L'amore è come un fico d'India. Non so se avete mai mangiato un fico d'India allo stato brado. Cioè, se l'avete mai colto, l'avete spinato, poi sbucciato… ancora bollente sotto il sole cocente d'Agosto nel sud d'Italia.
Si fa così. Intanto ci si attrezza con un arnese fatto in casa: ad un manico di scopa si lega una latta di pelati pulita e si va a pesca. Quasi come per le farfalle con il retino. Dopo di che si gettano i fichi d'India in un secchio d'acqua, sperando di lavar via tutte le spine trasparenti, poi si getta via l'acqua. Dal momento che le spine dei fichi d'India sono bastarde, l'ideale sarebbe ripassare i frutti sotto un getto d'acqua, avendo cura di non avere alcuno di fronte a sé, altrimenti diventa una specie di tiro al bersaglio.
Ma ancora non sono pronti.
Avreste mai il coraggio di prenderli in mano? Beh, con molta accortezza si procede comunque alla sbucciatura.
Ecco ci siamo quasi, pronti al primo boccone.
L'avete mai mangiato un fico d'India? Sono tra i frutti più dolci e saporiti che la natura abbia mai offerto, ma non è così semplice neanche mangiarli. Bisogna morderli lentamente, masticarli con dolcezza. All'interno hanno un numero considerevole di piccolissimi e durissimi semini, capaci anche di scheggiarti un dente, se non stai attento.
L'amore è come un fico d'India, quindi. Perché i gesti dell'amore hanno bisogno di attenzione, lentezza, gentilezza. Si rischiano sapori acri e finta felicità, altrimenti. E c'è comunque sempre il rischio di una fottuta spina. Di quelle che se ti entrano nella carne non le vedi e continuano a pungerti per giorni. Ovvio, poi, che le spine dell'amore possono continuare anche per anni.
Quindi l'amore può essere pure più pericoloso di un fico d'India.
L'album degli Albanopower è come un fico d'India. Non è così facile da apprezzare subito. Colorato come sono colorati quei frutti, come può esserlo l'amore. Ma nel disco si sentono pure le spine. Quelle di pensieri malinconici, di sensi di mancanza, di storie un po' rompipalle.
Che detto così, sembra pure la solita solfa.
Invece si comincia con un'ossessione e si finisce con un aereo ripreso per sbaglio. La musica sa essere così allegra, che quasi quasi ci credi che le cose possono migliorare. E se ci credi diventa vero. Probabilmente.
Gli Albanopower sono cinque matti. Romanticissimi, ognuno a suo modo. E un po' di tempo ne è passato da quando decisero di regalare canzoncine di Natale, evidentemente c'era un Etna nel loro desiderio di fare musica, che per una volta non ha fatto danni esplodendo. Superata l'attitudine un po' blueseggiante dei primi ep, hanno dato vita alle loro visioni più allucinate, attingendo ai suoni vintage psichedelici e ripetitivi degli anni 60-70, regalando una prova riuscitissima di ispirazione kraut-elettronica di pieni anni 90, fino a creare distonie elegantissime tra un piano scordato e una voce angelica, lieve e tagliente allo stesso momento, da graffiare l'anima.
La cosa incredibile è che non è finita qui. Capitassero i Beach Boys, o piuttosto i Notwist, Thom Yorke o magari anche i Beatles in quell'angolo lontanissimo dov'è Siracusa, credo che si divertirebbero davvero a suonare con gli Albanopower.
Attenti, meticolosi, puntigliosi, pignoli. Pochi mezzi, tanto amore per la musica. Ci son voluti due anni, prima che questo disco vedesse la luce. Non solo per i pochi soldi, per la cultura indipendente sempre col fiatone per le strade in salita. No, perché anche dove non c'è la pulizia di una produzione cromata, c'è una minuziosità che ogni band che si rispetti dovrebbe invidiare. Fateci attenzione. Ma soprattutto ci sono degli ottimi musicisti, grande talento e infinita semplicità d'animo.
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