Curiosa la scelta dei Brother James di far uscire la loro opera prima il 31 dicembre del 1999, quasi a voler significare che i loro suoni si collocano ancora nel XX secolo, pur essendo proiettati verso il successivo. Non inganni però questo preambolo, perché non stiamo parlando, in questo caso, di futuro come sinonimo di elettronica, ma bensì di rielaborazione (validissima) dei canoni rock, parola spesso accompagnata dal prefisso ‘post’.
Il terzetto di Parma non sfugge certo a questa categorizzazione, pur non rimanendo ancorato ai canoni di cui sopra; si cerca così di dar vita ad un personale discorso musicale, fatto di ‘frasi’ che non mancheranno di stuzzicare la vostra curiosità, soprattutto se certe sonorità d’Oltreoceano fanno parte della vostra formazione.
Ecco così che "Jump start", e subito dopo "Faint", svelano subito le qualità della band: la sezione ritmica è asfissiante, mentre la chitarra ricama trame variabili sul concetto di rumore. Tutto il disco è realizzato seguendo questa falsariga, anche se episodi come "Pylon" e "Slo dance" rivelano particolari interessanti, ovvero come si potrebbero incrociare melodia e contaminazioni noise mettendo d’accordo teoremi e teorie di varie scuole (da quella storica newyorkese del rumore a quella di Chicago).
"Lack" in una mezz’ora (un plauso per la scelta della breve durata), mette in fila 8 pezzi che fotografano l’eccellente ‘stato di grazia’ di una band italiana che non teme confronti con i colleghi internazionali. Non è casuale che sia una label tedesca a pubblicare il cd d’esordio, quasi a dimostrare, ancora una volta, che nella nostra nazione esistono realtà musicali che anche (solo?) all’estero riscuotono successo, dove successo non deve per forza ‘far rima’ con classifiche.
Con la speranza che i Brother James smentiscano questa ipotesi, non possiamo che consigliarvi il lavoro, ottima raccolta di suoni (e rumori) per l’anno, il secolo, e il millennio a venire.
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