Leggi "Walter Calloni ospite fisso alla batteria" e hai un piccolo sobbalzo: ché quello di Calloni è nome che evoca il meglio della musica italiana della seconda metà dei 70: Battisti, Graziani, il miglior Finardi, PFM, Area, Gaber, Jannacci, Fossati, eccetera. Poi leggi che gli Elisir con questo cd hanno vinto la "Targa Tenco 2009 per il Miglior Esordio". Ora, da molti anni il Premio Tenco non ha più la credibilità di un tempo, se usciamo dall'istituzionale. E purtroppo il disco degli Elisir non fa che confermare questa tragica china. Musicalmente, tango, atmosfere swingate da bistrot parigino, a tratti allusioni colte, a tratti napoletanerie (la title track potrebbe essere una canzone italiana degli anni 50), riproposti con eleganza tirata a lucido, ma fredda e asettica: non fanno certo gridare al miracolo. Letterariamente, le rime quasi sempre baciate e molto banali ("Ora cadi lentamente / ed illumini la mente / tra il silenzio della notte / baci il suolo che l'inghiotte" recita la prima strofa di "Neve") non portano a strapparsi i capelli per l'entusiasmo. Contenutisticamente, le cose vanno ancora peggio, perché qui e là spunta la pretesa di descrivere la contemporaneità, tanto nel sociale ("Mondo Storto", "Un italiano a Parigi") quanto nel privato. Ora, se si intraprende una strada musicale votata alla nostalgia si ha una sola possibilità per risultare credibili: immergersi nel sogno, nel mito, nella fantasticheria (e bisogna comunque farlo bene, cosa che in "Incanto" gli Elisir dimostrano di non saper fare). Se invece si hanno le pretese di cui sopra, si fallisce su tutta la linea e si inanellano banalità. Così hanno fatto gli Elisir. Considerate versi come "ma io che vivo i sentimenti, pieni di gioie e di tormenti / alzo la voce con orgoglio: L'amor non sempre è imbroglio" ("Dentro un tango") o l'irrealistica descrizione di "Un italiano a Parigi". Ma l'italiano che va all'estero e critica puntualmente il Paese visitato non è quello descritto in questa canzone, cioè uno che parla il francese correntemente, maschera l'accento e visita il Louvre. Perché il punto è questo: in quest'Italia plebeizzata, già avere interesse per il Louvre e parlare correntemente una lingua straniera diventa un tratto distintivo. Pensare a turisti bifolchi che visitano i musei parigini, anzi forse la stessa Parigi, mascherando il proprio accento, vuol dire essere fuori dalla realtà: ché le loro mete sono prevalentemente Sharm El Sheyk, le Maldive, le Mauritius, Amsterdam, Londra, la Dalmazia, in un arrogante vociare ad alta voce spesso neppure in italiano, ma in dialetto. È il vizio tipico dell'attuale disastrata sinistra italiana: non vedere la realtà, giudicare per stereotipi e parlare a un Paese che non c'è più e forse non c'è mai stato. Di tutto questo il premio Tenco è fedele specchio. La vittoria degli Elisir è conseguente. Che il loro disco e tutto il Tenco possano parlarci al cuore e alla mente, dubito davvero.
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