Ciò che di certo non manca ai Medusa e a questo loro lavoro è l'ambizione. Ambizione dal punto di vista meramente formale, ma anche e forse soprattutto da quello contenutistico. Veniamo subito al dunque dicendo che se da una parte l'obiettivo è pressochè centrato, dall'altra si fatica a non storcere il naso. La musica qui esibita è, nei fatti, davvero interessante, studiata, rodata e pulsante, una sorta di crossover adrenalinico di stampo anni 90 che, se si lascia andare a sfuriate punk, non perde mai di vista il groove e si mantiene sostenuto per tutta la durata del disco. Buone capacità melodiche unite a una voce che in alcuni momenti pare un curioso ibrido di Samuel/Subsonica e Davide/Ministri, elettronica usata qui e là, senza pretese e senza strafare, tutto buono insomma. Ma. Considerando che un maestro paroliere come Jarvis Cocker, a proposito dei testi nella musica pop, ha parlato di "male necessario", definendoli come qualcosa di raramente utile, i Medusa cadono (rovinosamente in alcuni casi) nel tranello della retorica e dell'invettiva tout-court. Luoghi comuni sulla società (i politici che rubano, i punkabbestia paraculati e via dicendo), una metaforica rapina in banca mascherati da Venditti, Morandi, Dalla e Celentano e una vaga sensazione, lunga tutto il cd, di qualcosa di stantio, che non ne vuole sapere di decollare, accontentandosi di constatare che tutto fa schifo. Il problema è che questo lo sappiamo già e a quel punto tanto vale darsi al disimpengo e cantare di sole, cuore e amore. A quel punto è meglio la poetica nichilista dell'estinguiamoci dei Ministri, è meglio il desiderio di scottarsi con il fuoco che brucia Milano cantato dai Grenouille: qui manca persino il condizionale del "vorrei fare qualcosa che serva" e l'unica reazione è quella di chiudersi in sè stessi ascoltando "il walkman". Ci si ferma al presente che non riesce a guardare al futuro se non in maniera negativa; e un po' ci sguazza. È rock avverbiale e non sostantivato, se mi si passano queste definizioni strampalate. Spiace davvero, perchè la musica spacca a dovere e non si accontenta di soluzioni banali, mentre, in sostanza, si resta vagamente irritati dall'enfasi legata a prese di posizione che in realtà non centrano alcun obbiettivo specifico e ci lasciano con il vuoto tipico di certo populismo che vede tutto irrimediabilmente nero: ma forse hanno ragione loro e a questo punto ascoltateli e vedete un po' voi.
---
La recensione I musicisti hanno facce tristi di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2009-05-07 00:00:00
COMMENTI