Non ci stupiamo o spaventiamo se ci piacciono questi quattro torinesi. Inevitabilmente figli, prodotto del periodo storico che corre, anche se musicalmente molto legati ai 90 e con più che qualche rimando al decennio che li ha preceduti. Atmosfere, esperienze, panorami ed immaginario da condividere con i Marlene Kuntz post-"Il Vile". "Cromoliquido" subisce l'ombra onnipresente della Mole, la frustrazione di una città, di un Paese che ancora non si è tramutato in qualcosa di definito e reale ma si è assestato sulla grottesca rappresentazione di uno spettacolo di marionette in mondovisione. I Margaret si portano dietro tutto ciò, dando vita ad un disco saturo, cupo, quasi opprimente nella sua rabbia sfacciata. Musica non come evasione ma come correzione a penna rossa, evidenziatore implacabile. Un disco che non poteva non essere rock, vagamente noise, vagamente post, ma sempre e sostanzialmente rock. Testi maniacalmente curati, ostinati nel cercare un ruolo da protagonisti a costo di rischiare di divenire ridondanti. Vorticosi ed avvincenti gli arrangiamenti, così come il contesto che ti si crea intorno, che ti stringe il petto mentre ti ritrovi a cercare il finale che preferisci per la storia che ti scorre accanto senza chiederti come va. E la storia dei Margaret ci piace e conquista. Il finale però devono sceglierlo loro, compiendo quell'ultimo passo verso un prodotto ancor più personale, ancor più convincente se vogliono diventare, come ci auguriamo, uno dei punti di riferimento della scena rock nazionale.
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