Barbagallo
Floppy Disk 2009 - Lo-Fi, Psichedelia, Pop

Floppy Disk

Sei incostante. Mi alterni melodie soavi a drammi psichedelici profondi. Poi mi prendi mi coccoli e mi stendi su una moquette anni novanta, invecchiata da uno strato di polvere in cui ci rotoliamo starnutendo per ore. Poi mi alzi, mi guardi e mi dici. Chi sei? Potrei fare la stessa domanda io a te. Così non ci badiamo. Ci rivestiamo. Ci rispogliamo. Ci bestemmiamo e ci baciamo. Siamo incostanti. Confusi distratti. Così alterniamo i sorrisi ai lamenti e ci diciamo poesie d'amore digrignando i denti.

"Floppy Disk" è un magnifico album incostante. Ovvero forme e colori che si condensano in modo eclettico e sempre nuovo. Un album maledettamente retrò, con un tremendo appiglio vintage che sfodera echi profondi e tradizioni lontane. Corde slabbrate e strutture psichedeliche caldamente blues. Come se la Siracusa più assolata ospitasse per un giorno un meeting sulla classic music americana, costringendo per ore Neil Young, Frank Zappa e i Jefferson Airplane (centuplicati) a stare stretti stretti in un teatro greco suonando a random, sull'arena bollente, frammenti country blues e radio rock.

È così che Barbagallo (già con gli Albanopower e i Suzanne'Silver) darebbe vita a questo suo secondo lavoro, un magnifico concentrato di strutture dissociate ed incastrate come Lego ineguali di uno stesso edificio. Dalle atmosfere hippie di "Paper Mirror" alle moine glamour della bellissima "Pale Purple Sky", Carlo Barbagallo si sbizzarrisce in un lavoro di attitudine lo-fi inflessa alle più svariate storpiature acustiche. E ciò che già si era avveritito in "The" (2008), con i lamenti minimali ed i suoni di un ditale sdraiato su morbide chitarre hendrixiane, viene ora esplicitato in modo più compatto e maturo, più ricercato e soprattutto supportato nel complesso da un prodotto più definito.

Striduli e lamenti si lasciano così addomesticare in un suono caldo e ringhioso, a tratti graffiante a tratti squisitamente corposo e addolcito, stendendo anche le distorsioni più sporche su sottili melodie fatte di pop, di fischiettii, di tasti di pianoforte e briciole di elettronica decorativa.

Un album che d'altronde si infarcisce la bocca di citazioni fino a sbrodolarle tanta è l'abbondanza con cui ci si ingozza: dalle ballate dei Wilco alle follie strumentali di Beck alle atmosfere tipicamente floydiane. E tuttavia, spremuti gli agrumi, quello che vien fuori è un succo denso e personalissimo, a tratti squisitamente acre a tratti dolce e rinfrescante. Un piccolo gioiello sperimentale da possedere.

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