Azzardato non citare i primi Cure come mentori musicali e probabilmente anche culturali dei Copenhagen!, quartetto di Bologna dedito ad un indie venato da post punk e cantato in inglese. Il fantasma di Robert Smith e soci aleggia in più di un'occasione con il suo incedere moderatamente rabbioso ed elegantemente cupo già dall'opener "Shine the lights on", connotata da un ritmo piuttosto incalzante e qualche coro ruffiano qua e là. Più lente le successive "Brighton calls" e "Surfers": la prima si configura come la migliore del lotto, con un riff portante accattivante ed un ritornello che trasuda il disagio sociale di un'ideale gioventù periferica inglese degli anni 2000, mentre la seconda, pur sorretta da un interessante parallelismo fra una chitarra trascinata ed un beat dissonante, è destinata, alla lunga, a tediare anche l'orecchio più paziente. I musicisti non si distinguono per spiccati virtuosismi tecnici, in un meccanismo nel quale tutti gli ingranaggi lavorano meccanicamente, ma proprio da questo aspetto sgorga il limite del disco, risulta prevedibile e scevro di guizzi che inducano a rimetterlo nel lettore nel tempo. Per distinguersi nell'affollato music biz occorre profondere ben altro impegno. Rimandati a settembre con il sincero invito a togliere il poster dei loro gruppi preferiti dalla loro sala prove.
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