Testi taglienti, atmosfere di strada, di notti insonni, di incubi che si materializzano in death songs di una New York fatta di spettri, cambi di umore e bave chitarristiche. Narici di basso aspiratutto, una drum machine rotta e la pregnanza inafferrabile di una cifra sonora dal battito crudo e le progressioni vocali aliene. Dalla Romagna al Greenwich Village il passo è breve per i Mquestionmark. La formazione emiliana dopo l'esordio compulsivo di "Absolutely Pizza", torna in pista con un disco beffardo dalle corde acidule e dalla promiscuità musicale, in cui malsane elegie su linee melodiche stranianti tracciano una parabola sonora da marciapiede stile Lou Reed. "One For All All For One" è un caleidoscopio di pulsazioni che scoppiano fuori da un cuore stretto in un pugno, affogato nella terra. Congerie di synth abrasivi, una voce femminile turpemente meravigliosa che sputa sangue marcio eppure delizioso, in un salone affollato di vipere che annidano i polsi e gentiluomini senza spina dorsale. Una versione mutante e per nulla narcotizzata di musica metropolitana fra Rapture e Liars: nei solchi di queste undici canzoni si respira aria di post-punk e una grande libertà espressiva. Se questo ancora non bastasse, dietro l'angolo c'è poi una dose massiccia di poesia decadente che potete ballare senza vergogna, raschiandovi le mani a forza di hand clapping ("I hate my work").
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