Questa storia inizia nella Milano di metà anni 70, non quella degli scontri per le strade o delle etichette alternative, come la Cramps o la Bla Bla, ma quella del sottobosco delle grandi etichette discografiche, fatto di autori che cercano la definitiva affermazione. Uno di questi è il venticinquenne leccese Guido Maria Ferilli, che un primo successo l’ha azzeccato nel 1971, scrivendo la musica di Il bosco no (testo di Mogol), lato B del primo 45 giri di Adriano Pappalardo, Una donna (musica di Mario Lavezzi).
Il successo vero però non è ancora arrivato, e tre anni dopo Ferilli vive in un bilocale al piano terra a Milano. Un giorno, strimpellando la chitarra, esce un pezzo diverso per lui, che di solito è autore piuttosto melodico: “Ogni volta che strimpellavo questo brano tutti i ragazzini che giocavano in cortile sembravano gradire questa musica e ballicchiavano… Non altrettanto con altri miei brani”. Il pezzo è un martellante r’n’b, con un refrain che entra in testa per non uscirne più: “Na-na / na-na-na-na…”. Ferilli porta il pezzo ad Andrea Lo Vecchio, trentaduenne milanese che qualche successo nel carnet ce l’ha: nel 1971 ha scritto il testo, con Roberto Vecchioni, della scanzonata e sbarazzina Donna Felicità, che il complesso soft pop dei Nuovi Angeli ha portato al grande successo; nello stesso anno, sempre con Vecchioni, ha scritto la musica di quello che sarebbe diventato un grande classico della canzone d’autore italiana, ovvero Luci a San Siro; nel 1973 ha azzeccato un altro grande successo con il testo di E poi…, incisa da Mina, musica di David Norman Shapiro, detto Shel, ex leader dei Rokes, uno dei complessi beat più in voga in Italia negli anni 60 e ora riciclatosi come compositore e arrangiatore.
Lo Vecchio fatica a scrivere il testo del pezzo di Ferilli: “Era difficile con quella metrica breve: cercavo qualcosa che ci stesse”. Nasce così, per caso, Rumore, la storia di una donna, che ha lasciato il compagno/marito, perché “ho deciso che facevo da me”, ma una sera, sola in casa, sentendo un rumore, vorrebbe “tornare indietro con il tempo”, realizzando che “da sola non mi sento sicura, mai”. Un testo apparentemente in controtendenza, in anni di acceso femminismo. In realtà, dato che “non ci furono mai polemiche”, come mi assicura Lo Vecchio, calzava a pennello a tutte quelle donne a metà del guado: desiderose di emanciparsi, ma non perfettamente a loro agio fuori dai ruoli che la tradizione assegnava loro. Un po’ il contraltare femminile degli uomini descritti da Mogol nei suoi testi degli stessi anni.
Manca l’interprete: Ferilli e Lo Vecchio pensano a Donatella Moretti, una brava cantante in giro dal 1962, ma che non ha mai sfondato, e si è però conquistata una buona reputazione come interprete impegnata, anche se non politicamente, avendo inciso da poco due album, Storia di storie (1971) e Conto terzi (1972), dove interpreta brani di Franco Battiato, Lucio Battisti, Fabrizio De André, Gino Paoli, Umberto Bindi, Giorgio Gaber, Sergio Endrigo, Bruno Lauzi, Franco Califano, Fred Bongusto, Memo Remigi e Tony Cucchiara. La Moretti incide un promo di Rumore, che Ferilli e Lo Vecchio portano ad Alfredo Cerruti della CBS (tra l’altro, uno degli Squallor). Quando Cerutti sente il pezzo fa un salto: “Ma quale Donatella Moretti!?! Questo è un pezzo per la Carrà!!!”. Detto, fatto. Cerruti telefona a Gianni Boncompagni, uno dei big della Rai, autore e conduttore insieme a Renzo Arbore negli anni 60 di Bandiera gialla, il programma radiofonico che sdoganò il beat in Italia, e nei 70 di Alto gradimento, che rappresentò l’archetipo delle trasmissioni a base di comici che ancora oggi impazzano dovunque. Ma Boncompagni, soprattutto, era il moroso di Raffaella Carrà, ovvero della showgirl numero uno in Italia, sogno erotico proibito dei maschietti nazionali.
