Qualche nome a caso? Amalia Grè, Nicky Nicolai, volendo anche Rossana Casale. E l'elenco potrebbe continuare ancora per un bel po'. Tanto per dire che di cantanti jazz ce n'è a pacchi anche in Italia, che il genere è stato sdoganato da tempo e che è arrivato anche al Festival dei fiori appassiti. Maria Ventura non è che una possibile outsider del lotto, dall'alto della sua voce in grado di ricordare nientedimeno che un mostro sacro come Mina e dal modo in cui riesce a mescolare il già menzionato jazz assieme a tracce di musica d'autore, al tango e al Brasile. Il mondo della vocalist bresciana è tutto rinchiuso tra questi confini, all'interno dei quali c'è "Un filo di pazzia", album raffinato e suonato da una band, l'AdVenturam Trio, piuttosto talentuosa. Inutile cercare all'interno di queste 12 tracce rivoluzioni copernicane o novità in arrivo da chissà dove: il suono al loro interno lo abbiamo già ascoltato più di una volta ma va bene così, perché, al di fuori di qualche pesantezza qua e là (una sin troppo lunga e angosciante "Dove arrivano le onde", tanto per fare un esempio), il disco scorre bene e riesce a farsi apprezzare. Però ci sarebbe voluto davvero quel filo di follia richiamato dal titolo dell'album, forse si poteva osare di più: certo, belli gli omaggi, senza dubbio consapevoli, tipo quello contenuto in "Liberati i nostri baci" che a un certo punto sembra chiamare all'appello "Take the A train", standard di Billy Strayhorn reso famoso dall'orchestra di Duke Ellington, ma per il resto c'è un pizzico di autocompiacimento che un po' stona. Però bravi lo stesso.
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La recensione Un filo di pazzia di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2009-09-07 00:00:00
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