Non un lavoro che suoni estremamente nuovo, è la prima considerazione che mi sento di fare dopo aver ascoltato le prime tracce di questo "Primitive". Chitarre grasse, rumorose, nervose, dal ritmo incessante, incalzanti e piene di rabbia. Sonorità che si rifanno tanto allo stoner, quanto al crossover/nu metal degli anni 90. Cantato tagliente e melodie aggressive fanno in modo di creare un suono potente, deciso e corposo, quanto scarsamente innovativo.
Per carità, ciò che fanno lo fanno con bravura e nel loro genere sono fautori di un sound estremamente curato, il problema è che personalmente trovo il loro indirizzo un tantino superato e demodè, facendomi tornare in mente band come i Theory of a Deadman o Three days grace, tra le band americane più conosciute della scena post grunge, tanto seguita nella patria a stelle e strisce quanto snobbata e scarsamente aderente agli umori ed amori nostrani.
Da Arezzo come se fosse l'America, tra adrenalina a palla come in "The higher truth" (brano meglio riuscito del disco) e pezzi troppo ripetitivi. I Fudosatellite hanno sbagliato periodo e spazio geografico per uscire fuori con un lavoro del genere e, sebbene sia sbagliato parlare per ipotesi, questi quattro ragazzi aretini avrebbero avuto grossa fortuna se fossero nati oltreoceano. Hanno bisogno di insistere maggiormente sui momenti più stoner e lasciar perdere le derive post o nu difficilmente apprezzate dalla platea del Belpaese.
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La recensione Primitive di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2009-11-18 00:00:00
COMMENTI (1)
Ciao sono Flavio.
Non ho ascoltato ancora bene il disco, ma mi sento di scrivere un mio pensiero.
Sebbene ritengo sia più che legittimo considerare un album non troppo originale (con musica già sentita e fatta in passato) non condivido per nulla il ragionamento secondo il quale non andrebbe bene un certo tipo di musica se la fai in un Paese in cui al grande pubblico è difficile che piaccia e quindi il suggerimento di spingere più su certi aspetti piuttosto che su altri su cui sarebbe difficile essere apprezzati dalla platea di una certa nazione. Mi sembra davvero poco sensato oltreché poco costruttivo perché chi fa della musica (come qualunque altra arte) non credo che debba creare in base al fatto se pensa possa andar bene per il grande pubblico della nazione in cui vive e crea il prodotto. Poi se piacerà ben venga, ma non deve essere un ragionamento a priori, sennò condiziona la propria creazione e rischia, tra l'altro, anche di peggiorarla in qualità!
Non si sta parlando di un'impresa che deve conquistare il mercato nazionale, ma di artisti che creano ciò che possono e che si sentono di creare.
Per quanto mi riguarda questo è un aspetto molto importante che chiunque abbia a che fare con questo mondo(dall'artista al critico ecc.) dovrebbe avere bene a mente. Per lo meno nell'arte ci dovrebbe essere libertà espressiva, condizionata il meno possibile dal mercato, perché ci sono già tanti altri mestieri in cui è sensato e proficuo ragionare nell'altra maniera.
F
(Messaggio editato da soulofthecave il 08/12/2009 00:19:22)