Torna dopo tre anni Obsil, il progetto del senese Giulio Aldinucci, evento che mi permette di valutare personalmente quanto la percezione emotiva di un'opera d'arte sia, per la sua quasi totalità, frutto dello stato d'animo dell'ascoltatore più che di caratteristiche intrinseche alla stessa.
Nel periodo intercorso tra "Points" e questo "Distances", in effetti, ho avuto la possibilità di modificare il catalizzatore del mio trasporto emotivo. Prima la musica, ora un individuo. Anelato da sempre e, forse per frustrazione, sostituito con le note. Innamorarsi per la prima volta e per la prima volta esser corrisposto ha cambiato tutto, me ne accorgo dal distacco e dalla scarsa voglia che ora caratterizza i miei ascolti musicali.
Questo però dà anche un vantaggio al mio io recensore, specialmente nello scrivere di un artista che ammiro alla follia ed annovero tra i pochi interessanti di questi giorni italiani. Per la prima volta posso parlare obiettivamente, senza dare il mio personale colore emotivo alle parole. Ho sempre cercato di farlo, ora mi viene naturale.
Userò una parola che, associata alla musica, farà storcere il naso ai più. Obsil è un progetto utile. Utile a puntualizzare che in Italia votiamo Berlusconi, ma non per questo la nostra élite di compositori è meno dotata rispetto a quella teutonica. Utile perchè se non porta concetti completamente nuovi alla composizione (field recordings, Max/MSP a gogo e costruzioni che paiono casuali sono gli ingredienti del disco), porta un'estetica inedita che non rinuncia ad un approccio tonale, permettendo la fruizione al primo ascolto e trovando un raro equilibrio tema/improvvisazioni. Come nel miglior Jazz. Utile a Giulio, perché ha trovato il suo suono, un suono che si può rapportare ad altri artisti certo (ogni tanto mi vengono in mente le colonne sonore di Cliff Martinez) ma bastano tre secondi per capire. Si tratta di Aldinucci.
L'opera in questione è di per sé molto unitaria, o meglio, data la grande varietà nelle composizioni, è difficile distinguere un cambio interno da un cambio di traccia. Sembra di ascoltare molti piccoli lavori musicali della durata di una trentina di secondi mescolati con sapienza da un dj particolarmente dotato, colto e lungimirante. Certi stralci di suono sono composti con strumenti acustici, poi manipolati, altri sono completamente sintetici. Capitano delle voci indistinte, sembrano bambini che giocano nella campagna senese da cui Giulio proviene, mentre il pianoforte torna sempre, come a fare da collante. Mi stupisco di come sia possibile mettere insieme tutto 'sto casino e farlo funzionare.
Ma Giulio ce la fa.
Ora, pensate. Acquistate libri perché vi piace leggere delle storielle avvincenti oppure credete che il valore della letteratura vada al di là delle emozioni? Chiedo, perché la distinzione tra chi può apprezzare un'opera come questa e chi no, sta tutta lì. La forza motrice per la ricerca dei vostri ascolti deve essere l'interesse per la forma e per le sue mutazioni, non le emozioni. Quelle ci saranno per forza di cose perché siete degli esseri umani, ma saranno vostre, non di Giulio Aldinucci. Ed arriveranno, un giorno o l'altro arrivano, anche se ascoltate Masonna. Semplicemente, chi le trova dopo averle cercate nei luoghi meno abituali, prova la rara soddisfazione della conquista.
---
La recensione Distances di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2010-03-09 00:00:00
COMMENTI