"Ma tu la sai la storia dell'Americano?". Questo dico a Carlo con un Vermouth in mano, rosso e basta, la scritta Cinzano con un rivolo di condensa del ghiaccio freddo sopra. Quella storia non la conosce nessuno dei due, ma ho sentito una volta che qualcuno ne parlava all'amico di uno che ho conosciuto, e allora me la invento. Metà bicchiere di Torino, l'altra di Milano, per berlo devi fare avanti e indietro. Quando cerco la vera storia dell'Americano, mi accorgo che non eravamo molto lontani. Questa è solo la prima storia di lunedì sera. È così che all'inizio di una delle estati più calde ci troviamo seduti su un tavolino di legno, per un momento in cui il tempo smette di scorrere scandito dalle lancette, diviso invece dai sorsi di Cinzano. È la qualità di come lo spendi e non la misura che ne dai a definire il tempo, da qui in poi. Bastano un bicchiere e alcune paia di occhi diversi e amici per un momento genuino in cui, almeno in quelle ore, ci basta quello e nient'altro.
Upcycle Cafè, Milano, un locale nordeuropeo vicino al Politecnico, un posto in cui gente con la bici a scatto fisso viene a mangiarsi un bagel al salmone. Noi ci veniamo a bere un Milano Torino. Uno dei migliori che prendevamo da tempo, tanto da chiederci perché non lo ordiniamo più spesso, ma questo ancora non c'entra. Tre storie passano da qui stasera. A portarle Sofar Sounds, la community degli house concerts senza telefoni, una sorta di Fight Club per chitarre acustiche e orecchie curiose.
La prima a passare qua dentro è quella degli Wow, tra Patty Pravo e un funky contemporaneo. Eleganti, raffinati, stranianti. Potrebbero assomigliare a tanti, passare in sordina, ma trovano il modo di costringerti ad ascoltare. Guardarli, attirato nella seta di un ragno. Quando arriviamo sono tutti su un tavolino, fuori e con dei bicchieri pieni di ghiaccio lucido e rossastro sul tavolo. Una fetta di arancia, dolce, un retrogusto lontano, amaro. Non ci eravamo mai incrociati prima, ma abbiamo amici comuni, così iniziamo parlando di loro. "Lui sta bene, te lo saluto" - "Anche lei, mi ha sempre parlato tanto di voi". Con un disco che deve uscire a breve, con loro è un arrivederci.
Alessandra non tornava a Milano da un po', almeno per suonare. Mi racconta la prima volta che Milano è diventata una città importante, per lei che 12 anni fa parlava in radio della sua musica. O meglio di una canzone, quella stessa canzone che ha un certo punto è diventata, e forse è ancora, più pesante del resto. Così, dopo Il Genio e dopo "Pop porno", Alessandra Contini torna a suonare a Milano. Anche lei ha un Cinzano in mano, senza tonica o altro, solo vermouth che sa di bere iconico, classico. Una Charlotte Gainsbourg del Salento con un basso in mano, che se solo avesse avuto un ampli più grosso. Ma il posto è piccolo, tornare è bello e per questa volta va bene così. Alessandra sorride molto durante la sera, si vede che è nervosa, e si vede il fatto che probabilmente si sta godendo il tornare ad essere nervosa in quel modo.
Il live di Contini
Al bancone del bar ci sono Massimo e Carla. Lui è Blindur, lei suona il violino, ed è la sua ragazza, e suona con lui. Quando gli chiediamo come stanno andando le cose ci risponde che "sta navigando a vista". Solo che Massimo è cieco. Da questo momento ogni cosa che ci dirà, e che noi diremo a lui, sarà avvolta in una leggerezza disarmante, spontanea e bellissima. Per relazionarsi in un certo modo a sé e agli altri non basta esser nati divertenti, lo capisci subito. Tra l'Islanda, l'Irlanda e Napoli la musica di Blindur ha un pubblico, sicuramente, ma non è la cosa più nuova che tu possa sentire. Per capirlo devi vederlo dal vivo. Il modo che ha di condurre lo spettacolo lo mette a metà tra un pub, un crooner, un cantante folk e, negli intermezzi, uno stand up comedian. Quest'altalena tra il serio, il serioso e il cazzone fa molto bene alla musica, vestendola di una leggerezza preziosa. Io e Carlo ci diciamo l'unica cosa che puoi dire a due così, che sono due persone buone. Come ci dice Massimo prima di andare, cin cin - Cinzano!
Il live di Blindur
Dentro faceva caldo, parecchio caldo. Non era così all’inizio, ma mettici il peso delle parole e il contatto delle persone e la temperatura si alza. Non è un male questo. A cosa servono quindi quelle bottiglie dietro il bancone, i riflessi del bicchiere sul polso, il sapore d'arancia e la bocca dolceamara? A sigillare la giornata in un cubetto di ghiaccio, per zittire l'orologio, il tramonto e il tempo. Così, dopo 4 ore che sono sembrate 2, ce ne usciamo felici e con le orecchie piene. Ora che usciamo tira un po' d'aria, un po' troppa. "Si stava bene dentro", dico.
"Ma quindi qual è la storia dell'Americano?"
"Quella che vuoi".
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L'articolo La sai la storia dell’Americano? di Redazione è apparso su Rockit.it il 2019-08-02 08:50:00
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