenteranno ufficialmente il disco live al Circolo Il Progresso di Firenze il 16 ottobre.
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L'articolo Malarima: la Firenze Wave non morirà mai di Simone Stefanini è apparso su Rockit.it il 2020-10-08 11:00:00
COMMENTI (1)
bello