Certo, potrà essere una fortuita coincidenza, un Vasco Brondi vs. Francesco Perrotta stile Antonio Meucci vs. Alexander G. Bell o Gottfried W. von Leibniz vs. Isaac Newton. Sta di fatto che il nome di Un incoerente come tanti, identità scelta da Francesco Perrotta, rimbalza in rete già da qualche mese, ovvero da quando sono iniziate a circolare alcune canzoni. Testi da scenario post-industriale e post-umano, cantati, declamati e urlati sopra una chitarra grezza e senza fronzoli. Cantautorato scabro, che vuole farsi carico delle ansie e degli orizzonti plausibili di una generazione. Queste poche righe di descrizione possono voler dire tutto e niente, ma se avete fatto partire il player qua sopra avrete già capito dove sta il problema: al primo ascolto, Un incoerente come tanti appare pressoché perfettamente sovrapponibile a Le luci della centrale elettrica. Gli ascolti successivi trasformano questa sensazione in spudorata convinzione. Andiamo con ordine. Il problema non è tanto lo stile: chitarra e voce lo fanno milioni di persone, scontato che due possano assomigliarsi. Certo, in questo caso, come già detto, si parla di vera e propria sovrapponibilità stilistica, ma francamente questo è l'aspetto che meno mi tocca. È infatti altro che francamente fatico a capire, è altro che non riesco a spiegarmi: è l'immaginario. In questi anni ho ascoltato tantissimi artisti nuovi e, al di là delle differenze di genere o di tecnica, mi sono appassionato a quelli che sono stati in grado di crearsi un proprio mondo, costruito con un'autorialità forte e riconoscibile. Non sto parlando di originalità in termini assoluti, concetto che personalmente non mi interessa, ma di capacità di (ri)elaborazione di un sistema di riferimenti che nasca e sia riconoscibile e riconducibile univocamente ad un nome, a un gruppo di persone. È questo che squalifica il lavoro fin qui compiuto da Francesco Perrotta da Prato: l'aver costruito un immaginario che non riesce a smarcarsi da uno già creato, peraltro da pochissimo. Le stesse parole, gli stessi toni, lo stesso tipo di istanza narrante (il noi), le stesse citazioni ("Il cielo è sempre più blu"), le stesse aree semantiche, le stesse costruzioni linguistiche, le stesse ripetizioni interne. Non volendo parlare di plagio o copia e credendo alla buonafede di Perrotta, si può solo parlare di una scelta incomprensibile, di un macroscopico errore di valutazione. Per ora, quello che ci resta sono una serie di canzoni che non hanno personalità propria, che non possono non vivere all'ombra di e che quindi si fanno dimenticare all'istante. Non esattamente un esordio folgorante.
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