Ascoltato il pezzo, rizzate le orecchie, i due da Roma si precipitano a Milano. Negli studi di registrazione di via Salomone, nella sede della CGD, distribuita dalla CBS e casa discografica di Raffaella, vengono chiamati alla batteria Tullio De Piscopo, al basso Luigi Cappellotto, alle chitarre Andrea Sacchi (comparso in diverse incisioni di Lucio Battisti prima maniera) e Shel Shapiro, che cura anche l’arrangiamento, più coriste e fiati. Ricorda Ferilli, che canta pure, in mezzo alle coriste: “Lavorammo in sala parecchi giorni alla presenza anche di Gianni Boncompagni. La stanchezza era tanta e quella melodia era un'ossessione al punto che Raffaella disse: 'E adesso non mi farà dormire! Sento ancora e continuamente nelle orecchie quel na na na...'. Raffaella ha avuto poche difficoltà tranne quella nota alta che dopo un po' di allenamento è riuscita a prendere bene”. A fine settembre il brano è nei negozi.
La Carrà lo presenta nel corso della nuova trasmissione da lei condotta, Canzonissima 1974, una sorta di Festivalbar televisivo legato alla lotteria di Capodanno. Il 7 dicembre il brano entra in Top ten, dove rimane fino al 15 febbraio 1975, toccando al massimo il quarto posto. Ma il successo è enorme: già a dicembre, ricorda Ferilli, “registrammo la versione spagnola, inglese e francese. Raffaella dimostrò di averla assimilata molto bene dimostrando maggiore disinvoltura”. L'espressione chiave del testo è “batte il cuore”: l’ostinato della cassa è infatti l’epicentro di un sisma che arriva scuotere nervi e muscoli, rendendo impossibile stare fermi e scatenando una danza tribale sottolineata dalle pennate acide di una chitarra che sembra già quella che sarà degli Stone Roses. Ma è l’interpretazione della Carrà a far spiccare al brano un salto quantico: come mostrano le sue esibizioni alla tv cilena e spagnola, il pezzo è in realtà un’esaltazione bacchica dei sensi e del sesso, un’orgia corporea senza freni molto più che nella versione castigata che la Rai democristiana la costrinse a dare. Il piglio aggressivo e sfrenato della Carrà trasforma e nega il testo: la paura della protagonista diventa una scusa e una metafora per una richiesta imperativa di soddisfazione di ben altri tremori, quelli del desiderio carnale. Spettacolare, poi, il balletto psichedelico-robotico-ginnico a toni rosa della tv spagnola.
E la nostra storia? Lo Vecchio verrà assunto alla Rai, di cui diverrà uno degli autori di punta; Ferilli scriverà diverse canzoni di enorme successo, ma di genere melodico; la Carrà continuerà a essere un’icona ma dovrà ripiegare, musicalmente, su quello che in Germania chiamano lo schlager, ovvero un melodico kitsch: nel suo caso, però dai toni latini. La bomba sexy che aveva lanciato sul Paese era troppo per gli Italiani, anche se Rumore, non a caso, rimane ancora oggi il brano cui più è affezionata. E chissà, forse in cuor suo ha il piccolo rimpianto di non aver proseguito una carriera da rocker. Ma con dieci milioni di copie vendute, è paradossalmente lei la più popolare rocker italiana all’estero.
---
L'articolo Raffaella Carrà e la storia di Rumore, con cui è diventata rockstar in tutto il mondo di Redazione è apparso su Rockit.it il 2012-06-26 00:00:00
COMMENTI (2)
Il clichè classico per questo brano ballabile a forti tinte Rock adottato dai giovani frequentatori dei nightclubs (come erano chiamati all'epoca nonostante le restrizioni per gli orari di chiusura) era il giubbetto di pelle simil chiodo oppure con zip centrale ,collettone (magari con punte arrotondate) e polsini in tessuto entrambi modelli meglio se effetto vissuto, jeans sdrucito scampanato o a "palazzo" e ovviamente stivale per lei o stivaletto anche con zip interna per lui , una sorta di biker look in stile Rock molto in voga a quei tempi (adottato anche dal corpo di ballo che contorna la Carrà)
Commento vuoto, consideralo un mi piace!