I Mariposa sono un capolavoro. Non i dischi, ma proprio loro. Per la lucida follia con cui da dieci anni mettono insieme le pagine di quello che un giorno sarà forse riconosciuto come un piccolo romanzo surreale della canzone italiana altra. Geniali e cialtroni. Burleschi e strafatti. Sperimentatori e scanzonati. Astronauti della canzone d'autore. Vagabondi dell'istrionismo strumentale. Si potrebbe andare avanti all'infinito, ma sempre mancherebbe qualcosa. Perchè i Mariposa sono una preziosa anomalia che regala speranze all'urgenza di autonomia artistica di chi scrive canzoni in Italia. E se la complessità dei loro dischi precedenti li relegava ad ascolti più complicati, stavolta hanno fatto un disco per tutti, o quasi. Una vera opera pop, per adulti e forse pure per bambini. Si scherza, si gioca. Non solo. Si riflette, si sussurra. Persi in quel concetto di poesia dell'assurdo che li rende un po' romantici anche quando è ovvio che ti stanno prendendo per il culo. E se Enrico Gabrielli ormai può insegnare come scrivere a pastello sul pentagramma, esiste un universo parallelo in cui Alessandro Fiori è il gemello apocrifo di Lucio Dalla, sfidandolo in gare di tuffo in piscine di marmellata. Ma è tutto il settetto a suonare come suonano quelli bravi davvero. D'altronde un alieno come Daevid Allen, fondatore dei Gong, non si sarebbe gettato in questo giroscopio se non ci fossero mondi da esplorare. E qui ce ne sono ben undici, tutti molto curiosi ed ispirati, alcuni davvero bellissimi, emozionanti. Tanto pop, tantissimo. Più pop di qualsiasi cosa mai fatta dai Mariposa. Frank Zappa c'è, ovviamente, ma stavolta guarda da lontano e si compiace anche della normalità. La psichedelìa appare e scompare, dissolvendosi con dolcezza. Il prog-rock che strapazzava le vecchie canzoni, ora scarabocchia le strutture con segni più lievi. Appare la canzone italiana anni sessanta, chè quasi per un attimo viene in mente Gino Paoli (in acido). Attimi, suggestioni. Perchè poi c'è l'elettropop più americano, con le cose digitali. E di nuovo le orchestrazioni tutte italiane, a sconfinare in colonne sonore per le giostre. Ci sono le strofe morbide coi ritornelli al posto giusto. I testi surreali, col timbro Mariposa e con commoventi racconti agrodolci. C'è poi quella melodia elegante che fa dlin dlon: per pochi istanti verrebbe da nominare i Beatles ed Elliott Smith, o qualcosa del genere. Insomma, non ci si era mai coccolati tanto in un disco dei Mariposa, senza doversi solo scervellare ad aspettare l'ennesima schizofrenia dietro l'angolo. Un grande disco. Un disco dei Mariposa. Teniamoceli stretti questi pazzi.
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