Questa è la storia di un paese piccolo, così antitetico alle logiche del credi-in-te-stesso che per anni ha iniziato ad attaccarsi all'estero. E tanto ha fatto, tanto ha detto, che si è tirata addosso una palata di indifferenza verso le potenzialità sue, e ha cominciato a studiare i migliori manuali brit, sottolineandoli di pugno, incanalandoli tanto da farne cultura propria. Ordinaria simulazione di un modo di vivere. Stili e stilemi che si riflettono in te. E tu che inconsciamente ti rifletti in altri, probabilmente migliori. Probabilmente più fortunati. Sicuramente più capaci a gestire e a credere la possibilità di essere Primi. Questo per dire che: i Gazebo Penguins arrivano dalla nebbia nebbiosa emiliana eppure sembra che con un low cost ci portino in Inghilterra senza scalo. Dritti dritti. Ed è un low cost di quelli che non ti aspetti, che non paghi un cazzo perché sei appena uscito dall'autoproduzione, eppure è un viaggio perfetto che vale tutto il prezzo del biglietto, bagagli a mano compresi. I Gazebo Penguins realizzano con questo "The name is not the named" la loro seconda prova discografica.
Chi vuole tutto e subito e si spreme le palle per averlo poi qualcosa ottiene. Perchè "The name is not the named" è una prova ad alto livello. Undici pezzi che scorrono come schegge, distanti dalle prevedibilità di tutta l'altra musica che per condizioni di sopravvivenza si adatta alla facilità dei tempi nostri. Punk veloce eppure pop. Pop rabbioso eppure melodico. Tutta una cultura musicale anni novanta nel substrato. Undici pezzi lanciati come sassi. Post punk, power punk, indie punk: i tasselli degli appellativi poi cercateli voi, col rischio di andare in crisi dietro la ridicolezza di un genere precostituito. Brani come "You&me&dave" o "Babo vs Mollica at the gate" piacciono per capacità di unire la sfrontatezza del punk più ruvido all'ingenuità dell'indie più cool. Tutto con tecnica. Tutto con la strafottenza della gioventù, con le palle che bruciano, con le urla che trascinano. Spunti hardcore per violenza. Filosofie selvagge di tre pinguini di periferia che decidono di adattarsi ad un mondo freddo, perché bisogna comunicare, ché i ghiacciai si sciolgono e non c'è un cazzo da aspettare.
Per dirla tutta "The name is note the named" è un lavoro col botto. Un'occasione per loro, per noi (fratellid'italia), e per la musica italiana. Un lavoro col botto. Che se non scoppia ci domanderemo ancora una volta dove stiamo sbagliando. Ci accorgeremo probabilmente di non aver capito un cazzo di mode, tendenze e gusti generazionali. Capiremo che l'America o l'lnghilterra sono lontane, e non basta un volo low cost. E tanto si sa che this is Italy, ma i pinguini a primavera si guardano intorno e migrano altrove.
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