Io ho un'idea deviata della città di Barcellona: per me è un posto che induce alla follia e trascina le persone verso intimi e remoti desideri, anche se in realtà non ci sono mai stato. Ma è comunque la città delle gita di quinta liceo, degli Erasmus di nove mesi senza fare esami, dei botellòn in piazza fino a notte fonda, una città dove la gente festeggia senza sosta e senza freno, almeno credo.
Con questi preconcetti in testa indago sui Chupaconcha, duo tromba elettrificata e batteria italiano ma in asilo musicale nella città catalogna, e mi chiedo anche se lo stile di vita iberico non li condizioni nel modo di suonare, visto che se solo la formazione può sembrare originale la musica è proprio fuori dagli schemi.
"Hippie Happy Hypnofunk" è l'ultimo EP autoprodotto, composto da tre canzoni barcollanti, lesionate e contorte, un vorticare incessante e senza equilibrio. Oltre il jazz, il rock e il funk, la vera meta dei Chupaconcha è la psichedelia pura e già la prima canzone "Guru Wild" in questo senso è un manifesto: la batteria dirige una cerimonia pagana, una fanfara ubriaca e dannatamente rock'n'roll, mentre la tromba crea un esercito in loop di fiati stanchi per poi lanciarsi in frasi da riprocessare con l'elettronica. La formula, applicata in serie, è di una fine volgarità, un'eleganza brutta e informale che prima ti disgusta, poi ti inebria e infine ti stordisce, come la post-sbornia di "1000Scimmie".
Gli ascoltatori medio-saputelli storceranno il naso davanti ai Chupaconcha, additando paragoni e similitudini avventate, paventandone un qualche interesse, ma sbagliano perché non è questo il modo di ascoltarli. Di fatto i due italo-spagnoli non ci tengono a sbalordire l'ascoltatore, suonando stretti nella veste sperimentale ribadiscono un concetto semplice e sincero, la scusa ufficiale di ormai molti cervelli in fuga nostrali: facciamo quello che vogliamo, come lo vogliamo, non dobbiamo piacere proprio a nessuno.
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